Ciao,
sono Ivo Silvestro e questa è la 68ª edizione della mia newsletter settimanale di segnalazioni e riflessioni. Oggi parliamo di punteggiatura, pietra composita, antisemitismo, clima e disinformazione.
Ma prima una foto: un’alba rosata senza tante spiegazioni.
Ora che ci penso potrei approfittare dell’alba per una tirata sul Sol Invictus, antica festività romana1 con cui alcuni movimenti ateistici cercano di decostruire il Natale. Ma mi e vi risparmio la cosa.
Una cosa sulla punteggiatura
Io adoro la punteggiatura. Ok, forse è esagerato però durante la revisione dei testi – miei o di altre persone – è la cosa che guardo e cambio di più. È una questione musicale, di ritmo della frase, ma anche di struttura del pensiero e a pensarci bene è strano che queste due cose così lontane come l’estetica e la logica di quello che scriviamo si manifestino nello stesso insieme di segni.
Tutto questo per introdurre un articolo di Marco Rossari su Il Post intitolato, semplicemente, La punteggiatura. La parte introduttiva dell’articolo mi è sembrato un esercizio di stile un po’ sterile, ma le descrizioni dei vari “segni paragrafematici” mi sono piaciute molto.
Il-trattino– Quello lungo separa, quello breve unisce: la poesia del trattino potrebbe stare tutta qua, in questo esercizio da circo alla Chaplin: il nanerottolo che tiene insieme con immenso sforzo e lo spilungone che si ostina a distanziare. Destino dello spilungone è distaccare parole per elaborare incisi, destino del nanerottolo è accorpare parole che forse un giorno non avranno più bisogno di lui, come “antifascista” o “ecosistema” (ormai diffuse). Ebbe un momento di gloria punk: Marco Philopat, scrittore milanese, pubblicò un intero romanzo, Costretti a sanguinare, dove l’unico segno di interpunzione era il trattino.
Una cosa sulla pietra composita
La pietra artificiale composita (o engineered stone) è un materiale formato da pietra frantumata tenuta insieme da un collante, di solito resine, molto usata credo soprattutto per i ripiani delle cucine. E dal prossimo luglio sarà fuorilegge in Australia, come scrive tra gli altri il Guardian.
Da quel che ho capito, il pericolo non riguarda tanto gli utenti finali: chi si ritrova la cucina in pietra composita non corre particolari rischi – al contrario di chi quella pietra l’ha prodotta e di chi l’ha installata e di chi si occuperà di smaltirla quando la cucina sarà smantellata. Durante la liberazione si liberano particelle che, quando finiscono nei polmoni, portano alla silicosi. Per questo le autorità australiane l’hanno vietata a partire dal prossimo luglio.
La situazione ricorda molto l’eternit e l’amianto, anche perché in Europa non sembra esserci la stessa attenzione: l’unica cosa che ho trovato sono raccomandazioni a lavorare la pietra composita in sicurezza. Non sono esperto ma mi sembra un po’ poco, pensando a tutti i controlli che si fanno per evitare ad esempio che durante dei lavori di ristrutturazione ci si ritrovi ad avere a che fare con l’amianto.
Una cosa sull’antisemitismo
Qualche giorno fa al parlamento polacco il deputato di estrema destra Grzegorz Braun ha spento una menorah con un estintore. Il tutto per interrompere quello che per lui è un “rito satanico”, ovvero la celebrazione per Hanukkah che si stava tenendo nella sede del parlamento. Ne scrive, tra gli altri, Reuters.
Braun è stato sospeso e si vedrà anche ridotta la paga di parlamentare e il gesto è stato condannato da praticamente tutti – segno che ci sono dei limiti che non è ancora possibile superare, a voler trovare qualcosa di positivo in questa vicenda.
Una cosa sul regolamento europeo sull’intelligenza artificiale
È stato trovato un accordo per il regolamento europeo sull’intelligenza artificiale – una cosa che potrebbe influenzare profondamente lo sviluppo e l’implementazione di queste tecnologie, non solo in Unione europea.
Ne ho scritto riassumendo un incontro con Roberto Viola della Direzione generale per le politiche digitali della Commissione europea (DG Connect), premiato dalla Fondazione Möbius Lugano. L’articolo è qui.2
Due cose sulle fake news
Due letture interessanti sulla disinformazione.
La prima è un articolo che avrei potuto scrivere io, forse non per la simpatia verso il pensiero debole ma sicuramente per l’antipatia verso chi si appella ai fatti trascurando le interpretazioni, quasi che le fake news fossero un problema di mancanza di fatti e non di qualità delle interpretazioni. Qualcosa di simile lo avevo in effetti scritto qualche anno fa; Paolo Gerbaudo la mette giù meglio con L'ermeneutica contro le fake news. Qualche estratto (enfasi mie):
Contrapponendo la verità alla falsità in un grande scontro manicheo si rischia di creare a nostra volta una mistificazione; negare che la stessa “verità oggettiva” (o le tante versioni di essa che vengono proposte) non è un dato di natura, ma piuttosto il prodotto di un processo conoscitivo e rappresentativo di una interpretazione della realtà.
[…] i “fatti” non diventano una nuova koiné condivisa da tutta la popolazione indipendentemente dalle differenti posizioni politiche. Al contrario, essi diventano armi retoriche brandite da una parte contro l’altra per dimostrare che l’avversario è “fuori dalla realtà” e quindi non ha diritto di partecipazione.
[…] Piuttosto la risposta adeguata a chi fornisce interpretazioni evidentemente faziose e in cattiva fede dovrebbe essere inchiodare gli autori alla responsabilità delle conseguenze politiche delle loro interpretazioni. Ma fare questo comporterebbe appunto superare l’illusione (suppostamente ideologica, in realtà iper-ideologica) che i fatti possano parlare da sé.
Il secondo articolo che consiglio è invece scritto da Daniel Williams che se la prende con l’idea che le fake news siano una malattia sociale da curare ostacolando la diffusione della disinformazione, ad esempio controllando i mezzi di informazione. In realtà Williams mantiene la metafora medica, cambiandone un po’ i termini: la cattiva informazione è il sintomo, non la causa (Misinformation is the symptom, not the disease)3 e quindi dovremmo intervenire sulle cause – sfiducia nelle istituzioni, polarizzazione, visioni del mondo anti-establishment – e lasciare perdere i sintomi.
Si potrebbe ribattere che spesso si interviene anche sui sintomi, soprattutto quando questi diventano pericolosi come lo può essere una febbre molto alta, ma credo che il punto dell’articolo di Williams sia un altro: la necessità di allargare lo sguardo e di non isolare le fake news dal resto del sistema informativo e di formazione delle credenze.
Tre cose sul clima
Le nevicate di novembre nell’Europa continentale non negano i cambiamenti climatici titola Facta in uno dei numerosi articoli di fact-checking sulla crisi climatica.
L’articolo è al solito ben documentato. Tuttavia, anche per riallacciarmi al discorso qui sopra sul fatto che appellarsi ai fatti ha poco senso, mi sarei maggiormente soffermato sulla relazione tra meteo e clima. Insomma, come si fa a capire se un singolo evento – un nubifragio, una siccità o, in questo caso, abbonanti nevicate – è “normale” oppure rientra nei casi “eccezionali” dovuti al riscaldamento globale. Perché se no è facile liquidare con “il meteo non è il clima” gli eventi che non collimano con la nostra visione del mondo e prendere in considerazione solo quelli che ci convincono.
Sulle nevicate di novembre – delle quali mi sembra che adesso restino ben poche tracce a basse quote – non so, ma in generale esiste un comitato che cerca, in tempi relativamente veloci, di capire se un evento estremo è “normale” o “eccezionale”: il World Weather Attribution.
Poi c’è la storia che per combattere il cambiamento climatico basterebbe piantare più alberi. Tralasciando che si tratterebbe di mille miliardi, cosa che richiederebbe uno sforzo enorme (a trovare i terreni dove piantarli, i vivai per produrre le piantine, le risorse per curare queste foreste eccetera), il tutto si basa su una ricerca dalle conclusioni un po’ avventate. I dettagli in un lungo e interessante articolo su Climalteranti scritto da Giorgio Vacchiano. Il sunto è: piantare alberi è una buona idea, ma va fatto bene e comunque è al massimo una delle strategie da attuare, non l’unica soluzione alla crisi climatica.
Insomma, resta sempre valida la cosa del ridurre le emissioni e dimenticarci dell’energia fossile – non è che piantare alberi ci permette di mantenere centrali elettriche a carbone come quella di Civitavecchia che “figura come l’impianto industriale italiano che causa maggiori danni alla società”.
Cosa si intende con “danni alla società”? Lo spiega bene Anna Violato e Marta Frigerio su Radar: secondo i calcoli dell’Agenzia europea dell’Ambiente, “più di 1 miliardo di euro l’anno, un calcolo basato sugli anni persi a causa delle morti premature causate dall’inquinamento atmosferico e (per i gas serra) sul costo per l’abbattimento delle emissioni di carbonio”. I dettagli su come si calcolano questi costi, perché le centrali termoelettriche hanno un impatto così importante e sulle possibile soluzioni nell’articolo L’industria dei combustibili fossili ci costa più di 12 miliardi l'anno.
Forse sarebbe più corretto dire che il Sol Invictus era una divinità celebrata in questi giorni con le giornate (quelle con la luce del sole, che i giorni durano circa tutti uguali) più corte, albe più tarde e tramonti più anticipati.
O qui, se avete problemi ad accedere: https://archive.is/yWByU.
Sempre in caso di problemi a leggere l’articolo, si può provare qui: https://archive.is/k4H5v.