Ciao,
sono Ivo Silvestro e questa è la 36ª edizione della mia newsletter. Oggi parliamo di indignazione pubblicitaria, deserti allagati e mani con sei dita.
Ma prima una foto: un piccolo esempio di “verde urbano difforme”.
Si potrebbe fare un lungo ragionamento su come concepiamo gli spazi urbani e soprattutto su come concepiamo la natura all’interno degli spazi urbani, aspettandoci un “ordine” e un “decoro” che rischiano di uccidere ogni spontaneità – ma ve lo risparmio.
Il progresso della pubblicità
Parliamo invece di pubblicità.
Le pubblicità – dai manifesti che troviamo per strada agli spot alle varie inserzioni fisiche e online – fanno parte di quello che solitamente viene chiamato “immaginario collettivo” e che oggi mi pare essere sempre più frammentato. Cosa significa essere parte dell’immaginario collettivo? Essenzialmente che prendi tutti quei valori che costituiscono una società/civiltà/periodo contribuendo alla loro trasmissione e affermazione.
Una pubblicità ha ovviamente lo scopo di modificare il comportamento dei consumatori, tipicamente allo scopo di far comprare certi prodotti, ma non si limita a fare questo: una pubblicità inevitabilmente veicola anche idee sulla società. Sono contento quando un’azienda (o un’agenzia pubblicitaria) si rende conto di questo aspetto e mostra una certa responsabilità – questo in generale, per quanto sia ovviamente molto più contento quando la visione della società che l’azienda decide di condividere coincide con la mia.
Al contempo, mi rendo conto che alla fine lo scopo di una pubblicità è far vendere prodotti, non migliorare la società – il che rende le pubblicità un mezzo un po’ sospetto per portare avanti istanze sociali.
Questa lunga premessa per parlare della pubblicità della Control1 pensata per la Festa della mamma.
Prendere di mira i tabù sulla sessualità femminile non può che rendermi felice. Tuttavia: con quello slogan? E in occasione della festa della mamma?
Intendiamoci, l’idea è divertente – talmente divertente che qualche anno fa è stata usata dagli autori di Saturday Night Live per una delle loro parodie:
Davvero la Control voleva fare una simile campagna pubblicitaria? Loro dicono di sì e di essere stati censurati, come scrivono su Instagram:
Questa affissione non è mai uscita e il motivo non vi piacerà. Per la Festa della mamma volevamo rompere un tabù che da troppo tempo esiste e dire a chiare lettere che, sì, anche le mamme possono provare piacere. Ma proprio come dice il nostro messaggio, l’immagine stereotipata e anacronistica della mamma non si tocca, tanto che la nostra campagna non si può promuovere sui canali social e non è potuta diventare una vera affissione.
Ora, il fatto è che – come riporta La gazzetta del pubblicitario – qualcuno ha chiesto chi esattamente avesse censurato questa campagna di affissioni. E non ha ottenuto risposte.
Together (l’agenzia pubblicitaria, ndr), sempre su Linkedin, ha preferito non fare nomi e puntando quindi sulla forza del messaggio da trasmettere.
E allora mi viene un sospetto. E mi immagino una riunione durante la quale si valutano i costi di una campagna pubblicitaria normale e il suo impatto tutto sommato limitato; e poi i costi di una campagna pubblicitaria fittizia che diventa virale sui social media. E si propende per la seconda.
Dicevo che ogni pubblicità si inserisce nell’immaginario collettivo. E quello che sta dietro a questa iniziativa non è quello della sessualità femminile, ma dell’indignazione popolare.
È morto Massimo Cavezzali
Ieri è morto il fumettista italiano Massimo Cavezzali, un autore che ho molto amato. Fumettologica ne ripercorre brevemente la carriera, immagino che nei prossimi giorni usciranno ricordi e ritratti più completi.
Ammiravo soprattutto la complessità e varietà della sua produzione. Quando sfogliando una rivista trovavi un suo fumetto lo riconoscevi subito, con quel suo tratto semplice e caratteristico, ma non sapevi mai cosa ti saresti trovato. Battute demenziali, storie surreali, omaggi e citazioni, riflessioni filosofiche…
Trasformare il deserto in mare
In una precedente edizione avevo parlato della proposta, fatta un secolo fa, di chiudere lo stretto di Gibilterra per sottrarre al Mediterraneo terreni potenzialmente fertili.
Oggi parliamo del progetto contrario: trasformare in mare quello che adesso è sostanzialmente deserto. Basta prendere una zona al di sotto del livello del mare (come il Mar Morto, -430 metri, o la Depressione di Qattara in Egitto, -130 metri) e collegarla con delle condotte al più vicino mare. Ne scrive Thomas Pueyo e, secondo lui, i vantaggi sarebbero notevoli: produzione di elettricità nella fase di riempimento, un clima temperato con maggiori piogge e, una volta che la salinità delle acque arriverà a livelli normali, un ecosistema marino simile a quello del Mediterraneo.
Tuttavia sospetto che la cosa non sia così semplice. Innanzitutto dal punto di vista tecnico: parliamo di condutture lunghe decine di chilometri che immagino possano costare parecchio – e richiedere molto tempo per essere progettate e realizzate. E poi mi piacerebbe che gli effetti su clima e ambiente venissero valutati attentamente da esperti. Ah, nella Depressione di Qattara vivono alcune popolazioni nomade che penso sarebbe opportuno quantomeno consultare.
Una mano in più
Sto rileggendo la Guida galattica per gli autostoppisti di Douglas Adams2 e non mi ricordavo che Zaphod Beeblebrox, presidente del Governo Galattico Imperiale, è “grosso modo umanoide”, dove quel “grosso modo” si riferisce a una seconda testa e a un braccio supplementare “che si era fatto mettere di recente subito sotto il destro”.
La cosa curiosa è che non è necessario essere alieni per gestire un arto in più: il nostro umanissimo cervello sembra essere perfettamente in grado di adattarsi a un corpo con qualche parte in più. Ok, forse non un terzo braccio, ma un sesto dito (robotico) della mano non richiede molto sforzo, stando a quanto scrive Ganesh Gowrishankar su The Conversation. La maggior parte dei soggetti ha imparato a gestire il dito in più in meno di un’ora e una persona l’ha persino usato per suonare il pianoforte. L’obiettivo non credo sia formare una nuova generazione di superpianisti, ma capire come il cervello umano riesca ad adattarsi ad arti sostitutivi.
Due cose sulla ricerca medica
La storia ormai dovrebbe essere abbastanza nota, ma la riassumo per sicurezza: un test molto affidabile può dare risultati inaffidabili se quel che vuoi testare è molto raro. Del tipo: se solo una persona su diecimila ha la Sindrome del dodo, un test che la rivela correttamente nel 99,9% dei casi risulterà positivo, oltre che per l’unica persona con la Sindrome del dodo, anche per circa dieci persone che non ne soffrono (lo 0,1% di 9’999 sani).
La soluzione ovviamente non è buttare i test nella spazzatura, ma usarli solo quando ci sono sospetti – e sembra essere il caso delle colonscopie. Farle a tutta la popolazione a scopo preventivo non sembra salvare vite – mentre è cosa buona e giusta farle a chi è a rischio.
Tra l’altro: il tumore al colon, seppur con qualche differenza, colpisce sia i maschi sia le femmine. Se colpisse principalmente donne, molto probabilmente vi sarebbero meno fondi per la ricerca: Nature ha pubblicato un interessante articolo, con tanti grafici interattivi che sono una meraviglia per chi si occupa di comunicazione della scienza, su queste disparità.
Questa edizione della newsletter finisce qui; se vi è piaciuta potete consigliarla o condividerla con altre persone…
Ci leggiamo tra sette giorni.
Quanti dei miei lettori sanno che la Control, quella dei preservativi, è di proprietà dello stesso gruppo della Chicco, quella di prodotti per l’infanzia? Io la trovo una strategia economica fantastica: che la gente decida di fare o non fare figli, utilizzerà comunque prodotti del gruppo Artsana.
A proposito: manca poco al Giorno dell’asciugamano.