Ciao,
sono Ivo Silvestro e questa è la 56ª edizione della mia newsletter settimanale di segnalazioni e riflessioni; oggi parliamo di immagini e verità.
Ma prima una foto:
Mi sono ritrovato questa foto tra quelle salvate sullo smartphone quasi per caso: l’avevo scattata, qualche giorno fa, in risposta a un messaggio di mia moglie che mi chiedeva dove fossi. Invece di rispondere “sono sotto casa” le ho mandato una foto del sentiero sotto casa.
In quel particolare contesto la foto ha un significato ben preciso, sostanzialmente equivalente all’affermazione “sono sotto casa”, affermazione ovviamente vera, visto che mi trovavo davvero sotto casa. Se mi fossi trovato da un’altra parte e avessi inviato una foto scattata al mattino – approfittando del cielo nuvoloso che impedisce di capire esattamente dove sia il sole –, l’affermazione sarebbe stata falsa e avrei mentito. Ma se, pur trovandomi sotto casa, avessi inviato una foto scattata al mattino?
La verità delle immagini
Se qualche giorno fa aveste cercato “Tank man” – il soprannome dello sconosciuto che nel 1989 aveva impedito l’avanzata dei carri armati in Piazza Tienanmen – su Google Immagini, avreste avuto questo come primo risultato:
Si tratta di un’immagine prodotta da Midjourney, una delle migliori intelligenze artificiali generative per quanto riguarda le immagini. Sempre Midjourney aveva creato l’immagine del papa col piumino, circolata alcuni mesi fa:
Tuttavia mentre l’immagine papa poteva essere scambiata per una foto autentica, come effettivamente è accaduto,1 per quella di Tank man direi che il rischio è fortemente ridotto se non praticamente nullo. Non solo perché mi pare realizzata meno bene ma anche perché i selfie sono relativamente recenti, sia dal punto di vista tecnico sia da quello culturale:2 basta avere un minimo di contezza storica per capire che una foto simile non può essere stata scattata nel 1989.
Certo, un algoritmo come quello di Google che cerca e cataloga le immagini non ha contezza storica, ma quel selfie di Tank man proviene da una sezione di Reddit che si chiama proprio “midjourney” e che è dedicata alle immagini generate con questa IA. Google quindi sapeva, o era in grado di sapere, che quella immagine non era una vera foto ma questo non ha impedito di includerla tra i risultati per “Tank man”.
È un errore? Evidentemente sì, visto che Google ha rimosso l’immagine una volta che 404media ha scoperto e fatto notare la cosa. Tuttavia l’errore non è tanto la presenza di un’immagine generata da una IA – perché dovrebbero essere esclude a priori? –, ma il fatto che quella immagine si riferisce a un “argomento di pubblico interesse” (o almeno così ha spiegato un portavoce di Google). Insomma, chi cerca informazioni su Piazza Tienanmen deve ottenere foto autentiche, non create da una IA (a meno che non lo specifichi espressamente, è ovvio).
La scelta mi pare sensata: la presenza di “materiale di finzione” tra i risultati rischia di ridurre l’affidabilità delle informazioni autentiche.
Tuttavia questo principio si può applicare ad altro “materiale inautentico”? Google dovrebbe escludere, ad esempio, delle illustrazioni oppure il diario fittizio di uno dei manifestanti? Se cerco informazioni sulla Bloody Sunday, la strage avvenuta nel 1972 a Derry in Irlanda del Nord, dovrei escludere la canzone degli U2 e il film di Paul Greengrass?
Inoltre, come si fa a stabilire su quali argomenti è il caso di proporre solo informazioni affidabili e autentiche e su quali invece è ammissibile, e forse opportuno, inserire anche dei contenuti di finzione?
Le verità emotive
Il fatto è che non sempre ci aspettiamo la verità.3 Se chiedo a un passante dove si trova il centro, mi aspetto che le indicazioni “sempre dritto fino al semaforo poi a destra” mi permettano di arrivare in centro, mentre se chiedo di raccontarmi una barzelletta, mi aspetto una storia inventata (e possibilmente divertente). E l’elenco potrebbe continuare: in un saggio mi aspetto di trovare cose vere, in un romanzo no – o almeno non mi aspetto che sia tutto vero.
Alla fine, la ricerca online di informazioni su Piazza Tienanmen è solo uno dei casi in cui non è chiaro quanta verità dobbiamo aspettarci.
Restiamo al caso dei romanzi: le vicende sappiamo che sono inventate, ma spesso i luoghi no e anzi, ci aspettiamo una certa fedeltà nella descrizione, tanto che eventuali incongruenze diventano oggetto di biasimo. Esistono addirittura “guide letterarie al territorio” (qui quella della Svizzera italiana).
Marco Malvaldi, al termine del suo bel romanzo Oscura e celeste, giallo con protagonista Galileo Galilei, ha inserito un breve capitolo in cui spiega a grandi linee cosa è vero e cosa è falso, quali personaggi sono reali e quali inventati (in parte o del tutto).
Un discorso simile vale anche per gli spettacoli comici. Di fronte a battute tipo “quello spettacolo era così lungo che alla fine è arrivato Godot”4 non mi aspetto che siano vere – cioè non mi aspetto né che sia arrivato Godot, né che lo spettacolo sbeffeggiato sia stato davvero così interminabile.
Ma se il comico, come spesso accade, unisce la denuncia sociale?
Nella sua newsletter Massimo Polidoro afferma che in quel caso c’è, o ci dovrebbe essere, un forte impegno verso la verità:
Si tratta di programmi comici, chiaramente, ma dove il riferimento all'attualità è costante. I fatti commentati e descritti sono veri, perché se fossero inventati questi programmi perderebbero la loro ragione d'essere e diventerebbero fiction.
Il riferimento è al comico Hasan Minhaj che, come riporta il New Yorker, ha fortemente esagerato molti degli episodi che racconta nei suoi show. Tipo che della polvere trovata in una busta subito buttata nella spazzatura si trasforma nel ricovero della figlia per possibile contagio di antrace e la moglie che lo vuole lasciare.
Minhaj si difende parlando di “verità emotive” che a prima vista pare un po’ una supercazzola ma a ragionarci bene non ha tutti i torti. E neanche tutte le ragioni: semplicemente si muove in una zona grigia, approfittando del fatto che non è chiaro, in quel genere di spettacoli comici, quanta verità ci sia da aspettarsi.
Ecco, la conclusione di tutta questa storia è che forse andrebbe chiarito, che tipo di “impegno verso la verità” c’è nei vari contesti.
E per concludere
Questa settimana poche segnalazioni: non so se ho avuto io poco tempo per leggere o se quello che mi è capitato di leggere era poco interessante.
Ad ogni modo, ancora sul tema intelligenze artificiali Massimo Sandal ha scritto un bell’articolo su come le cose potrebbe cambiare in ambito medico perché, che ci piaccia o no, “il medico, nell’era post-AI, dovrà essere in grado di valutare l’assistenza fornita dagli algoritmi, con attenzione e scetticismo”.
Michele Serra, nella sua newsletter per il Post, ha fatto una interessante osservazione su quello che può permettersi una newsletter rispetto agli articoli di giornale: il poter affermare di non sapere cosa dire. Tutto parte dal fatto che un suo articolo del 1998 dedicato ai migranti è ancora attualissimo, tanto che “potrei ripubblicarl[o] pari pari domattina e nessuno se ne accorgerebbe, nemmeno io”.
Ma dette queste cose cinque, dieci, cento volte, ogni volta toccati nel profondo da immagini di morte e di segregazione, si sente che manca, al nostro discorso, qualcosa di importante: manca aggiungere qualcosa di operativo, un’idea intelligente, un pensiero nuovo. Manca quel tocco, anche piccolo, di “mai sentito” che rende meno prevedibile quello che stai per dire.
Il già detto, sui migranti, è ormai un vero e proprio monumento all’inutilità della parola.[…] Penso che una newsletter, a differenza di un giornale, sia fatta anche per questo: poter scrivere che non so più che cosa scrivere, a proposito dei migranti.
Questa edizione della newsletter finisce qui; ci leggiamo tra sette giorni.
Confesso che anche io l’ho inizialmente presa per vera, senza darci troppa importanza.
Un selfie non è un semplice autoscatto, o un autoscatto fatto con lo smartphone, ma c’è l’idea
Verità, qui, è da intendersi anche come autentico, includendo quindi anche immagini (o filmati, registrazioni audio, impronte sul terreno…) che di per sé non sarebbero né vere né false.
Purtroppo non ricordo di chi è questa battuta che trovo semplicemente geniale.