Ciao,
sono Ivo Silvestro e questa è la 38ª edizione della mia newsletter. Oggi parliamo di pseudoscienza, di consenso scientifico e di globalizzazione.
Ma prima una foto:
Sono alcuni studenti dell’Accademia di architettura dell’Università della Svizzera italiana nella “mise en scène” dell’Atelier Blumer, un evento pubblico che si tiene ogni anno e che nei giorni scorsi si è svolto nell’ambito del festival di arte inclusiva Orme.
A proposito di inclusione e linguaggio ampio, consiglio l’ultima puntata del podcast del Post Amare parole di Vera Gheno, Nessuno può dirmi come parlare.
Pseudomedicina reale
Si dice che la credenza nelle pseudoscienze è “a grappolo”: come gli acini d’uva, è difficile trovarne una isolata dalle altre. Tuttavia Re Carlo III è un ambientalista preoccupato per la crisi climatica ma anche un sostenitore delle medicine alternative. Tanto da aver nominato Head of the Royal Medical Household (se ho capito bene, una cosa tipo il responsabile dei medici reali) il dottor Michael Dixon che la rivista The Skeptic definisce senza tanti giri di parole “alt-med fan”.
Se volete saperne di più sulle passioni pseudoscientifiche di Re Carlo III, c’è una puntata di qualche settimana fa del podcast Ci vuole una scienza (dal minuto 17 circa la parte interessante).
Tornando a The Skeptic, Michael Marshall racconta del suo incontro con alcuni complottisti. Il titolo del suo articolo riassume tutto: Patience isn’t just a virtue, it’s a crucial part of showing compassion for conspiracy theorists. (Da notare che in inglese “compassion” non è la compassione, ma la comprensione). Non deve essere facile essere pazienti quando, mentre stai facendo una conferenza, qualcuno ti interrompe urlando che sei un poco di buono. Ma se ce la fai, e se riesci a trattenere le reazioni irate del resto del pubblico, puoi ritrovarti a bere una birra con i complottisti e approfondire le loro ragioni. Ovviamente, come scrive Mashall, non per convincerli che si sbagliano, ma almeno per mostrare loro che i sostenitori della “versione ufficiale” non sono al soldo dei poteri forti. E magari qualche crepa nel loro sistema di credenze la si crea, cosa che – passo a una recente ricerca che ho visto descritta su Neuroscience news – potrebbe essere una buona strategia.
Certo, non è facile avere pazienza e comprensione – e lo sforzo deve avvenire da entrambe le parti.
Reato di negazionismo climatico
Non mostra né pazienza né comprensione Gianfranco Pellegrino che su Domani auspica l’introduzione del “reato di negazionismo climatico”. Inutile girarci attorno: è una cazzata.1 Non che il negazionismo climatico sia innocuo – ma non è che ogni problema possa essere affrontato tramite il diritto penale. Certo in alcuni casi si fa così con il linguaggio d’odio e col negazionismo dell’Olocausto, ma si tratta innanzitutto di provvedimenti molto discussi e che trovano giustificazione nel fatto di danneggiare direttamente delle persone.
Certo, sarebbe divertente vedere in tribunale gli autori di un volantino arrivato nelle bucalettere2 elvetiche nei giorni scorsi.
A proposito di bufale e clima: nella scorsa newsletter ho sbagliato un nome ed è stato un errore molto grosso, come ho spiegato sul blog.
Il dibattito scientifico è finito
“Il dibattito scientifico sul cambiamento climatico è finito” titola Valigia Blu. Ed è un bell’articolo, scritto da Antonio Scalari, nel quale si spiega bene cosa si intende con consenso scientifico e in che misura il dibattito è finito. Riassumendo: non è che non si discuta più di cambiamento climatico, ma lo si fa intorno a un nucleo di conoscenze che in questo momento non ha senso mettere in discussione. Senza dimenticare che la discussione scientifica si salda con quella sociale, politica ed economica su come affrontare la crisi climatica.
Ma appunto perché di cose da discutere ne rimangono molte, mi sono chiesto se non sia controproducente affermare che “il dibattito è finito”. Certo anche l’alternativa – “ci sono aspetti ancora aperti” – può essere fraintesa. Un possibile compromesso potrebbe essere “il consenso è sufficientemente robusto per prendere decisioni”. Così da sottolineare che non è il caso di rimandare per l’ennesima volta provvedimenti necessari.
E per finire…
Non c’è più la globalizzazione di una volta e c’è della amara ironia che ad affossare il progetto di un mondo senza frontiere non siano i famigerati “no-global”, ma il sistema economico stesso. La pandemia prima, la guerra in Ucraina poi hanno riportato in auge protezionismo e ri-localizzazione (il riportare le produzioni all’interno dei confini nazionali). Ad andarci di mezzo, ieri come oggi, i Paesi africani come scrive Jonathan Munemo su The Conversation.
Nassim Nicholas Taleb, quello del cigno nero e antifragile, su ChatGPT:
Something people are not getting about ChatGPT: it is impressive but ONLY if you don't have domain knowledge. Exactly like someone who came out of journalist school. In real life, you ask the EXPERT and specialist to teach you stuff, not the journalist.
Una breve storia su cosa è la biodiversità.
Infine, una cosa che ho scritto su David Chalmers, “la rockstar della filosofia”, e le sue teorie sulla realtà virtuale che sarebbe reale quanto la realtà fisica.
Questa edizione della newsletter finisce qui; se vi è piaciuta potete consigliarla o condividerla con altre persone…
Ci leggiamo tra sette giorni.
Forse dovrei mostrare maggiore pazienza e comprensione, ma “è una cazzata” mi pare la migliore descrizione possibile.
“Bucalettere” tutto attaccato è un elvetismo così elegante e trasparente che mi sorprende non abbia sostituito ovunque il tortuoso “buca delle lettere”.