Ciao,
sono Ivo Silvestro e questa è la 86ª edizione della mia newsletter settimanale di segnalazioni e riflessioni.
Oggi parliamo di fascismi, di Daniel Dennett e Immanuel Kant, di disastri e di polizia.
Ma prima una foto: papere1 che – più o meno – si mettono posa.
Il dito fascista
Scrivo questo parte della newsletter che è il 25 aprile e, anche se mi trovo in un posto dove è semplicemente “giovedì”, mi è difficile non pensare al fascismo. Ci penso come penso un po’ tutte le cose, guardando alle cose che di solito non sono importanti – mi riconosco molto in quello che, di fronte al saggio che indica la luna, guarda il dito.
Il dito, in questo caso, è il termine fascismo. Ed è un dito che è, non dico rotto, ma un po’ malconcio sì. Mettendo da parte una metafora che rischia di diventare ridicola: “fascismo” è una parola che significa tante cose diverse, il che di per sé non è necessariamente un problema – per rendersene conto basta guardare il numero di definizioni che hanno nei dizionari le parole più comuni2 –, ma può diventarlo. Perché magari il contesto è sufficientemente chiaro per capire cosa vuole dire la parola “fascismo”, ma ad ascoltare potrebbe esserci una persona alla quale quel contesto sfugge. Oppure una persona che vuole strumentalizzare quella ambiguità, il che accade spesso in quelle situazioni di “comunicazione ostile”, in cui ci si parla non per chiarire le proprie posizioni ma per definire degli schieramenti – e le discussioni politiche sono in generale un ottimo esempio di queste situazioni.
Insomma, “fascismo” è diventata una parola difficile da usare ed è un peccato, perché una parola vaga può essere utile per definire un concetto vago o meglio flessibile, retto non da rigide categorie aristoteliche ma un “è circa questo”. Il fascismo, quello vero di Mussolini, è stato questo, “un esempio di sgangheratezza politica e ideologica” come scrive Umberto Eco in Il fascismo eterno ricordando quante cose diverse il regime fascista abbia appoggiato e sostenuto. Ed è quindi normale che proprio fascismo, e non ad esempio nazismo o stalinismo, sia la parola che non solo in italiano sia stata generalizzata.
Il termine “fascismo” si adatta a tutto perché è possibile eliminare da un regime fascista uno o più aspetti, e lo si potrà sempre riconoscere per fascista. Togliete al fascismo l’imperialismo e avrete Franco o Salazar; togliete il colonialismo e avrete il fascismo balcanico. Aggiungete al fascismo italiano un anticapitalismo radicale (che non affascinò mai Mussolini) e avrete Ezra Pound. Aggiungete il culto della mitologia celtica e il misticismo del Graal (completamente estraneo al fascismo ufficiale) e avrete uno dei più rispettati guru fascisti, Julius Evola.
Poi in realtà Eco prova, a dispetto di questa utile vaghezza, ad elencare alcuni tratti del fascismo, come il culto della tradizione, l’irrazionalismo, la paura delle differenze o il disprezzo per i deboli. Non sono, o almeno così li intendo io, delle proprietà sufficienti e necessarie per definire il fascismo, ma degli indizi, delle tracce che dovrebbero quantomeno farci venire qualche dubbio sulla direzione che si sta per prendere.
In poche parole
Il 19 aprile, quando ormai la scorsa edizione di questa newsletter era già uscita, è morto il filosofo Daniel Dennett. Io oltretutto ho appreso la notizia il giorno dopo, sabato 20, così non sono neanche riuscito a scrivere un ricordo per il giornale.
Ho avuto il piacere, ormai diversi anni fa, di assistere a una conferenza di Dennett sulla coscienza. Più che i contenuti – la sua tesi, se non sbaglio, fu che non abbiamo una teoria della coscienza e forse non la avremo mai, ma quantomeno siamo in grado di escludere alcune teorie come il dualismo cartesiano –, mi ricordo lo stile. Cercava di argomentare ogni affermazione, senza nascondere i passaggi più deboli come spesso capita, sia in ambito accademico sia in incontri divulgativi come era quella conferenza. E aveva un grande rispetto per il pubblico, ad esempio sforzandosi di parlare lentamente e chiramanete immaginando che alcune persone avrebbero voluto ascoltarlo senza ricorrere alla traduzione simultanea.
Chiudo questa sezione segnalando un bel ricordo, in inglese, di Douglas Hofstadter e quello che secondo me è il libro più interessante di Dennett: Strumenti per pensare.
Tra cinquant’anni, in aprile probabilmente ricorderemo il cinquantesimo anniversario della morte di Dennett e i 350 anni dalla nascita di Immanuel Kant, nato il 22 aprile del 1724.
Sto scrivendo una serie di articoli sul suo pensiero, per vedere un po’ quali tracce ha lasciato Kant in vari campi del sapere. Ho iniziato con i suoi poco conosciuti lavori scientifici,3 dei quali mi ha parlato Silvia De Bianchi, ho proseguito con la sua filosofia trascendentale4 vista con gli occhi di un neuroscienziato, Giorgio Vallortigara, e oggi dovrebbe uscire l’articolo sull’etica kantiana con Roberto Mordacci (se il link non funziona riprovate più tardi).
Ma mi sembra giusto dare un contributo originale ai lettori di questa newsletter: avete presente il famoso aneddotto di Kant estremamente metodico e abitudinario, tanto che i vicini potevano sincronizzare gli orologi sulle sue passeggiate quotidiane? Ecco, la cosa degli orologi era forse vera ma non per colpa sua: il precisino della situazione non era infatti Kant, ma Joseph Green, un commerciante inglese di stanza a Königsberg. I due divennero amici intimi e il Kant andava tutti i giorni a trovare Green che però, con precisione maniacale, lo congedava alle 19 in punto.
L’ossessione per la puntualità di Green ispirò lo scrittore, e borgomastro di Königsberg, Theodor Gottlieb von Hippel per il protagonista di una sua pièce umoristica, ma poi le caratteristiche di quel personaggio vennero attribuite a Kant, creando il mito odierno che troviamo in molti manuali di filosofia.5
Hannah Ritchie si è chiesta quante persone sono morte in disastri nel 2023.
La risposta, ricca di dati, grafici e riflessioni interessanti è: circa 86mila, lo 0,2% delle persone che muoiono ogni anno nel mondo ma preoccuparsi dei disastri non è necessariamente un bias, una distorsione cognitiva, perché al contrario di altre morti sono morti facilmente evitabili con un po’ di manutenzione e prevenzione come mostra il caso dei terremoti; peraltro il dato di 86mila morti è provvisorio, perché ancora non si tiene conto delle ondate di caldo che sono disastri a tutti gli effetti, ma al contrario di terremoti e alluvioni ci vuole tempo per valutare il numero di vittime.
In pochissime parole
Why robots can be culturally insensitive, ovvero cosa si può fare per rendere i computer un po’ più attenti al contesto sociale nel quale si ritrovano.
No, Mel Gibson e Mark Wahlberg non hanno fondato «uno studio di produzione non-Woke» – e ci sarebbe da fare un lungo discorso su questo genere di bufale, ma sarà per un’altra volta.
Gli animali hanno una cultura? – di solito si dice che quando in un titolo di giornale c’è una domanda, la risposta è sempre “no”; in questo caso però è “più o meno”.
Capisci che negli Stati Uniti le forze dell’ordine hanno davvero una brutta reputazione quando un esperto di tecnologie come John Gruber consiglia di prendere l’abitudine a disattivare il riconoscimento facciale appena vedete una divisa.
Il mio lato pignolo mi impone di precisare che si tratta di germani reali.
Il vocabolario Treccani riporta, per le parole "casa” e “vedere”, 8 definizioni diverse ciascuna. In pratica la frase “vedo la casa” potrebbe significare 64 cose diverse – e non prendo in considerazione
Qui una versione accessibile: archive.is/c9hAS.
Altro link: archive.is/9yAfY.
Prendo queste informazioni dalla biografia di Kant scritta da Manfred Kuehn.