Ciao,
sono Ivo Silvestro e questa è la 82ª edizione della mia newsletter settimanale di segnalazioni e riflessioni.
Oggi parliamo di giochi, di Daniel Kahneman, di Antropocene e di pessimismo politico.
Ma prima una foto:
È lo “spazio scenico” del progetto The game della compagnia teatrale Trickster-p. Si tratta di una compagnia che fa spettacoli “strani”, portando al limite l’idea di spettacolo teatrale contaminandolo con altre forme artistiche. In questo caso abbiamo il gioco e lasciamo da parte le riflessioni se prendere delle persone e far decidere loro cosa succede sia ancora teatro o semplicemente un gioco di società – ne ho accennato nella mia recensione di The game, ma tutto sommato la cosa è trascurabile – e chiediamoci: quanto potenziale comunicativo c’è nei giochi?
Questa semplice domanda doveva essere il tema principale di questa newsletter. Poi però ho saputo della morte di Daniel Kahneman.
Il priming di Daniel Kahneman
Chi era Daniel Kahneman? Per me era quel tipo di autore di cui senti talmente tanto parlare, con le sue ricerche presentate e riassunte in conferenze, libri e articoli, che ti chiedi se davvero vale la pena leggerlo, visto che ormai sai tutto. Poi un giorno prendi in mano Pensieri lenti e veloci (o il più recente Rumore),1 lo leggi e scopri che valeva la pena, eccome, leggerlo. Un po’ perché alla fine i riassunti e le presentazioni lasciano per forza fuori dei pezzi che sono interessanti. Un po’ perché è un piacere leggere una prosa così chiara.
Dopo questa premessa non posso ovviamente mettermi a riassumere le sue ricerche. Mi limiterò quindi a raccontare due cose.
La prima è l’idea che ho apprezzato maggiormente, quello che per me è stato il suo insegnamento più importante (e che forse non riconcerebbe come tale). Il fatto che essere irrazionali non è necessariamente una tragedia. O, meglio, che c’è modo e modo di essere irrazionali, di affidarsi a quei “pensieri veloci” che non sono affidabili e logicamente puliti come i “pensieri lenti”, ma presentano diversi vantaggi, il principale dei quali direi è che il fatto di non paralizzare ogni nostra decisione.
Come scrive in uno dei tanti passaggi che ho annotato:
Vivendo la nostra vita, ci lasciamo di norma guidare da impressioni e sensazioni, e la fiducia che abbiamo nelle nostre convinzioni e preferenze intuitive è solitamente giustificata. Ma non sempre.
L’essere umano, più che un animale sempre razionale, è un animale dotato di ragione – che usa a fianco di quello che potremmo chiamare intuito, istinto, inconscio, euristiche. Sulle conseguenze di questo fatto per le teorie economiche Kahneman ci ha vinto un Nobel, ma per me l’economia è un mistero: mi interessa di più l’idea che abbiamo di noi stessi e, soprattutto, di cosa conta come “decisione giusta”.
La seconda cosa con cui mi piace ricordare Kahneman è la faccenda dell’effetto di priming. È una delle caratteristiche dei pensieri veloci: a volte la nostra mente ha una sorta di “innesco” per alcuni pensieri. Se hai fame completerai la sequenza SO_P con SOUP, zuppa, e non con SOAP, sapone. Volendo pensare a un esempio in italiano, le immagini di uno stagno di porteranno a completare la sequenza ROS_O come “ROSPO”, una ciotola piena di fragole o ciliegie invece di porterà a pensare a “ROSSO”.
Il fatto è che le ricerche su questo effetto priming sono come la notizia della morte di Mark Twain, “grandemente esagerate”.2 Siamo nel contesto della “crisi della replicazione” che riguarda la psicologia (e altre discipline), con risultati considerati importanti che si fatica a riprodurre.
Nello specifico, le prime ricerche sull’effetto priming erano state condotte su campioni relativamente piccoli, studi successivi condotti su più persone hanno ridotto l’importanza di questo fenomeno. Ma intanto Kahneman aveva dedicato un intero capitolo di Pensieri lenti e veloci al “meccanismo associativo”.
Ora, come ha reagito Kahneman? Beh, ha subito ammesso il problema, notando anche l’ironia dell’aver parlato, nell’introduzione, della tendenza a sovrastimare l’affidabilità di ricerche condotte su piccoli campioni, se il risultato conferma le nostre idee:
Nonostante anni di insegnamento e utilizzo della statistica, non avevamo maturato un senso intuitivo dell’affidabilità dei risultati statistici osservati in campioni piccoli. I nostri giudizi soggettivi erano affetti da bias: nella nostra personale ricerca, eravamo troppo disposti a credere a risultati di ricerche basate su prove inadeguate e troppo inclini ad accontentarci di osservazioni insufficienti.
Non solo: si è attivato per risolvere il problema. Purtroppo non riscrivendo il capitolo di quel libro, ma spingendo per una verifica incrociata dei risultati delle ricerche in psicologia, aupicando una sorta di “catena di controlli” in particolare per gli esperimenti relativi al priming. Ogni laboratorio dovrebbe inmsomma replicare le ricerche già fatte, coinvolgendo i ricercatori del primo studio, registrando ogni dettaglio deil’esperimento.
In poche parole
La foto della scorsa newsletter raffigurava un ponte. Non ci avevo pensato, ma quel ponte, in quanto opera architettonica, è quasi certamente protetta da diritto d’autore, protezione che riguarda anche le fotografie.
La mia non era una foto del ponte, ma la foto di un panorama che conteneva anche quel ponte – ma questo è un argomento che non vale ovunque e la situazione è particolarmente complicata in Italia, come si spiega in questo articolo.
Francesco Costa nella sua newsletter sulle presidenziali statunitensi affronta la grande domanda di questa campagna elettorale: perché passiamo sopra le inquietanti dichiarazioni di Trump mentre dedichiamo attenzione a ogni abbaglio di Biden?
Ci sono più fattori, tra cui questo (grassetti miei):
Mentre Trump non viene scalfito dalle accuse degli avversari di voler distruggere la democrazia o di essere un razzista, e ha una guardia pretoriana di elettori e media a proteggerlo, Biden viene accusato innanzitutto dai suoi: di non aver fatto abbastanza sul clima, pur avendo fatto più di chiunque; di non aver fatto abbastanza per i giovani pur avendogli cancellato oltre cento miliardi di dollari di debiti; di non aver fatto abbastanza per ridurre le diseguaglianze nonostante abbia ridotto le diseguaglianze, etc.
È assurdo, lo so, ma dato dopo dato, intervista dopo intervista, sondaggio dopo sondaggio, emerge chiaramente come le persone progressiste, soprattutto le più giovani, proprio non vogliano sentirsi dire che le cose stanno andando meglio di prima. Gli sembra disdicevole, inappropriato, incompatibile con la loro identità pubblica, sociale e soprattutto social. Il catastrofismo e il nevroticismo sono un pezzo della loro personalità: come rinunciarvi senza rinunciare a se stessi?
Ne avevo già accennato: da un punto di vista geologico, viviamo ancora nell’Olocene e non nell’Antropocene. La proposta di introdurre una nuova era geologica che riconosca il peso degli interventi umani al nostro pianeta è stata infatti bocciata dall’Unione internazionale di scienze geologiche.
Sul New York Times3 Stephen Lezak argomenta che è meglio così: parlare di Antropocene potrebbe infatti far pensare che non ci sia più nulla da fare e che la colpa sia di tutta l’umanità, delle società fortemente industrializzate come di comunità che vivono di agricoltura di sussistenza.
Ora, il fatto è che è proprio così: anche comunità che percepiamo come “vicine alla natura” hanno trasformato il pianeta – il primo esempio che mi viene in mente sono i Maori che hanno devastato la fauna neozelandese ben prima dell’arrivo degli europei, per non parlare dell’Isola di Pasqua piena di alberi prima che i polinesiani li tagliassero tutti. Insomma, le emissioni di gas serra sono solo uno dei fattori e forse il concetto di Antropocene potrebbe aiutarci a meglio capire questa cosa.
Sul fatto che non ci sia più niente da fare: è vero che è un’idea pericolosa, perché può portarci a lasciare perdere le misure urgenti e necessarie a favore del clima. Ma dovremmo anche rassegnarci che non si torna indietro e che alcuni cambiamenti rimarranno molto a lungo se non per sempre. Non si torna indietro, almeno non facilmente: viviamo in un nuovo mondo e dovremmo fare in modo che sia il miglior mondo possibile.
In pochissime parole
La «sindrome delle turbine eoliche» è una malattia immaginaria scrive Antonio Scalari su Facta, con una parte interessante sulle “malattie comunicate”, quelle che credi di avere perché ti dicono che dovresti avere.
La disinformazione sugli anticoncezionali sta facendo danni.4
La disinformazione dal punto di vista dell’evoluzionismo.
Ho scritto una cosa sulla scienza dell’esclusione sociale.
E potrei citare anche i suoi articoli scientifici, insolitamente chiari rispetto alla media delle pubblicazioni accademiche.
Peraltro sembra che anche la celebre citazione di Twain sia grandemente esagerata.
Al solito: per chi non riesce a leggere: archive.is/cyoPP.
Link per chi avesse problemi ad accedere: archive.is/ho8KH.