Ciao,
sono Ivo Silvestro e questa è la 41ª edizione della mia newsletter. Oggi parliamo di apparente crisi della moralità, di caffeina, Buñuel e un accenno di Berlusconi.
Ma prima una foto: un misterioso post-it trovato su una finestra.
Critica della crisi dei costumi
Direi che grosso modo esistono due modelli del cambiamento sociale. Da una parte l’idea di un continuo miglioramento, un progresso che prima o poi ci porterà a un radioso futuro; dall’altra un’età dell’oro situata in un passato più o meno lontano seguita da un continuo decadimento.
Ecco, il secondo modello sembra essere quello più diffuso, almeno se prendiamo in considerazione la moralità delle persone in generale. È il risultato di uno studio pubblicato su Nature:
In a series of studies using both archival and original data (n = 12,492,983), we show that people in at least 60 nations around the world believe that morality is declining, that they have believed this for at least 70 years and that they attribute this decline both to the decreasing morality of individuals as they age and to the decreasing morality of successive generations.
La prima cosa che mi sono chiesto è: “Ma cosa diavolo è la moralità?”. Vero che è un’indagine sociologica per cui alla fine interessano le risposte dei soggetti, ma per questo lavoro gli autori hanno assemblato varie ricerche fatte nel corso dei decenni con criteri molto diversi e insomma, capire se parliamo di buona educazione, di rispetto delle leggi, di diritti civili, di valori condivisi, di massime tipo “non fare agli altri quello che non vorresti venisse fatto a te” – giusto per citare le prime cose che mi vengono in mente scrivendo queste note.
Per dire: se mi parlate di valori condivisi, direi che senza dubbio c’è stato un calo visto che le società sono meno monolitiche di un tempo, ma credo che sui diritti civili ci sia stato, almeno in Europa, un progresso.
Gli autori peraltro accennano al problema, per quanto non vi dedichino molto spazio. Non accennano minimamente alla pandemia, eppure lo studio – che oltre ad analizzare sondaggi precedenti ne ha anche fatti di nuovi – è stato condotto nel 2020 e insomma, ritrovarci tutti chiusi in casa guardando dalle finestre gli striscioni “andrà tutto bene” appesi ai balconi dai vicini1 qualche effetto sulla percezione della moralità potrebbe averlo avuto.
A ogni modo: le persone sono convinte ci sia un continuo declino della moralità, vuoi perché i giovani sono “meno morali” di adulti e anziani, vuoi perché lo diventano le persone col passare del tempo.
È improbabile che sia davvero così. Non solo perché un continuo e inarrestabile declino dovrebbe ormai averci portato alla distruzione, ma perché quando si vanno a interrogare le persone su aspetti specifici – nell’articolo si citano il rispetto per omosessuali, disabili e afroamericani – si ammette che c’è stato un miglioramento.
Gli autori provano a spiegare questa illusione con l’effetto BEAM: biased exposure and memory. In pratica veniamo a conoscenza soprattutto delle cose negative che accadono oggi nel mondo e ci dimentichiamo di quelle che accadevano un tempo.
Devo però dire che ho trovato più interessante le conclusioni sui possibili effetti di questa errata percezione di un declino morale della popolazione. Perché quando il 76% degli statunitensi indica che la priorità del governo dovrebbe essere “addressing the moral breakdown of the country” – ovvero un problema immaginario di fronte a tanti problemi reali –, le cose in politica potrebbero non andare benissimo. Inoltre essere convinti che le persone in generale, ovvero gli sconosciuti, siano cattive può portare a diffidenza e ci rende manipolabili.
L’importanza delle domande
Sul blog ho scritto di un paper tanto breve quanto interessante:
E un’altra cosa sulle intelligenze artificiali che disegnano: cosa succede quando chiediamo di generare un’immagine partendo da una richiesta generica o un concetto astratto?
C’era una volta l’Antropocene
Ho scoperto che in giro per il mondo ci sono alcune placche di metallo fissate nella roccia chiamate golden spikes, ovvero chiodi d’oro. Mi chiedo cosa ne penserà una ipotetica civiltà aliena che arriverà sulla Terra dopo l’estinzione dell’umanità, ma la presenza di quei chiodi è una banale questione geologica: segnano i passaggi da un’era all’altra.
Il che pone un problema: dove mettiamo il chiodo d’oro che segna l’inizio dell’attuale era geologica, l’antropocene? Parliamo dell’epoca in cui l’umanità è diventata la forza dominante sulla Terra e chiaramente non è una cosa che sia arrivata all’improvviso – credo che neanche le altre epoche geologiche siano iniziate in un giorno preciso, ma almeno abbiamo un criterio condiviso. Per l’Antropocene, dobbiamo guardare alla Rivoluzione industriale, agli isotopi radioattivi delle prime esplosioni nucleari o ancora più indietro, con lo sviluppo dell’agricoltura?
Massimo Sandal ne scrive su RADAR, ma segnalo anche una riflessione di Aldo Piombino.
La caffeina è una droga
Da un anno non bevo più regolarmente caffè: qualche tazzina ogni tanto, credo un paio al mese perlopiù dopo pasti abbondanti. Non è stata una decisione: semplicemente non ho più avuto voglia di berlo. C’è da dire che non sono mai stato un grande bevitore di caffè, ma un paio al giorno li bevevo.
Con questo non ho ovviamente eliminato la caffeina dalla mia vita, visto che continuo a bere grandi quantità di tè – e la teina è semplicemente l’altro nome della caffeina – e quando mi capita di dover guidare per più di un’oretta la sera mi bevo bibite con caffeina.
Quello che sto cercando di dire è che non sono un drogato – il che è esattamente quello che direbbe una persona dipende da questo alcaloide (sì, la caffeina è un alcaloide).
Era da un po’ che tenevo, tra i possibili temi da segnalare, un articolo di Esquire sulla dipendenza da caffeina e sui rischi che essa comporta. C’è anche una bella infografica sulla quantità di caffeina nei vari alimenti; ne riproduco la prima parte:2
Quell’articolo ha finalmente trovato la via di questa newsletter perché proprio ieri un amico mi ha parlato molto bene del libro Piante che cambiano la mente di Michael Pollan. Nel libro si parla appunto della caffeina e di un “esperimento di privazione” che ha portato Pollan a sperimentare i tipici sintomi dell’astinenza.
Pochi minuti dopo ho incrociato nei corridoi dell’ufficio il rappresentante di una ditta di caffè – un distinto signore con un lavoro rispettabile, ma per certi versi non molto diverso da quello dei signori della droga.
Possiamo immaginare una realtà alternativa in cui il caffè è una bevanda proibita e chi vuole farsi un espresso deve rivolgersi a loschi figuri sperando di non venire scoperto dalla polizia? O, al contrario, in cui eroina e cocaina sono in vendita nei supermercati con giusto qualche avvertenza?
Un po’ di Buñuel
Parlare di realtà alternative mi ha fatto venire in mente uno degli episodi di Il fantasma della libertà di Luis Buñuel, nel quale si scopre la defecazione è un momento sociale mentre i pasti vengono consumati in uno stanzino appartato. Su YouTube si trova un estratto di qualche minuto:
Finalmente
Nei giorni scorsi è morto Silvio Berlusconi.
È sicuramente colpa mia, nel senso che sicuramente non mi sono dedicato a sufficienza nella ricerca, ma non ho trovato nessuna analisi o riflessione degna di nota. E dire che – nonostante il motto che dei morti non si può che parlar bene – non sono mancate le letture critiche sulla sua figura.
Il fatto è che da ben prima della sua morte viviamo in un’era post-berlusconiana: per quanto fosse ancora un politico e un imprenditore importante, il mondo è cambiato e né il suo partito né le sue televisioni hanno quel ruolo centrale, per non dire fondamentale, che un tempo avevano. Gli elenchi delle sue malefatte – come del resto i panegirici – non mi paiono aiutarci più di tanto a capire il presente, cosa che mi sembra ancora la più importante.
Dicevo che non ho trovato letture degne di nota: in realtà una c’è, quella di Licia Corbolante con un interessante elenco di parole per le illustri dipartite.
Nei giorni scorsi è morto anche Cormac McCarthy; segnalo un’intervista uscita un anno fa alla sua traduttrice, Maurizia Balmelli.
Questa edizione della newsletter finisce qui; sperando di non aver fatto troppi errori e che vi sia piaciuta, vi invito a consigliarla o condividerla con altre persone…
Ci leggiamo tra sette giorni.
Forse la ricerca è stata fatta prima che la pandemia scoppiasse negli Stati Uniti ma, appunto, almeno una nota a piè di pagina me la sarei aspettata.
Maledicendo gli statunitensi per la loro avversione alle unità di misura standard: passi l’oncia di cioccolato, ma quanto è esattamente “una tazza”?