Ciao,
sono Ivo Silvestro e questa è la 58ª edizione della mia newsletter settimanale di segnalazioni e riflessioni; oggi parliamo di turisti, vaccini per la malaria (finalmente), astronomia, astrologia e ricordi fotografici.
Ma prima una foto:
Sono un turista
Mi trovo a Padova1 per seguire il CICAP Fest – quest’anno da semplice spettatore, dopo aver dato una mano alla realizzazione delle ultime edizioni.
Sono un turista. Potrei cercare di nobilitare questo termine precisando “culturale”, ma resto un turista e credo sia giusto impiegare questa parola nonostante l’aura decisamente negativa che si è conquistata fin da subito. Non che voglia rivendicare una sorta di “turismo pride”2 perché spesso e volentieri c’è poco di che essere fieri: il turismo ha spesso effetti negativi a livello economico, sociale, urbanistico eccetera. Lo spiega, insieme ad altre cose molto interessanti, Corrado Del Bò in un articolo pubblicato sulla Rivista Il Mulino (oltre che in un libro che consiglio vivamente di leggere).
Quello che potrei rivendicare, al massimo, è un turismo attento e consapevole dei problemi che un soggiorno temporaneo a fini di svago può portare alla comunità ospitante.
Un vaccino da 5 dollari (e 160 milioni di dosi)
La malaria potrebbe diventare “la malattia da 5 dollari” – più o meno come la poliomielite è diventata “la malattia da 10 centesimi”, come da titolo del bel saggio di Agnese Collino su come questa malattia venne affrontata, arrivando a un vaccino e alla sostanziale eradicazione.
Su The Conversation Adrian Hill, direttore dello Jenner Institute dell’Università di Oxford, racconta di un promettente vaccino per la malaria che l’OMS ha da poco deciso di raccomandare. Promettente perché efficace, anche se direi che rimangono margini di miglioramento – nell’articolo si parla di “efficace al 75% contando la riduzione di casi di malaria in un anno”, che confesso non mi è del tutto chiaro cosa significhi. Ma non è solo questo: il vaccino R21/Matrix3 può essere prodotto (dal Serum Institute of India) su larga scala e a poco prezzo. Parliamo di 160 milioni di dosi all’anno – per immunizzare con 4 somministrazioni i 40 milioni di bambini che nascono in zone colpite dalla malaria – per 5 dollari a dose. Hill arriva addirittura a prevedere l’eradicazione della malaria entro il 2040: sospetto la spari grossa, ma ovviamente spero abbia ragione lui.
Nell’articolo si spiega anche perché è così difficile produrre un vaccino per la malaria. Parliamo di un organismo complesso: la malattia non è provocata da un virus o da un batterio, ma da un protozoo che oltretutto attraversa vari stadi per meglio passare tra i vari ospiti.
Poi ovviamente c’è anche il fatto che la malaria non gode di molta popolarità, colpendo Paesi a basso reddito. Del resto avete letto altrove la notizia dell’approvazione di questo vaccino?
Guardare le stelle
Ho avuto il piacere di intervistare Amedeo Balbi a proposito del suo libro Su un altro pianeta in cui smonta i progetti di andare a colonizzare altri corpi celesti.
E mi sono arrabbiato per un articolo pubblicato sul Tascabile nel quale si difende l’astrologia quale strumento per ribellarsi al sistema capitalistico e raggiungere “la riappropriazione del potenziale immaginifico implicito in ogni soggettività”. La mia pacata opinione è che d’accordo, la scienza e la tecnologia nella loro storia hanno accompagnato logiche di dominazione che è più che giusto rifiutare. Ma ha senso farlo nel nome della razionalità, che ha un valore universale, senza dover ricorrere a una pratica pseudoscientifica come l’astrologia. Aggiungendo l’amarezza per una rivista online rispettabile come Il Tascabile.
Perché diventare un complottista
Ovviamente mi considero una persona razionale che dà il proprio assenso solo dopo essersi attentamente documentato, senza lasciarmi ingannare o manipolare – il che è quello che grosso modo dicono tutti,4 inclusi molti sostenitori delle fantasie di complotto e molti normie (come i complottisti chiamano chi si fida della “versione ufficiale”).
La mia simpatia, nello scontro tra complottisti e normie, va ai secondi. Tuttavia ho trovato irritante la retorica di certe canzonature che trovo soprattutto online. Come questa:
Ora, sono convinto che le cose che sostengono i complottisti siano sostanzialmente sbagliate, ma sono il frutto di ricerche solitamente approfondite tanto quanto quelle della controparte. Il problema non è che una parte studia e l’altra no, ma che una delle due parti studia in modo sbagliato.
E poi, lo slogan finale: davvero essere complottisti semplifica la vita? Sapere che ci sono delle élite mondiali che controllano il mondo attuando piani orribili è rassicurante? Certo, c’è una spiegazione semplice e lineare dei problemi del mondo, ma quella in realtà ce l’hanno anche i non complottisti – solo che al posto di una congiura mondiale, è un misto di stupidità e propaganda.
Non foto, ma ricordi
Google ha presentato tutta una serie di nuovi prodotti tra cui i suoi nuovi smartphone. Molta attenzione è stata dedicata alla parte fotografica – il che è sensato: è una delle funzioni più importanti, almeno per molte persone, ed è anche quella che è più facile da far vedere ai potenziali acquirenti. Google ha lavorato non solo su ottiche e sensori, sui quali non ho peraltro trovato grandi resoconti, ma anche sull’elaborazione delle fotografie tramite intelligenza artificiale. Guidati da un’idea che mi pare discutibile: “Google Photos” non è più il posto dove tieni le tue fotografie, ma i tuoi ricordi. E i ricordi, come la psicologia ha ampiamente dimostrato, non sono registrazioni fedeli di quanto accaduto ma ricostruzioni.5
Ne scrivono The Verge e John Gruber. Qui un piccolo esempio:
È effettivamente il tipo di alterazioni che potrebbe fare la nostra memoria se dovessimo descrivere una nostra vacanza in montagna: dimenticarsi del frigorifero da campeggio, avvicinare la tenda (completando la parte che non vediamo) e dare un colore un po’ più definito al cielo.
Si tratta di operazioni da svolgere manualmente dopo aver scattato la foto ma l’intelligenza artificiale già interviene durante lo scatto. Non mi stupirei se qualche giornale si rifiutasse di pubblicare foto scattate questi nuovi smartphone. Basta guardare le rigide indicazioni su cosa conta come manipolazione per il World Press Photo.
Ma la cosa non riguarda solo il particolare contesto giornalistico e solleva varie domande etiche ed epistemologiche. Perché scattiamo una fotografia? Per avere una traccia di qualcosa che c’è stato o di qualcosa che ci sarebbe potuto essere?
Sul tema ha scritto – e dopo che io avevo già scritto questa parte della newsletter – anche Il Post.
Questa edizione della newsletter finisce qui; ci leggiamo tra sette giorni.
Tra l’altro, a causa di lavori sulla linea ad alta velocità, il treno che ho preso per arrivare qui da Milano ha fatto una “piccola” deviazione passando da Bologna: sono stupito che il viaggio, rispetto alla linea geograficamente più razionale da Brescia e Verona, sia durato appena una manciata di minuti in più.
Sarebbe probabilmente più corretto “tourism pride”, ma mi piace l’idea di mischiare italiano e inglese. Del resto, dopo un articolo del Financial Times, si è scritto e discusso molto dell’inglese farlocco (vedi ad esempio Terminologia etc. e Il Post).
Non mi stupisce più di tanto che gli uffici marketing delle case farmaceutiche non siano ancora intervenuti per trovare un nome più facile da ricordare e pubblicizzare.
In realtà no. Ho sulla scrivania un libro appena pubblicato, Why it’s ok not to think for yourself di Jonathan Matheson che dovrebbe sostenere l’esatto contrario, ma non avendolo ancora letto lascio la cosa in sospeso.
È la cosa che più mi lascia perplesso del mondo magico di Harry Potter: sono disposto a sospendere l’incredulità sul fatto che esista la magia, che maghi e streghe possano smaterializzarsi, viaggiare nel tempo o prepare una pozione che li renda fortunati, ma quando leggo che possano entrare nei ricordi di una persona come se fosse un film qualcosa dentro di me continua a urlare “non funziona così la memoria!”.