Ciao,
sono Ivo Silvestro e questa è la 130ª edizione della mia newsletter settimanale di segnalazioni – che trovate anche nel numero extra del lunedì – e riflessioni.
Oggi parlo di elezioni, informazione e disinformazione, di democrazia che non sa perdere, di società multiculturali e un po’ anche del nuovo papa.
Ma prima una foto: un ospite che è venuto a farci visita.
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Si fa presto a dire disinformazione
Il 4 maggio in Romania si sono tenute le elezioni presidenziali e, qualche giorno prima del voto, mentre seguivo l’ennesima presentazione dei candidati e riassunto delle puntate precedenti, mi sono chiesto “ma cosa so io della storia politica rumena?”.
Nel 1989 c’è stata la fine del regime di Ceaușescu: ero un bambino ma ricordo alcuni servizi del radiogiornale sulla rivoluzione. Poi cosa è successo? Senza cercare online, so solo che in un qualche momento degli anni Duemila il Paese è entrato nell’Unione europea e nella Nato.
Per curiosità ho chiesto a una intelligenza artificiale di riassumermi in 150 parole la politica rumena dal 1989 al 2024:1
La politica rumena post-1989 inizia con la Rivoluzione che rovescia il regime di Ceaușescu. Gli anni '90 vedono un difficile processo di democratizzazione sotto Ion Iliescu, ex comunista a capo del Fronte di Salvezza Nazionale. La transizione è segnata da corruzione, privatizzazioni controverse e instabilità economica.
Dal 2000, la Romania avvia riforme per l'ingresso nell'UE (2007) e nella NATO (2004). Traian Băsescu (2004-2014) implementa politiche neoliberiste e anticorruzione. Klaus Iohannis (2014-2024) continua questa linea, ma con risultati alterni.
Il sistema politico resta frammentato tra socialdemocratici (PSD), liberali (PNL) e nuovi partiti anti-establishment. La corruzione rimane endemica nonostante l'istituzione della DNA (Direzione Nazionale Anticorruzione).
Nel 2024, la Romania affronta una crisi costituzionale con l'annullamento delle elezioni presidenziali previste per quell'anno a causa di irregolarità nel processo elettorale, generando proteste di piazza e preoccupazioni internazionali sulla stabilità democratica del paese.
Certo in questi casi la memoria, almeno la mia, non è molto affidabile: anche a ricostruire i presidenti del consiglio italiani, o i consiglieri federali svizzeri, farei una certa fatica e sicuramente sbaglierei qualche nome o data. Ma nel caso della Romania ho il vuoto completo sulla parte centrale di quel comunque breve riassunto, dalla rivoluzione alla crisi costituzionale dell’anno scorso con le presidenziali annullate dalla Corte costituzionale per ingerenze da parte della Russia.
No, non è vero: qualche anno fa il Film festival diritti umani Lugano aveva premiato il regista rumeno Alexander Nanau per il suo lavoro, in particolare per il documentario ‘Colectiv’. Quel film denunciava la corruzione di uno stato incapace di garantire cure alle vittime di un incendio di una discoteca, il Collectiv appunto, con decine di persone morte non per le ustioni, ma per infezioni evitabili se il disinfettante venduto agli ospedali non fosse stato diluito per riuscire a rientrare dalle mazzette necessarie a vincere l’appalto (promemoria per quelli che definiscono la corruzione “un reato senza vittime”).2 Ho ripensato a quel film ogni volta che leggevo dei tanti casi di morbillo in Romania: il Paese ha una copertura vaccinale tra le più basse dell’Unione europea e del resto, farei vaccinare i miei figli in un posto dove con ogni probabilità chiunque, al ministero della salute come al centro medico, avrà preso o chiesto una mazzetta?
La (mia) ignoranza della Romania; la corruzione; elezioni ripetutamente vinte da movimenti anti-sistema; le poche vaccinazioni. Credo che tutte queste cose siano in qualche modo collegate.
Prima di tutto c’è il dimenticarsi, ammesso di averne mai letto su qualche giornale, della situazione politica di un Paese che sentiamo lontano nonostante connessioni in realtà forti: parliamo del sesto membro dell’UE per popolazione e quella romena è la comunità straniera più numerosa in Italia. Una maggiore attenzione avrebbe cambiato qualcosa? Molto probabilmente no, però credo che sarebbe stata opportuna e spero, per la Romania e altri stati europei, di non attendere una crisi istituzionale per scoprire cosa accade. Anche se quello che accade lo consideriamo ormai normale, come la corruzione e il malfunzionamento dei servizi pubblici, cose che riescono a diventare una notizia solo in casi estremi come quello raccontato da Nanau nel suo documentario.
Il legame tra scarsa copertura vaccinale e sfiducia verso le autorità è un tema indagato e conosciuto: anche se a volte è comodo semplificare il discorso dando la colpa agli antivax stupidi e ignoranti, il fenomeno dell’esitazione vaccinale è complesso e ha molte cause.
Un discorso simile riguarda anche il successo dei candidati “anti-sistema”. Mi ha stupito scoprire che George Simion, il candidato nazionalista ed euroscettico dell’Alleanza per l’unità dei romeni, è stato molto votato dai cittadini romeni all’estero. Il che contrasta un po’ con l’idea che abbiamo che sia tutta colpa della disinformazione e della lontananza delle istituzioni europee: parliamo di persone che usufruiscono direttamente della libera circolazione e che, trovandosi all’estero, sono meno esposte alla propaganda. Perché quindi hanno votato per Simion? “È stato un voto di protesta, dipeso soprattutto dal rigetto dei partiti istituzionali che hanno governato ininterrottamente negli ultimi 36 anni” ha riassunto Il Post, una analisi che si sovrappone con quella di Stefano Bottoni docente di storia dell’Europa orientale all’università di Firenze sentito da Internazionale.
La disinformazione è un problema. Ma non è il problema e, soprattutto, combatterla non è la soluzione.
In poche parole
In tutto questo parlare di Romania, non ho detto nulla sull’annullamento delle presidenziali. Il fatto è che sul tema “ho idee che non condivido”, perché se da una parte mi rendo conto della gravità della decisione della corte costituzionale – parliamo di annullare delle elezioni che, per quanto riguarda le operazioni di voto, si sono svolte regolarmente – e del fatto che uno degli effetti è aumentare la sfiducia verso un sistema che “non sa perdere”, dall’altra mi dico che se qualcosa ha interrotto il normale processo democratico è giusto intervenire.
Un discorso simile riguarda la recente decisione, al momento sospesa. di classificare AfD come organizzazione estremista in Germania. Sul tema segnalo un interessante articolo di Federico Zuolo pubblicato su Domani.
Sto leggendo Il grande esperimento di Yascha Mounk. Il libro è del 2022, il che lo renderebbe recente non fosse che sulla costruzione di una società multiculturale la sensibilità è cambiata radicalmente nell’ultimo periodo.
Probabilmente ritornerò a parlare del libro; intanto ecco un passaggio che ho trovato molto interessante:
Un altro esempio di questo approccio è la riluttanza a considerare il peso della razza e di altre identità ascritte nelle democrazie multiculturali di oggi. L’ambizione di “non vedere la razza” nasce da un’intuizione morale importante: gli esseri umani non valgono di più o di meno – e non sono più o meno in grado di diventare cittadini modello – a seconda del loro retaggio etnico. È un intento nobile quello di trattare le persone in base alle azioni e al carattere, non in base al colore della pelle.
A volte però chi si ripropone di non vedere la razza finisce in realtà per non vedere il razzismo.
Ieri è stato eletto un nuovo papa. È stato curioso seguire siti e canali di informazione tra la fumata bianca e l’annuncio del nome: lunghi minuti in cui sai che c’è la notizia ma non hai niente da dire perché non sai qual è la notizia.
Con un po’ di cinismo, è il momento in cui l’informazione ha mostrato quella che tendo sempre più a considerare la sua vera natura: intrattenimento basato sui fatti.
Per quanto riguarda Robert Francis Prevost ovvero Leone XIV, ho seguito distrattamente il suo discorso e letto qualche analisi. Credo che si possa tranquillamente parlare di “effetto Barnum”: come negli spettacoli del celebre impresario circense, nel discorso e nella biografia di Prevost c’è un po’ di tutto e così ognuno si può identificare in quello che più gli piace.
In pochissime parole
In Australia i cammelli selvatici sono un problema (e sono anche tanti, cosa che non immaginavo).
Ho scritto un resoconto più dettagliato dell’incontro con Judith Butler del quale avevo parlato la scorsa volta.
Ho verificato velocemente l’affidabilità di quanto ricostruito dall’IA e non ho trovato errori.
L’espressione ha in realtà un significato giuridico che ha un suo senso (non sempre c’è un soggetto specifico danneggiato), ma spesso viene fraintesa, o strumentalizzata per lasciare intendere che non c’è proprio danno.