Ciao,
sono Ivo Silvestro e questa è la 45ª edizione della mia newsletter. Oggi parliamo di parole e immagini, di ombre, di Antropocene e batteri.
Ma prima una foto: due uccelli1 che si facevano i fatti loro sul lago di Lugano
Un’immagine vale più di mille parole
Paolo Pecere ha scritto un articolo molto bello sulle pitture rupestri per Il Tascabile. È lunghetto, ma consiglio vivamente di ritagliarsi una ventina di minuti per leggerlo.2 Non solo si fa il punto della situazione su ricerche e scoperte recenti, ampliando lo sguardo portandoci ad esempio in Brasile dove si trovano tra le più antiche raffigurazioni di piante, ma presenta queste pitture nella loro complessità.
È ad esempio giusto parlare di “arte primitiva”, facendo riferimento a una pratica, quella artistica, che è relativamente recente nella storia umana?
Il punto è che tutte le nostre categorie – gioco, magia, tecnica, arte, religione, filosofia – sembrano inadatte a districare il significato di quelle immagini. È difficile pensare che arte e magia, gioco e religione, fossero ambiti rigidamente distinti dell’esperienza di quegli uomini, così come avviene in base a codici culturali e istituzioni di età storica, che hanno formato la nostra abitudine a distinguere queste esperienze e localizzarle in spazi e tempi dedicati. Quelle potenze culturali erano forse ancora unite, in stato embrionale, in un’esperienza che non ci è più accessibile – ma di cui forse, nel profondo, possiamo ritrovare in noi le basi.
Quelle pitture potrebbero addirittura raccontarci dell’origine del linguaggio, con tanti saluti a chi, facendo il brillante citando McLuhan, si lamenta di come l’immagine abbia sostituito la parola.
Il paleontologo Steven Mithen, ne Il canto degli antenati (2006), arriva a conclusioni simili partendo dai dati archeologici e biologici: il linguaggio verbale di Homo sapiens si sarebbe evoluto a partire da un linguaggio mimico accompagnato da vocalizzi inarticolati, che chiama linguaggio “hmmmmm” (cioè olistico, manipolativo, musicale e mimetico). Questo tipo di linguaggio sarebbe stato proprio anche di altre specie come i Neanderthal. La capacità di emettere suoni per riferirsi a entità assenti avrebbe avuto tante conseguenze cruciali: permetterebbe, tra l’altro, di immaginare un altro mondo, un aldilà. Perciò – come ha sostenuto di recente anche Sverker Johanson – la capacità di iscrivere figure e segni dipenderebbe da quella linguistica.
Con un “avanti veloce” che ricorda quello di 2001: Odissea nello spazio quando si passa dall’osso alla nave spaziale,3 passiamo dalle pitture rupestri alle attuali illustrazioni scientifiche. Con una puntata del podcast Co.Scienza con una intervista alla illustratrice e fumettista Claudia Flandoli:
Ombre che non lo erano
Il male non esiste perché è solo la privazione del bene: era Agostino a sostenere questa tesi – o meglio ad averla presa da Plotino – per questioni teologiche, ovvero assolvere Dio dall’accusa di aver creato il male.4
La metafora con cui spiegare la differenza tra “il male esiste” e “il male è assenza del bene” è luce/ombra: l’ombra non esiste, è solo assenza di luce. Il che mi convince fino a un certo punto: le ombre esistono, le cerchiamo per avere fresco d’estate, si spostano durante la giornata, si allungano al tramonto eccetera. Vero che per crearle abbiamo bisogno di luce e di qualcosa per schermarla, ma basta per dire che le ombre non esistono? Un discorso simile lo si può fare con i buchi: certamente quello che conta è il “materiale intorno al buco”, ma i buchi esistono eccome! Sarebbe quantomeno scomodo descrivere il mondo se ombre e buchi non esistessero, fermo restando che la loro esistenza è un po’ diversa da quella di altri oggetti o fenomeni fisici.
Tutto questo mi è venuto in mente di fronte a una sorta di “dimostrazione fisica che l’ombra non esiste”: se esistesse, infatti, si potrebbe muovere più velocemente della luce. Lo si vede in questa bella animazione che ho preso da Jacopo Bertolotti:5
C’è un parallelismo tra il dire “il male non esiste perché Dio non può creare il male” e “l’ombra non esiste perché violerebbe uno dei principi della fisica”. Ma è dovuto al fatto è che in entrambi i casi il teologo e il fisico si mettono a fare un po’ di filosofia, non al fatto che la fisica è come la teologia.
A proposito di ombre: qualche giorno fa il 99% della popolazione era al sole:
Certo, va ricordato che siamo ormai 8 miliardi per cui quell’1% rimasto al buio sono comunque qualcosa come 80 milioni di abitanti, non proprio bruscolini. E il merito va comunque a come sono distribuiti i continenti – oltre al fatto che India e Cina fanno da sole quasi il 40% della popolazione mondiale.
Il che porta alla domanda: qual è stato l’essere umano più isolato della storia? La rispota di Randall Munroe (quello di xkcd) ci porta sulla Luna, visto che molto probabilmente si tratta degli astronauti Apollo rimasti sul Modulo di comando e servizio.
Batteri di tutto il mondo, moltiplicatevi
Viviamo nell’Antropocene: mi sembra ci sia un largo consenso sul fatto l’essere umano incida in maniera significativa sui processi geologici, per quanto ancora non si sappia quando far partire questa nuova era geologica.6
Ma il mondo alla fine resta in mano ai batteri, come sosteneva il grande Stephen Jay Gould in quello che secondo me è uno dei libri di scienza più belli: Gli alberi non crescono fino in cielo.7
In questo saggio Gould se la prende con l’idea che l’evoluzione della vita sulla Terra sia un progresso dal semplice al complesso. Non è così e se ci sforziamo di guardare alla vita uscendo dal nostro particolare punto di vista, dobbiamo ammettere che i “padroni del mondo” sono appunto i batteri, presenti ovunque (anche nei nostri corpi) e che regolano un’infinità di processi biologici. Ricordiamo che se nell’atmosfera terrestre c’è l’ossigeno lo si deve a dei batteri che hanno provocato la più grande catastrofe ambientale della storia della Terra.
Il che ovviamente non assolve l’umanità dalle proprie responsabilità, visto che i danni all’ambiente passano spesso proprio dai batteri come quelli presenti negli animali d’allevamento. Da qui l’idea di fare qualcosa intervendendo su quei batteri, come spiega Anna Meldolesi in un articolo dal titolo molto impegnativo: I microbi editati salveranno il mondo?.
Mi permetto di fare ironia sul titolo perché in realtà Anna Meldolesi è molto cauta nel decantare “le magnifiche sorti e progressive” delle tecnologie come ha mostrato in questa puntata di Radio3 Scienza dedicata alle nuove tecniche di editing genetico.
Chiuso la sezione con una vignetta a tema:
(via Moreno Colaiacovo)
La scienza è un approccio
Per capire la scienza non c’è bisogno di essere scienziati, perché la scienza è un approccio: si discute e si dialoga all’interno di un sistema di regole imperfetto. D’altronde persino la democrazia è imperfetta (anche se io preferisco avere scritto nei tribunali che la legge è uguale per tutti anziché il suo contrario) ma preziosa.
Da una intervista a Marco Ciardi su scienza e pseudoscienza.
Prima di lasciarci, altre due storie: quella di Qian Xuesen, protagonista del programma missilistico e spaziale di due superpotenze passato da sospetto di tradimento a eroe nazionale, raccontata da Andrea Ferrero e quella di una pianta che si era talmente sicuri che fosse estinta tanto da darle il nome di Gasteranthus extinctus. E invece no.
Questa edizione della newsletter finisce qui; sperando di non aver fatto troppi errori e che vi sia piaciuta, vi invito a consigliarla o condividerla con altre persone…
Ci leggiamo tra sette giorni.
Non sono un naturalista per cui mi limito al generico “uccelli”. Ulteriori dettagli da chi ne sa più di me sono i benvenuti.
Lo so: se qui segnalo un articolo è perché consiglio di leggerlo – diciamo che questo lo consiglio due volte, forse anche tre.
È una delle mie scene preferite: trovo stupefacente come Kubrick sia riuscito a mostrare con un semplice gesto un concetto non scontato, ovvero che il salto maggiore è nel concepire qualcosa come uno strumento, pensando a possibili usi, e tutto il resto – il passaggio da un osso per martellare a una nave spaziale – sia un semplice miglioramento di questa idea.
Si potrebbe ribattere che in realtà non esiste neanche il bene, ma al massimo azioni (e omissioni, eventualmente anche intenzioni) che giudichiamo positivamente e altre che giudichiamo negativamente. Al che un platonico replicherebbe: in base a cosa le giudichi se non esiste un’idea universale di bene? Ma non c’è tempo di rifare la storia della filosofia in una nota.
Quello che non capisco di questa animazione è perché l’ombra sia bianca e la luce grigia.
Ne avevo accennato qui. The Conversation ha nel frattempo pubblicato un interessante articolo su un lago canadese che rappresenta al meglio (o al peggio) l’impatto umano sulla Terra.
Temo che l’edizione italiana di Mondadori sia introvabile – il che è un peccato. Biblioteche a parte, chi lo volesse leggere in inglese deve cercare Full house.