Ciao,
sono Ivo Silvestro e questa è la 114ª edizione della mia newsletter settimanale di segnalazioni e riflessioni – che torna dopo una pausa imprevista di una settimana.
Oggi parlo di certezze mediche, registi francesi ottuagenari e buoni sconto.
Ma prima una foto: il telaio Jacquard-Vincenzi in mostra al Museo della scienza e della tecnologia di Milano.
Ingrandendo l’immagine è possibile vedere le schede perforate che i meccanismi del telaio convertivano poi in motivi tessili. Penso si possa considerare il telaio Jacquard come la prima intelligenza artificiale, una machina in grado non solo di svolgere un lavoro manuale, ma anche uno intellettuale, per quanto semplice come appunto seguire le istruzioni per la tessitura.
Certo, parlare di “intelligenza artificiale” è una forzatura: il termine è stato inventato a metà Novecento, quando questi telai erano roba da museo e penso che nessuno vi abbia mai incluso meccanismi così semplici e prevedibili. Ma allo stesso tempo, se diamo a “intelligenza artificiale” una definizione vaga ma tutto sommato chiara come “una macchina che fa qualcosa che non pensavamo una macchina potesse fare”, direi che il telaio Jacquard – almeno per i suoi contemporanei – vi rientra.
Filosofia dell’ibuprofene
Pochi giorni dopo la visita al Museo della scienza e della tecnologia di Milano, ho iniziato ad avvertire un leggero malessere. Visto che questa newsletter include una ragionevole quantità di racconti personali ma non è un diario, faccio avanti veloce – saltando i giorni trascorsi a letto con la stessa stanchezza di uno che ha corso un paio di maratone – arrivando subito alla radiografia al torace che ha confermato la diagnosi di polmonite, fortunatamente agli inizi.
Domani dovrei finire di prendere l’antibiotico ma già da qualche giorno sto meglio – e all’inizio quel “meglio” significa riuscire a stare in piedi più di un paio d’ore e l’avere la lucidità mentale sufficiente a seguire l’ennesimo adattamento cinematografico del Canto di Natale di Dickens. Soprattutto quest’ultima cosa è stata una grande soddisfazione: non tanto per il film in sé – una onesta commedia musicale che probabilmente tra qualche settimana mi dimenticherò di aver visto –, ma perché quello che più mi ha preoccupato non erano la stanchezza o i dolori muscolari, ma la difficoltà a pensare, quella nebbia mentale che l’ibuprofene riusciva a diradare per poche ore. Una situazione paradossalmente simile a quella di Sartre che consumava grandi quantità di corydrane (un farmaco che combinava aspirina e anfetamina) per riuscire a scrivere ore e ore di fila. Con la differenza che io ne avevo bisogno semplicemente per finire i due articoli che dovevano uscire.
Considero questa esperienza, per fortuna quasi conclusa, come il periodico promemoria che mente e corpo sono la stessa cosa. Ma torniamo alla visita dalla dottoressa. Mi sono presentato nel suo studio carico di speranze: capire cosa mi è successo e avere una cura. La medica ha ascoltato il mio resoconto e ha formulato l’ipotesi che abbia iniziato con un qualche virus (raffreddore, influenza, magari il Covid del quale ormai nessuno parla) per poi passare a qualche altra malattia. Gli esami del sangue erano contrastanti (un valore era nella norma, un altro no: non chiedetemi quali che ho studiato filosofia mica medicina) e anche i classici “respiri profondi a bocca aperta” con lo stetoscopio non erano chiarissimi, quindi come accennato all’inizio ha preferito fare una radiografia. Confermata la (per fortuna leggera) polmonite, eccoci con una bella cura di antibiotici da iniziare subito. Ma intanto analizziamo un campione di urina per capire se per caso non ho avuto la fortuna di prendermi proprio quel batterio resistente all’antibiotico più usato: “Nel caso la chiamo per cambiare cura”.
Sono tornato a casa soddisfatto: avevo una ragionevole idea di quello che mi era capitato e una cura molto probabilmente adeguata. Però non sapevo con certezza cosa mi fossi inizialmente preso: la dottoressa si era comprensibilmente limitata a fare qualche ipotesi, concentrandosi sulla malattia in corso. Ma neanche su quella c’erano certezze: proviamo questa cura e poi vediamo.
Il tutto è molto scientifico: raccogli indizi, formuli ipotesi e se puoi le metti alla prova. Non saprò mai se era influenza o virus respiratorio sinciziale, però so che l’antibiotico sta funzionando. La scienza funziona così, soprattutto una scienza pratica come la medicina, ma mi rendo conto che il tutto può anche essere poco soddisfacente, se ti aspetti di avere delle certezze. Forse io stesso sarei stato meno soddisfatto, se la mia medica non si fosse presa il giusto tempo per spiegarmi la situazione e i suoi ragionamenti.
In poche parole
Ho intervistato1 il regista francese Claude Lelouch, a proposito del suo ultimo film – che, nonostante i quoi 87 anni, potrebbe non essere proprio l’ultimo –, Finalement con un fantastico Kad Merad. È un film d’amore, ma meno melenso di quello che ci si potrebbe aspettare, anche perché al centro della storia, più che una relazione d’amore tra due persone, c’è la relazione tra l’individuo e la società.
Devo dire che quando Lelouch ha iniziato l’intervista con il classico “oggi non si può più dire niente” ho temuto il solito discorso contro il politicamente corretto. Invece il suo discorso era meno banale e scontato. Il problema, secondo Lelouch, è che “viviamo in un mondo dove nessuno osa più dire quello che pensa”: “Vede, soprattutto con i social network oggi è il trionfo della demagogia: i politici non osano più dire quello che pensano, gli innamorati non osano più dire quello che pensano… abbiamo fabbricato un mondo di bugiardi e di imbroglioni. Ecco perché ho fatto questo film”.
Non sono sicuro di riconoscermi nella diagnosi di Lelouch, visto che mi sembra che molti dicano quello che pensano senza nessun filtro, ma la sua riflessione è interessante.
Settimane fa ho ricevuto un buono sconto di 10 franchi per un negozio di ottica online. Ho deciso di approfittarne per un nuovo paio di occhiali da lettura oltre ai soliti liquidi per le lenti a contatto che consumo in gran quantità. Ho procrastinato l’acquisto fino a ieri, quando con già il carrello virtuale pieno mi è arrivato un altro codice di sconto, valido solo per pochi giorni e del 15% sui prodotti per lenti a contatto. Usando il secondo codice al posto del primo – ovviamente è possibile usare una sola promozione alla volta – ho risparmiato di più e dovrei quindi essere contento. Ma al contempo mi irrita l’idea di avere uno sconto di 10 franchi e non poterlo usare. Un bell’esempio del bias dell’avversione alla perdita.
In pochissime parole
Una cosa mia sulla mostra L’uomo e il clima2 in corso a Lugano, parte di un progetto del quale avevo già parlato (e criticamente).
La vittoria di Trump su Harris è più risicata di quello che si pensava, per quanto riguarda il voto popolare. Dal punto di vista politico-istituzionale non cambia nulla, ma tutti noi resteremo ancorati all’informazione iniziale, quella di una ampia approvazione popolare.
Il Washington Post ha un lungo e interessante articolo sulle flow batteries: sono molto grandi e pesanti, ma questo non è un problema se le si vuole utilizzare per immagazzinare l’energia di fonti rinnovabili discontinue come solare ed eolico.
Link accessibile: archive.is/5t1mp.
Link accessibile: archive.is/P6Ifp.