Ciao,
sono Ivo Silvestro e questa è la 22ª edizione della mia newsletter. Oggi parliamo di animali che erano estinti, di effetti speciali, di ChatGPT e di pioggia.
Ma prima una foto:
È il peluche di un dodo che tengo al lavoro (insieme a quello del gatto Silvestro e del coronavirus che si intravedono sullo sfondo insieme alla mia tazza per il tè).
Il caro estinto
Questa newsletter – e prima di essa il sito – deve il suo nome al dodo. Per chi non lo sapesse, era una sorta di grosso tacchino che viveva nelle isole Mauritius.
Le Mauritius stanno qui:
Il dodo viveva lì fino al fino al diciassettesimo secolo, quando appunto si è estinto. O forse dovremmo dire “si era estinto” perché c’è un progetto per riportare in vita il dodo. Si chiama “de-estinzione” ed è un tema molto affascinante e complesso.
Iniziamo dalla notizia, pubblicata con un certo scetticismo su Scientific American. Perché scetticismo? Perché, come ha osservato Massimo Sandal1 su Facebook, dietro l’annuncio c’è George Church che “ormai è l'Elon Musk della biologia molecolare: un sacco di hype e poco arrosto”.
L’idea, sulla carta, è semplice: troviamo il DNA del dodo, cloniamo un po’ di individui e li lasciamo in giro per le Mauritius. Questo in teoria. E, come diceva Yogi Berra, in teoria non dovrebbero esserci differenze tra teoria e pratica, ma in pratica ci sono. Iniziamo col fatto che per clonare un animale serve un ovulo non fertilizzato e, come si spiega nell’articolo, al momento non ne abbiamo di uccelli. Ammettiamo di risolvere questo e altri problemi biotecnologici: abbiamo un esemplare di dodo. Un unico, solitario, isolato esemplare di dodo che, al contrario di tutti gli altri animali non estinti, non potrà mai imparare dai suoi simili – e non tutto quello che fanno gli animali è frutto dell’istinto.
Inoltre le Mauritius di oggi sono diverse dalle Maritius in cui il dodo viveva pacifico e tranquillo. Davvero ci possiamo aspettare che un singolo individuo clonato riesca ad adattarsi a un ambiente così diverso?
Pensare che basti clonare un po’ di esemplari per riportare in vita una specie estinta significa avere una visione individualistica della natura. Pensiamo al singolo animale, ignorando la comunità della quale è parte, i rapporti con altre specie.
Stefano Mancuso, in L’incredibile viaggio delle piante, ci aiuta a capire questi legami partendo proprio dal rapporto tra il dodo e il tambalacoque:
Nel 1977 un ornitologo americano, Stanley Temple, suscitò un’accesa discussione nella comunità scientifica a seguito della pubblicazione di un suo lavoro sulla rivista «Science» in cui sosteneva che fra l’albero e il dodo esistesse un legame inscindibile. Temple sosteneva che affinché i semi del tambalacoque potessero germogliare dovevano necessariamente passare prima attraverso il sistema digerente del dodo. Qui, l’azione combinata dell’abrasione cui sarebbero stati sottoposti nel ventriglio dell’uccello e degli acidi prodotti dallo stomaco, intaccando la superficie legnosa dei semi, avrebbe permesso all’acqua di penetrare innescandone la germinazione. Ne conseguiva che, con l’estinzione del dodo, anche l’albero sarebbe stato necessariamente destinato ad estinguersi.
Il presunto legame tra dodo e tambalacoque è stato in seguito ridimensionato, ma il tema rimane comunque affascinante. Concludo con una citazione magica: nel mondo di Harry Potter il dodo non è estinto. Come si legge nel libro Gli animali fantastici: dove trovarli:
Il Diricawl è originario di Mauritius. Uccello grassoccio, dalle piume
vaporose, incapace di volare, il Diricawl è notevole per il suo modo di
sfuggire ai pericoli. Può scomparire in uno sbuffo di piume e riapparire da
un'altra parte (anche la Fenice ha questa capacità; vedi oltre). Fatto
interessante, un tempo i Babbani erano perfettamente consapevoli
dell'esistenza del Diricawl, anche se lo chiamavano col nome di «dodo».
Non sapendo che il Diricawl può sparire a suo piacere, i Babbani sono
convinti di aver dato la caccia alla specie fino a provocarne l'estinzione.
Poiché questo fatto sembra aver aumentato la consapevolezza Babbana dei
pericoli di compiere una strage indiscriminata delle creature amiche, la
Confederazione Internazionale dei Maghi non ha mai ritenuto opportuno
rendere noto ai Babbani che il Diricawl esiste ancora.
Grande è lento, ChatGPT e le piogge di una volta
I fan di Guerre stellari riconosceranno subito la sequenza iniziale del primo film, poi diventato il quarto:
Due risposte su Quora ci portano nel mondo degli effetti speciali di quel film e di altri classici della fantascienza.
La prima riguarda la velocità apparente con cui si muovono le astronavi. la domanda che potremmo farci – come mai le astronavi piccole sono veloci e quelle grandi sono lente? – è infatti sbagliata e va ribaltata. Non è che le astronavi piccole si muovo velocemente e quelle grandi lentamente, ma sono le astronavi veloci che ci sembrano piccole e quelle lente che ci sembrano grandi. Senza riferimenti particolari, il nostro cervello valuta la dimensione in base alla velocità e così se dobbiamo mostrare un incrociatore stellare (che è lungo qualcosa come un chilometro e mezzo) evitando che ci appaia una navetta piccina, la dobbiamo mostrare mentre si muove lentamente sullo schermo.
E, per far sì che sembri vera, dobbiamo fare in modo che sia tutta messa a fuoco. Il che, e arriviamo alla seconda risposta, negli anni Settanta non era così banale. Perché è importante? Perché poca profondità di campo fa pensar a un oggetto piccolo, come mostra questa foto del vero Tower Bridge di Londra che pare un modellino:
Peraltro a Londra non piove più come una volta. O meglio, da nessuna parte del mondo piove più come una volta.
Il motivo è scontato: il riscaldamento globale. Meno scontato è capire come: il ciclo dell’acqua è complesso e soggetto a continue oscillazioni, capire cosa e in che misura dipende dal riscaldamento globale e cosa da altri fattori non è semplice. Ci viene in soccorso Albert Van Dijk che su The Conversation spiega un po’ di cose.
Globalmente la quantità di precipitazione non sembra cambiare di molto. Ma le maggiori temperature significano aria più calda e secca e maggiore energia nell’atmosfera. In altre parole chi è all’asciutto è ancora più asciutto (diremmo arido) e chi è bagnato è ancora più bagnato (o meglio allagato).
Più o meno così:
Chiudiamo con un po’ di tecnologia.
Gabriele Balbi su laRegione parla di usi imprevisti della tecnologia.
Su Il Bo Live Daniela Ovadia affronta il tema delle intelligenze artificiali che scrivono articoli scientifici, figurando addirittura tra gli autori.
Questa edizione della newsletter finisce qui; se vi è piaciuta potete consigliarla o condividerla con altre persone…
… e volendo potete anche fare una piccola donazione:
Ci leggiamo tra sette giorni.
Il bel libro di Sandal su estinzioni e de-estinzioni l’ho già citato, ma lo rifaccio volentieri: si intitola La malinconia del mammut e merita di essere letto.