Ciao,
sono Ivo Silvestro e questa è la 72ª edizione della mia newsletter settimanale di segnalazioni e riflessioni – da oggi con nuovi elementi grafici, insomma un sacco di dodi in giro per la pagina. Sempre a livello di “messaggi di servizio”: adesso Substack, il motore dietro questa newsletter, parla italiano; se vedete strane traduzioni avvisatemi.
Oggi parliamo di gogne e piedistalli mediatici, Blue Monday, vortici artici e pedissequamenti.
Ma prima una foto: l’alba dietro i Denti della Vecchia.
La gogna e il piedistallo
Iniziamo dalla notizia: una donna si è verosimilmente tolta la vita dopo essere stata criticata per aver diffuso online una recensione falsa allo scopo di fare bella figura e pubblicizzare il suo ristorante.
Si è parlato di “gogna social”, e non sono mancate accuse verso chi ha scoperto e reso nota la falsa recensione dando il via a quella che viene chiamata “shitstorm”, tempesta di merde. Ma c’è anche stato chi ha insistito sulle responsabilità della donna: se nel 2024 pubblichi una recensione falsa per raccogliere un po’ di popolarità online, non ti devi stupire se una svolta smascherata quella popolarità ti si ritorce contro. Un riassunto della vicenda – con anche una parte su come andrebbero raccontati i suicidi sui media – lo si trova su Valigia Blu a opera di Matteo Pascoletti.
Qui vorrei riflettere soprattutto su due punti. Il primo riguarda la contrapposizione, che ho ritrovato da più parti, tra media tradizionali e media sociali – insomma tra quotidiani, cartacei e online, e telegiornali da una parte e Facebook, Twitter/X eccetera dall’altra.
Dire che non vi sono differenze tra i due insiemi sarebbe una fesseria e quindi ve la risparmio: è ovvio che un conto è un articolo o un servizio realizzato per una testata giornalistica e un altro il contenuto realizzato per un social media.1 Ma questa differenza, nel caso di cui stiamo parlando, mi sembra poco rilevante: le notizie – prima della recensione, poi della sua falsità – sono state affrontate allo stesso modo da entrambe le parti, per quanto forse con “stili” un po’ diversi.
Direi che la contrapposizione tra mass media e social media serve più che altro, da entrambe le parti, a non fare autocritica – il che non significa considerarsi colpevoli della morte di una donna, ma riflettere su quello che si è fatto e sul perché lo si è fatto. Il tipo di autocritica che qualche giorno fa – su un altro tema, quello forse ancora più delicato della giustizia – ho visto fare da Michele Serra nella sua newsletter per ilPost:
Se buona parte dei media non avesse avuto, da Tangentopoli in qua, questo ruolo, non richiesto, di aizzatore della pubblica indignazione piuttosto che di informatore della pubblica opinione, è molto probabile che il dibattito sulla giustizia sarebbe molto svelenito.
Il secondo punto che volevo affrontare riguarda i “piedistalli morali” – terribile traduzione di quel “moral grandstanding” al quale Justin Tosi e Brandon Warmke hanno dedicato un bel libro (al quale avevo già accennato). In pratica parliamo dell’uso di discorsi morali non per cercare di rendere il mondo un posto un pochino migliore o almeno per capire un po’ meglio che cosa non va, ma per guadagnare prestigio. E il prestigio morale lo guadagni se sei, e soprattutto se ti mostri, integerrimo e intransigente. Ad esempio mostrando di non volere nel proprio ristorante clienti omofobi; oppure denunciando qualunque falsificazione si trovi online o sui media, a prescindere da quanto sia grave e importante.
Chiudo questa sezione con un auspicio: quando si tratta di discorsi morali – insomma di criticare qualcosa che non va nel mondo –, cerchiamo la complessità della riflessione e della contestualizzandone, non semplificazioni ed esagerazioni.
In poche parole
Su The Weekly Anthropocene c’è una lunga intervista a Sarah Soteroff di Too Good To Go. Se non lo conoscete, è un servizio che permette di ridurre gli scarti alimentari vendendoli a prezzo scontato a chi è disposto a fare acquisti “alla cieca”. Di fronte a queste iniziative ho sempre il dubbio sull’impatto netto – salvo del cibo, il che è cosa buona, ma magari per farlo faccio una deviazione in auto inquinando di più di quel che ho “risparmiato”.
Interessante il fatto che l’azienda è una for-profit2 perché “crediamo che le aziende possano essere redditizie e allo stesso tempo fare del bene”.
È ritornato il Blue Monday, ovvero il giorno più triste dell'anno. In realtà è una bufala senza fondamento scientifico, come spiega Il Post.3 Originariamente inventato per una campagna pubblicitaria, si basa su un'equazione che include fattori come la lontananza dal Natale, i debiti accumulati, il meteo e il salario mensile – ovviamente senza alcun senso matematico o scientifico. L'università di Cardiff ha preso le distanze da Cliff Arnall, il presunto ideatore, che era solo un tutor in una scuola collegata all'università. Ma nonostante le smentite la storia continua a circolare immagino perché “si fa leggere”.
Io lavoro con le parole ed è quindi normale che vi presti particolare attenzione. Nel riprendere la replica di OpenAI alla denuncia del New York Times, mi aveva colpito la parola “regurgitation”, impiegata dall’azienda per riferirsi ai (secondo loro rari) casi in cui una intelligenza artificiale generativa ripropone tale e quale un contenuto invece di rielaborarlo.
La traduzione letterale ovviamente non va bene; in un articolo sul sito che riprende la scorsa newsletter avevo usato “pappagallismi” ma nel dubbio ho chiesto a un’esperta. Che mi ha risposto proponendo il secondo me i bellissimi “pedissequare” e “pedissequamento”.
Negli Stati Uniti fa molto freddo. E uno potrebbe dire: ma non c’era il riscaldamento globale? Ora, ammettendo che questa domanda sia posta in buona fede – e temo che nella maggior parte dei casi non lo sia –, la risposta è che sì, c’è il riscaldamento globale ma che questo non significa che ogni giorno faccia più caldo del solito. E uno dei problemi dell’aumento delle temperature è che scombina diversi fenomeni, tra cui il vortice artico, un’area di bassa pressione che sta sopra il Polo nord e che fa sì che il freddo rimanga come intrappolato dai venti permanenti. Se il vortice polare si indebolisce, l’aria fredda è libera di andare a sud:
Ora, l’atmosfera è una roba complessa e un po’ imprevedibile e il legame tra vortice artico e riscaldamento globale è oggetto di discussione, come si spiega in questa pagina di Climate.gov da cui ho tratto l’illustrazione qui sopra.4 Quello che è sicuro che qualche settimana di gelo non significa che non c’è il riscaldamento globale, anzi.
A proposito del freddo estremo di cui sopra: non ha mandato in tilt le auto elettriche. Le basse temperature riducono l’autonomia e rallentano la velocità di ricarica, ma i problemi che si sono verificati a Chicago sono più che altro dovuti a un malfunzionamento delle stazioni di ricarica (e all’imperizia di alcuni proprietari, ma questo è un altro discorso), come riporta Paolo Attivissimo sul suo blog.
Alcuni giornali hanno titolato “Tesla morte a causa del freddo: Chicago diventa il cimitero delle auto elettriche”,5 il che è una stronzata. Come con gli oroscopi di qualche newsletter fa, intendo stronzata come termine tecnico di “cosa detta con scarsa preoccupazione per la verità di quanto affermato”. E sarei quasi più contento se dietro articoli come questo ci fosse una campagna denigratoria contro le auto elettriche: no, c’è semplicemente la consapevolezza che prendersela con le auto elettriche, e le Tesla in particolare, attira l’attenzione, l’articolo sarà condiviso e porterà traffico e rendimento pubblicitario.
In pochissime parole
Perché agli evangelici statunitensi piace tanto Trump pur essendo così lontano da loro. Spolier: è una questione di battaglie identitarie.
Che fine ha fatto il movimento per il libero accesso alle pubblicazioni accademiche.
E, sempre a proposito di pubblicazioni accademiche: il preoccupante aumento degli articoli scientifici ritirati dopo la pubblicazione.
Le mappe elettorali, quelle classiche con i territori di un unico colore, possono influenzare la nostra percezione della realtà politica.
Certo, ci sono i casi ambigui, come un o una giornalista che svolge parte della sua attività sui social media o i contenuti realizzati direttamente da una testata, ma in generale la distinzione è netta.
In italiano sarebbe “a scopo di lucro”, ma, come nota ad esempio la Treccani, la parola lucro nell’uso comune ha di solito un senso peggiorativo.
Vedi anche questo articolo di Sofia Lincos di qualche anno fa.
C’è anche un altro articolo sulla situazione attuale.
No, non lo metto il link al giornale che ha titolato così.