Una newsletter che non vuole mantenere il segreto
La newsletter numero 131 del 16 maggio 2025
Ciao,
sono Ivo Silvestro e questa è la 131ª edizione della mia newsletter settimanale di segnalazioni – che trovate anche nel numero extra del lunedì – e riflessioni.
Oggi parlo di edifici che per fortuna non crollano, dell’autorevolezza delle IA, di processi e vittime e di remigrazione.
Ma prima una foto: mappamondi nella mostra A World of Potential a Venezia.
Don’t panic
“Poteva essere strage” è il pigro titolo con cui si giustificano toni sensazionalistici di fronte a eventi tutto sommato minori, anche perché spesso la strage ipotetica è mancata di molto (solitamente per quelle misure di sicurezza che non fanno notizia). Però “poteva essere strage” mi sembra il modo migliore per raccontare dei problemi strutturali del Citicorp Center, un grattacielo di 59 piani in centro a Manhattan. L’edificio è stato costruito alla fine degli anni Settanta ed è sostenuto da colonne centrali anziché angolari. L’ingegnere William LeMessurier aveva fatto i calcoli, ma durante i lavori di costruzione hanno bullonato i giunti anziché saldarli e così sarebbero bastati venti diagonali intorno ai cento chilometri orari – tutt’altro che rari a New York – per far crollare il grattacielo. E visto che siamo a Manhattan, farlo crollare su altri grattacieli: difficile fare previsioni sul numero di vittime, ma penso che i quasi tremila morti dell’11 settembre sarebbero parsi poca cosa, a confronto.
Scoperto il difetto grazie alla curiosità di una studentessa di ingegneria, si è deciso di rimediare in gran segreto al problema, con lavori notturni e – fosse arrivata una tempesta – un piano di evacuazione concordato con le autorità. E così non solo non fu strage, ma non fu neanche “poteva essere strage” perché il caso è diventato di pubblico dominio molti anni dopo, con un articolo di Joseph Morgenstern pubblicato dal New Yorker. Ed è proprio l’aspetto della segretezza sul quale vorrei soffermarmi.
Perché mantenere il segreto? Per evitare il panico – e lo dico subito: mi sembra un’ottima ragione: già un’evacuazione organizzata e gestita dalle autorità avrebbe comportato disagi non trascurabili, la fuga disordinata di decine di migliaia di persone avrebbe quasi certamente causato morti e feriti. Teniamo anche presente che in assenza di vento molto forte non c’era alcun pericolo e che quei venti sono sì frequenti, ma non arrivano all’improvviso e che, in caso di pericolo, ci dovrebbe essere tutto il tempo di far partire l’evacuazione controllata.
Tuttavia la scelta di mantenere il segreto presenta indubbi vantaggi economici e di prestigio: cosa avrebbe comportato lo svuotamento, per almeno diverse settimane, di alcuni isolati di Manhattan? E chi si sarebbe più fidato della Citicorp e dei calcoli di LeMessurier? Per questo ritengo essenziale che la decisione sia stata presa dalle autorità e non dai proprietari del palazzo e dallo studio di ingegneria. Non solo è una questione di “conflitto di interessi” – è lecito, anche se forse un po’ ingenuo, aspettarsi una valutazione più obiettiva del caso –, ma anche di responsabilità: la popolazione di New York ha delegato al sindaco la gestione della cosa pubblica e in questa delega è inclusa anche la possibilità di mantenere segreti. Una sorta di giustificazione democratica del paternalismo: riconosco che in alcune circostanze è necessario trattarmi come un bambino e nascondermi la verità e quindi, se non ci sono alternative, ti autorizzo a farlo.
Ma era davvero necessario farlo? Se l’alternativa fosse stata semplicemente dire “ehi, quel bel palazzo potrebbe crollare uccidendo tutti nel raggio di dieci isolati”, chiaramente no. Ma si possono concepire strategie comunicative migliori, spiegando in maniera chiara che l’edificio rischia di crollare solo in caso di venti molto forti, che si è già intervenuti per ridurre questo rischio garantendo la funzionalità dello “smorzatore inerziale” anche in caso di interruzioni di corrente, che i lavori per risolvere definitivamente il problema sono in corso e che è pronto un piano di evacuazione in caso di tempesta.
Avrebbe evitato il panico? Abbiamo il solito problema dei controfattuali – la storia non si fa con i “se” e non possiamo sapere cosa sarebbe davvero accaduto – e sarebbe ingenuo pensare che nessuno avrebbe abbandonato la zona, o tutta Manhattan. Ma se la via della trasparenza comporta dei rischi, non è che quella della segretezza è così tranquilla: cosa sarebbe successo se la. notizia fosse trapelata? Il panico, certo, ma anche la completa mancanza di fiducia verso le autorità: chi avrebbe creduto alle rassicurazioni del sindaco, a quel punto?
E già negli anni Settanta la notizia stava per trapelare: fu un provvidenziale sciopero che coinvolse i giornali a evitare articoli da prima pagina – poi, sempre per la questione della “storia che si fa con i se”, magari per senso della responsabilità avrebbero evitato toni allarmistici e saremmo semplicemente nello scenario della comunicazione trasparente. Oggi, con i social media, non solo non possiamo sperare in scioperi salvifici, ma neanche nella deontologia professionale che imporrebbe una certa moderazione nei toni e la verifica delle informazioni.
Più rifletto su questo caso, più leggo nell’accaduto argomenti per la trasparenza e la libera circolazione delle informazioni e contro la segretezza.
Il difetto strutturale è infatti nato anche da una mancata comunicazione: LeMessurier non era stato informato della sostituzione dei giunti saldati con quelli bullonati, proposta dall’impresa costruttrice e approvata dal suo studio senza informarlo. E il problema è emerso grazie alla curiosità accademica e alla libertà di discutere e criticare il lavoro altrui: furono infatti le domande di una studentessa e di uno studente di ingegneria – le versioni su questo punto contrastano un po’ – a far sì che LeMessurier riguardasse quei progetti e rifacesse i calcoli, ponendosi il problema delle sollecitazioni per venti obliqui che colpiscono l’edificio su due lati.
In poche parole
Ieri Facebook mi ha proposto questo post:
Di per sé nulla di particolarmente originale: la solita fantasia di complotto di un politico che, profilandosi con posizioni “antisistema”, prende il mazzo completo e ha pescato la carta “non siamo mai andati sulla Luna”. Quello che trovo interessante è l’argomentazione, interamente costruita sull’autorevolezza e l’imparzialità di ChatGPT. Come a dire: guardate che non sono miei deliri, ma conclusioni logiche alle quali arriva chiunque non sia stato plagiato dalle narrazioni dominanti.
È un argomento che può far presa. Peccato che ci si dimentichi che se si parte da premesse false o incomplete, anche un ragionamento corretto può arrivare a conclusioni errate (e spesso i problemi della “logica complottista” riguardano le premesse, non il ragionamento). E soprattutto che ChatGPT, come tutti gli LLM, può essere facilmente convinto a sostenere posizioni assurde.
A proposito di “quanto sono obiettive e neutrali le IA generative”, Grok – l’intelligenza artificiale di Elon Musk – si è messo a tirare in ballo il “genocidio bianco” e già questo sarebbe un problema, visto che parliamo di una fantasia di complotto1 e una IA dovrebbe quantomeno tenere conto della precarietà di prove e argomenti portate dai sostenitori di questa fantasia di complotto. Ma Grok tirava fuori l’argomento in discussioni che non c’entravano nulla col genocidio bianco o con questioni razziali, come video di maialini o partite di basket.
Gérard Depardieu è stato condannato per aggressione sessuale. E delle cronache del processo mi ha colpito un particolare: la condanna per la “vittimizzazione secondaria” subita dalle due donne che lo hanno accusato perché “i diritti della difesa non possono giustificare dichiarazioni eccessive e umilianti che ledono la dignità delle persone”. Mi è venuto in mente un vecchio fumetto di Disegni e Caviglia.
Ci sarebbe poi la giustificazione dell’attore, quel “appartengo a un’altra epoca” che mi farebbe ribattere “e cosa ti impedisce di capire che il tempo passa?”.
In pochissime parole
No, “AstraZeneca” non significa «una strada verso la morte» in latino – che poi, anche fosse vero, cosa abbiamo dimostrato, che divisa un po’ a caso una parola può significare qualsiasi cosa in una qualche lingua?
Domani dovrebbe tenersi il primo “summit sulla remigrazione”. Nel Paese al momento politicamente più aperto a queste idee, l’Italia, ma non si sa di preciso dove.
Non parliamo del fatto che Paesi tradizionalmente omogenei sono sempre più multietnici (o comunque hanno minoranze sempre più visibili); parliamo dell’idea che immigrazione, denatalità, aborto e chissà cos’altro facciano parte di un piano studiato a tavolino per portare all’estinzione la razza bianca.