Ciao,
sono Ivo Silvestro e questa è la 73ª edizione della mia newsletter settimanale di segnalazioni e riflessioni.
Oggi parliamo di classici e polarizzazione, malaria, proprietà intellettuale e auto.
Ma prima una foto: il logo del LAC, il centro culturale di Lugano, visto da vicino.
Classici con troppo tempo
Mercoledì scorso sono andato, appunto, al LAC per vedere West Side Story. Confesso di avere una certa passione per questo musical, dalle varie registrazioni – quella “classica” del 1984 diretta dallo stesso Bernstein con José Carreras e Kiri Te Kanawa1 mi ha tenuto compagnia prima dei servizi di streaming – ai due adattamenti cinematografici, sia quello del 1961 di Jerome Robbins e Robert Wise sia quello del 2021 di Steven Spielberg. Dal vivo l’avevo visto solo una volta, qualche decennio fa, a Milano.
La prima assoluta dello spettacolo è stata nel 1957 – sono passati quasi settant’anni, non so se siano abbastanza per considerare West Side Story un classico della nostra cultura, ma visto che alla base c’è Romeo e Giulietta che di anni ne ha oltre quattrocento, penso che di classico si possa parlare tranquillamente. Per riprendere le abusate parole di Calvino, è un’opera che “non ha ancora finito di dire quel che ha da dire”.2 Ma questo non significa che un classico debba sempre dire la stessa cosa, anzi: io ho sempre interpretato questa definizione come il fatto che un classico sappia adattarsi a nuovi contesti sociali e culturali, senza ridursi a quello in cui è stato concepito per la prima volta.
Così, mentre seguivo lo scontro tra le gang rivali dei Jets e degli Shark e l’amore inconcepibile tra Tony e Maria, mi sono ritrovato – prima di commuovermi nel finale – a vedere tutto questo come una allegoria della polarizzazione delle opinioni e della contrapposizione identitaria. Non dico che Bernstein e Sondheim avessero in mente questi concetti, che credo siano molto più recenti, e neanche che approverebbero questa rilettura: semplicemente, credo che noi, oggi, possiamo rileggere West Side Story ricorrendo a questi concetti.
Abbiamo la polarizzazione: o stai dalla parte dei Jets, o stai da quella degli Shark, non ci sono altre possibilità. E con “altre possibilità” non intendo uno scenario utopistico in cui ci si rende conto che la contrapposizione tra vecchi e nuovi immigrati non ha molto senso – non esageriamo! –, ma semplicemente il non cercare lo scontro. Interessante la diffidenza che anche i Jets nutrono verso la polizia, nonostante gli agenti condividano con loro l’odio verso i portoricarni.
Soprattutto, abbiamo l’identitarismo: sei un Jets “dalla prima sigaretta al tuo ultimo giorno di vita”, senza possibilità di cambiare, e il fatto di essere un Jets (o uno Shark) ti definisce totalmente.
Tony e, in misura minore,3 Maria rifiutano questa idea. E si rendono conto che per essere sé stessi devono abbandonare quell’ambiente polarizzato e identitario per andare da qualche altra parte: “We'll find a new way of living […] Somewhere […] Someplace for us, a time and place for us”.
Tony e Maria non raggiungeranno mai questo altrove: Tony, come noto,4 viene ucciso e il suo corpo viene portato fuori scena da Jets e Shark uniti dal dolore e non più separati dall’odio. Nella mia reinterpretazione di West Side Story, ci vedo il fatto che per superare la polarizzazione e l’identitarismo le emozioni sono utili ma non sono sufficienti.
In poche parole
Buone notizie sul fronte5 delle malattie infettive: all’inizio dell’anno la malaria è stata ufficialmente debellata a Capo Verde (è il quarto Paese africano a raggiungere questo obiettivo). E in Camerun è iniziata la prima campagna di vaccinazione contro la malaria.
Il New Yorker ha un lungo articolo sulle storture della proprietà intellettuale, scritto partendo dalle sfide poste dalle intelligenze artificiali generative.
L’articolo è molto interessante anche se secondo me fa un po’ di confusione su alcuni aspetti.
Uno è scusabile essendo un testo statunitense: diritto d’autore e copyright non sono la stessa cosa. Mentre il secondo nasce fondamentalmente per tutelare chi stampa le opere dalla realizzazione di copie clandestine, il primo ha a che fare con l’idea che ci sia un legame tra opera e autore e che manomettere l’opera possa in certe circostanze danneggiare l’autore.
Poi certo, alla fine copyright e diritto d’autore si sono uniformati ma questa differenza concettuale rimane. E molto diversi rimangono anche i vari istituti che vengono inclusi sotto l’etichetta di “proprietà intellettuale”. Nell’articolo si accenna ai marchi depositati e al fatto che UPS possegga la particolare tinta dei suoi camion, ma come esempio di abuso non mi pare molto convincente. Ci sono casi in cui la tutela dei marchi registrati è stata usata per ridurre la concorrenza, ma questo del colore dei camion va a tutelare i consumatori che potrebbero essere ingannati e credere di affidare i propri pacchi a UPS invece che a un’altra ditta meno nota e affidabile.
Per me l’automobile è quello strumento che sono costretto a utilizzare per quegli spostamenti che è troppo difficile o costoso fare a piedi, in bicicletta o con i mezzi pubblici – ho quindi scarso interesse per le caratteristiche della mia auto, una volta soddisfatte le necessità familiari di mobilità.
Per altre persone è diverso e va benissimo così: in altri ambiti farò anche io scelte che altre persone faticano a comprendere. Tuttavia certe scelte hanno conseguenze sulla vita degli altri ed è il caso dei SUV, come spiega questa newsletter di Radar:
Se n’è accorta anche l’Agenzia Internazionale per l’Energia, che ha calcolato che i SUV sono stati la seconda più grande causa nell’aumento delle emissioni globali tra il 2010 e il 2018, vanificando i risultati raggiunti in altri settori. Altri calcolano che negli ultimi dieci anni le emissioni del settore dei trasporti sarebbero potute scendere nettamente se non fosse stato per le vendite di SUV.
[…] Le dimensioni dei SUV sono un problema anche al di là delle emissioni. Secondo un rapporto di Transport&Environment, in Europa la larghezza media delle nuove auto vendute sta aumentando di 1 centimetro ogni due anni. Questo è vero sia per i SUV, sia per gli altri modelli. Il risultato è che lo spazio disponibile per altri usi delle strade - a partire dalle biciclette - si riduce, con sempre meno spazio di sicurezza tra le auto parcheggiate e quelle che viaggiano.
Incuriosito da un articolo di Gary Marcus, scienziato cognitivo scettico – o forse dovremmo dire realista – nei confronti delle potenzialità delle IA generative, ho chiesto a ChatGPT di disegnare un orologio che segna le 16:37. Questo il risultato:
Gli ho fatto notare che l’orario è sbagliato: segna le classiche “10:10”6 degli orologi da vetrina.7 Ha corretto così:
In effetti non potevo più ribattere che l’orologio segna l’ora sbagliata. Non saprei neanche dire se segna un’ora precisa (da notare che il numero “3” è riportato due volte).
In pochissime parole
Intelligenza artificiale alla conquista dell'oroscopo: ma occhio agli astrologi artificiali (dal mio punto di vista il vero problema non è l’affidabilità dei consigli di una IA rispetto a quelli di un “vero” astrologo, e neanche il fatto che questi ultimi rischino la disoccupazione, ma la privacy).
Sempre a proposito di IA: adesso se la cavano molto bene con i problemi geometrici (ma per riuscirsi non basta l’approccio di ChatGPT).
Perché ci piacciono i dinosauri? (Il titolo di questo articolo di Massimo Sandal in realtà sarebbe dovuto essere “perché i dinosauri piacciono tanto ai bambini e dovrebbero piacere molto anche agli adulti”).
Gli Oscar hanno ancora un problema con le donne? (È una cosa che il Post fa molto bene: mette in prospettiva le cose raccontando il contesto, in questo caso delle polemiche per le recenti nomination che hanno escluso regista e attrice protagonista di Barbie).
Perché è una cattiva idea iniziare le primarie presidenziali in Iowa e New Hampshire.
Mi aveva sempre affascinato il fatto di avere uno spagnolo nel ruolo del “newyorkese” Tony e una neozelandese in quello della portoricana Maria. Un video su YouTube mostra un Leonard Bernstein meno entusiasta della scelta.
Peraltro questa è una di numerose definizioni proposte da Calvino in un articolo del 1981. Un’altra definizione che mi piace molto è “i classici sono quei libri che ci arrivano portando u di sé la traccia delle letture che hanno preceduto la nostra e dietro di sé la traccia che hanno lasciato nella cultura o nelle culture che hanno attraversato (o più semplicemente nel linguaggio o nel costume)”.
Una cosa che non mi ha convinto dell’allestimento di West Side Story che ho visto riguarda appunto il personaggio di Maria: non la persona forte e determinata che ho sempre immaginato e visto nei film, ma una ingenua sognatrice.
Penso si possa aggiungere un’altra definizione a quelle di Calvino: i classici sono quelle opere di cui puoi raccontare il finale senza timore di fare spoiler.
Stavo per scrivere una cosa tipo “stiamo sconfiggendo la malaria”, poi mi sono ricordato che dovremmo evitare le metafore belliche in medicina. E ho risolto utilizzando un’altra metafora bellica, per quanto forse meno evidente, quella del fronte.
In realtà più le 10:08 – ma per una volta possiamo non fare i pignoli.
Si dice che gli orologi esposti segnino tutti le 10:10 perché così le lancette “sorridono”. E che mettono bene in evidenza il marchio.