Una newsletter priva di ChatGPT – ma con un po’ immagini
La newsletter numero 31 del 7 aprile 2023
Ciao,
sono Ivo Silvestro e questa è la 31ª edizione della mia newsletter. Oggi non parliamo di ChatGPT, di cui si parla fin troppo, ma di fotografie che ci sono e che non ci sono, che sono vere e sono false; e poi piante che piangono, l’arte di Jodorowsky e il lungoterminismo.
Ma prima una foto:1
Alcune delle opere della fotografa Aglaia Konrad in mostra al Teatro dell’architettura a Mendrisio. La mostra, che espone anche opere di Armin Linke e Bas Princen, mi è piaciuta molto e non lo dico solo perché organizzata dall’Università della Svizzera italiana per cui lavoro. L’allestimento, come si intuisce dall’immagine qui sopra, è particolare e sfrutta gli spazi del Teatro dell’architettura oltre ovviamente a valorizzare le opere dei tre fotografi. Su ogni opera esposta si potrebbero fare lunghi ragionamenti sul territorio, sull’architettura, sul nostro rapporto con le immagini e le fotografie eccetera ma è godibile anche senza stare a filosofeggiare.
Ah, il titolo è “What Mad Pursuit” e riprende il titolo di un libro di Francis Crick, il co-scopritore della struttura del DNA (giusto settant’anni fa).
A proposito di foto…
Come detto, parliamo di fotografie. Ma la prendo alla lontana, cioè dalla fine dell’Ottocento quando nacque la Domenica del Corriere, storico settimanale noto oggi soprattutto per le copertine illustrate da Achille Beltrame:
La fotografia esisteva già da tempo – la dagherrotipia risale a metà dell’Ottocento – e così pure il fotogiornalismo, ma per mostrare l’evento della settimana era meglio un’illustrazione. Del resto, all’epoca era impensabile che una persona con un apparecchio fotografico si trovasse per caso nei pressi del passaggio a livello in cui è avvenuto il curioso incidente che troviamo raffigurato qui sopra. Quindi, tra l’avere una foto realizzata ore o giorni dopo con se va bene i resti della bici oppure un’illustrazione del momento più drammatico – mille volte meglio l’illustrazione. Anche se non è vera – nei limiti in cui un’immagine può essere vera, ovviamente.2
Inutile dire che la faccenda oggi è molto diversa e siamo abituati ad avere – se non come singole persone, quantomeno come collettività – fotografie e filmati di momenti qualsiasi. Tanto che se di un evento importante mancano le fotografie, questa assenza diventa essa stessa una notizia quanto e forse più dell’evento in sé. È appena successo con il fermo di Donald Trump: insieme ad articoli di cronaca o sulle accuse e il procedimento legale, in molti si sono soffermati sul fatto che negli spazi dove Trump veniva interrogato fossero ammessi solo pochi giornalisti e senza macchine fotografiche o altri dispositivi. Ne scrive ad esempio Il Post, parlando esplicitamente di “ritorno al passato”, ma non è certo il solo.
Ed è curioso perché di un evento che è avvenuto – Trump che si reca in tribunale – non abbiamo fotografie. Mentre di un evento che non è avvenuto – la polizia che arresta Trump – abbiamo delle fotografie, per quanto artefatte (in questo caso create da un’intelligenza artificiale). Abbiamo immagini false che raccontano il falso. E neanche un’immagine – vera o falsa come lo erano le illustrazioni di Achille Beltrami – che racconti il vero.
Chiudo con qualche indicazione su come riconoscere le immagini create da intelligenze artificiali.
La briscola dell’arte
Ho intervistato Alejandro Jodorowky.
Ora, Jodorowsky è un artista – ma un artista particolare. Mi riferisco qui alla psicomagia, una sorta di “terapia artistica” che ha tutti gli ingredienti per essere una pseudomedicina. E anzi lo è diventata: l’insegnamento di Jodorowsky è stato effettivamente ripreso da alcuni ciarlatani, di quelli che pretendono di curare malattie con pratiche inutili o pericolose. Jodorowsky, da quel che mi risulta, non si è mai spinto fino a questo punto, occupandosi di disagi psicologici non particolarmente gravi e restando, seppur con qualche ambiguità, nell’ambito della performance artistica.
Ma il problema si pone ugualmente: può l’arte valere come scusa per sostenere e diffondere la pseudoscienza? È vero che per essere pseudoscientifica, una teoria deve muoversi nell’ambito della scienza, ma per escludere completamente qualsiasi sovrapposizione dovremmo considerare l’arte semplice intrattenimento.
Un discorso simile – anche se a tutt’altro livello artistico – vale per la pseudoarcheologia: con fantasiose ipotesi di civiltà scomparse possiamo farci dell’ottima, o della pessima, fiction. Se ci facciamo un documentario però stiamo, per dirla in parole povere, dicendo cazzate. Ma i documentari che riprendono il linguaggio della fiction incasinano il tutto.
Piante che piangono e altre storie
Forse avete sentito la storia che le piante, quando soffrono, urlano e piangono.
Si tratta di una scoperta interessante e importante ma, ecco, nell’esposizione ci si è lasciati un po’ prendere la mano. Come ha riassunto Giorgio Vacchiano, più che a un pianto siamo di fronte a uno stomaco che brontola per la fame:
L'ipotesi è che i suoni siano una conseguenza della cavitazione, il processo in cui bolle d'aria entrate nel sistema vascolare della pianta in seguito alla siccità o al danneggiamento di sue parti scoppiano e producono mini-onde d'urto. In altre parole, i suoni non sono volontari: la pianta non "grida" come segnalato da molti siti internet (tra l'altro traducendo male l'inglese 'cry', impropriamente usato anche da Nature e che in realtà significa "piangere"). Una analogia più accurata potrebbe essere il borbottio che emette il nostro stomaco prima o dopo i pasti.
Visto che non è bello distruggere i sogni senza dare nulla in cambio, aggiungo la spiegazione del perché la scoperta è importante:
La capacità di monitorare le colture attraverso il monitoraggio audio potrebbe portare a un'irrigazione più precisa e potenzialmente risparmiare fino al 50% dell'acqua aumentando i raccolti. Inoltre, la scoperta dei suoni delle piante potrebbe far luce su possibili nuove interazioni tra le piante e gli altri organismi.
Nel trailer del film di Barbie c’è un doppio senso che si è perso nel doppiaggio italiano.
Nella scorsa newsletter mi lamentavo del fatto che come umanità tendiamo a sottovalutare i problemi che non sono imminenti e visibili. Un lungo articolo sul lungoterminismo approfondisce il pericolo opposto, ovvero soffermarsi solo sulle “grandi minacce esistenziali” – è banale, ma a volte la virtù sta davvero nel mezzo.
Il libro della settimana
Visto che il tema di questa newsletter sono state le immagini, cosa meglio di un libro che si intitola Contro le immagini?
Il libro ovviamente non è contro le immagini, ma ripercorre la storia – da Platone ai giorni nostri – dell’iconoclastia. Per quale motivo nella storia dell’umanità diversi pensatori e culture hanno guardato con diffidenza alle immagini? Grosso modo, perché distraggono: ci si concentra sull’immagine, sulle sue proprietà e caratteristiche, invece di guardare – nel caso delle immagini sacre: venerare – la cosa che rappresenta l’immagine e che, almeno in teoria, dovrebbe essere più importante o quantomeno più reale.
Questa edizione della newsletter finisce qui; se vi è piaciuta potete consigliarla o condividerla con altre persone…
… e volendo potete anche fare una piccola donazione:
Ci leggiamo tra sette giorni.
Forse non ha molto senso scrivere “ma prima una foto” visto che saremo pieni di immagini, ma la tradizione è la tradizione.
Se intendiamo la verità come una proprietà di enunciati, allora un’immagine non può essere né vera né falsa – al massimo lo sarà un enunciato che riguarda quell’immagine. Ma l’idea intuitiva di verità che abbiamo è ben più ampia e in molti casi direi che possiamo avere immagini vere e immagini false.