Ciao,
sono Ivo Silvestro e questa è la 84ª edizione della mia newsletter settimanale di segnalazioni e riflessioni – un po’ in ritardo rispetto al solito orario: chiedo perdono.
Oggi parliamo di cose che non so, di bufale lunari e di tette.
Ma prima una foto:
Non ne so abbastanza, di guerre culturali
Negli ultimi giorni sono successe diverse cose interessanti.
Il papa – o meglio il Dicastero per la Dottrina della Fede che ai tempi di Ratzinger si ricordava sempre essere “la Santa Inquisizione”, precisazione che mi pare sparita con Bergoglio – ha pubblicato la dichiarazione Dignitas infinita circa la dignità umana in cui si condanna la teoria gender. Insieme a molte altre cose: il concetto di dignità umana è complesso e stratificato e infatti nel testo si citano molte cose inaccettabili, incluso il trattamento delle persone che si trovano in carcere, “spesso costrette a vivere in condizioni indegne”, condannando la tortura “anche nel caso in cui qualcuno si fosse reso colpevole di gravi crimini”.
Anni fa mi ero letto con attenzione la prima enciclica di Ratzinger, Deus Caritas Est, analizzando l’idea che Benedetto XVI aveva del rapporto tra fede e ragione. Con Francesco e la dignità umana, pur avendo a che fare con un testo più breve, mi sono limitato ad ascoltare svogliatamente un servizio al radiogiornale mentre tagliavo l’insalata.
Sempre in questi giorni è stata pubblicata la “Cass review”, o meglio la versione finale dello Independent Review of Gender Identity Services for Children and Young People, una ricerca indipendente che il sistema sanitario inglese ha affidato alla pediatra Hillary Cass sul trattamento della disforia di genere – e in particolare sull’utilizzo di farmaci che bloccano (temporaneamente) lo sviluppo della pubertà. Si tratta di prodotti utilizzati da anni nella cura di alcuni tumori o in caso di quella che viene chiamata “pubertà precoce centrale”, ma che ora vengono impiegati anche su minorenni con disforia di genere, in pratica che non si riconoscono nel proprio “sesso biologico”.1
Al normale dibattito scientifico su una nuova pratica medica, in cui ci si ritrova in una situazione di incertezza a valutare rischi e benefici di un trattamento, si aggiunge tutto il baillame delle polemiche sull’identità di genere e le persone transgender.
Sempre in questi giorni, la Corte europea dei diritti dell’uomo2 ha condannato la Svizzera perché non fa abbastanza per contrastare la crisi climatica. La sentenza, pur avendo almeno nell’immediato trascurabili conseguenze pratiche – lo spiega bene Il Post in un articolo di approfondimento –, ha scatenato accese discussioni che vanno dalla legittimità della corte a come (e se) dovremmo contrastare il cambiamento climatico (e immagino che alcuni abbiano aggiunto, almeno mentalmente, “ammesso che esista”).
C’è stata poi la storia di una statua dedicata alla maternità e all’allattamento bloccata a Milano e uno spot “blasfemo” di patatine anch’esso bloccato.3 Tutti temi che rientrano tra i miei interessi ma che non ho voluto approfondire e che non mi sento di analizzare in questa newsletter. Perché?
Essenzialmente per due motivi. Il primo (e vale soprattutto per la Cass review e in parte anche per il documento papale) è che si tratta di temi complessi sui quali temo di non avere sufficienti competenze per dire qualcosa di interessante. Insomma, non ne so abbastanza: ho delle opinioni ma preferisco tenerle per me.
Il secondo motivo è che temo che, anche a dire cose sensate e magari collaterali all’argomento principale – una cosa che mi piace fare, per dare contesto e magari invitare le persone a guardare le cose da un altro punto di vista – non farebbe altro che aumentare le polemiche, aumenterebbe insomma la cosiddetta “guerra culturale”. E questo secondo motivo mi fa un po’ paura, perché lo vivo come una resa.
In poche parole
A proposito di intelligenza artificiale: settimana scorsa ho seguito l’interessante lezione che la linguista Emily Bender ha tenuto all’Università della Svizzera italiana (qui un riassunto dell’evento con alcune interviste).
La parte che ho trovato interessante non è tanto che i Modelli linguistici di grandi dimensioni (per capirci: ChatGPT e le altre IA che scrivono cose) non capiscono quello che dicono, cioè non hanno un “modello del mondo” al quale le parole si riferiscono e sono semplicemente dei “pappagalli stocastici” che ripetono parole scegliendo quelle più appropriate – è una cosa che penso ormai si possa dare per scontata, anche se c’è sempre il rischio di restare sopraffatti dalla coerenza di certe performance. Quello che ho trovato interessante è che, dal momento che le parole che sfornano ChatGPT e soci non hanno un significato in sé – non c’è una persona con una intenzione comunicativa –, vuoil dire che il significato ce lo mettiamo noi, con un lavoro di interpretazione che sarebbe la parte davvero intelligente di queste applicazioni.
A luglio uscirà il film Fly me to the Moon che, a giudicare dal trailer,4 parte dall’idea che Nasa e governo degli Stati Uniti a un certo punto avessero pensato di allestire un finto allunaggio, una messinscena pensata per coprire il possibile fallimento del Programma Apollo.
È una bella idea per un film – anche se non ho grandi aspettative sul risultato, tenendo anche conto che il regista, Greg Berlanti, non ha una filmografia proprio esaltante. Ma, al di là degli aspetti artistici, ci si può porre delle domande sull’opportunità di ammiccare a una delle più popolari fantasie di complotto. Tralasciando che il film sembra incentrarsi sulle difficoltà di allestire una credibile messinscena dell’allunaggio, in realtà non vedo particolari problemi: è vero che il cinema contribuisce a definire il nostro immaginario collettivo, ma se per sostenere che le missioni Apollo sono state una montatura ritieni che un film con Channing Tatum sia un buon argomento – beh, il problema è tuo, non del film.
A proposito di esplorazione lunare: la missione Apollo 11 è del 1969; il primo volo del 1903. Ciò significa che le persone ultrasettantenni che seguirono, in diretta tv, il “piccolo passo per l’uomo e grande passo per l’umanità” erano vive quando Wilbur e Orville Wright fecero il primo volo, di una quarantina di metri e una decina di secondi – alcune di loro avranno anche letto dell’impresa su qualche giornale.
Pur sapendo dell’incredibile sviluppo tecnologico di inizio Novecento, l’idea di un bambino, o bambina, che vede sul giornale una delle celeberrime foto del primo volo e poi, in pensione, segue in diretta l’allunaggio mi fa sempre girare la testa.
Restando in tema “prodotti audiovisivi e immaginario collettivo”, sono un fan della serie tv Law & Order. Su Amazon Prime sono disponibili varie stagioni e in un episodio dell’ottava stagione – il numero 17, ‘Carrier’ (Contagio) – il viceprocuratore Jack McCoy e l'assistente procuratrice Jamie Ross si recano dal giudice Abrams per ottenere una proroga. Il giudice li accoglie, nella versione originale inglese, con un “Mr. McCoy, Ms. Ross” che immagino appropriato alla situazione.
Tuttavia nella versione doppiata il giudice li accoglie con un curioso “Avvocato McCoy, signora Ross”. Siamo nel 1997 e chi ha curato il doppiaggio ha trovato perfettamente normale usare il titolo di avvocato solo per McCoy. Mi chiedo se oggi quella scena verrebbe adattata diversamente o se al direttore (o direttrice) del doppiaggio verrebbe ancora naturale usare “avvocato” e “signora”.
In pochissime parole
È meglio dire seno, tette o mammelle? Una interessante discussione sulle parole da usare nei vari contesti.
Sempre a proposito di parole, l’italiano utilizzato dalle istituzioni svizzere – al contrario di quello italiano – è comprensibile.
L’importanza di essere trasparenti:5 una mia intervista6 sulla fiducia nelle istituzioni a partire da un sospetto caso di abuso di autorità.
Tutte le leggende metropolitane sulla Melevisione, il programma “maledetto” dell’Internet italiano (affascinante vedere cosa nasce intorno a un programma per bambini, e ho il sospetto che di leggende metropolitane ne sarà sfuggita qualcuna)
Quando i dati discriminano, intervista di Rete Due a Donata Columbro (del libro c’è anche una mia recensione che però non è ancora online).
La definizione è imprecisa, me ne rendo conto.
Che non ha nulla a che fare con l’Unione europea e dovrebbe garantire una cosa in teoria cara a tutte le persone: le libertà individuali.
Niente link: non ho approfondito e non ho articoli da consigliare. Ma basta una ricerca su Google per trovare informazioni.
E i film non vanno mai giudicati dai trailer.
In caso di problemi ad accedere: archive.is/QElrv.
Nel senso di una intervista che ho fatto io (al professor Jean-Patrick Villeneuve), non che hanno fatto a me.
il dicastero per la dottrina della fede si chiama così dal 1965 :-) (e credo che al più sotto Ratzinger si ricordasse il nome Sant'Uffizio)