Ciao,
sono Ivo Silvestro e questa è la 91ª edizione della mia newsletter settimanale di segnalazioni e riflessioni.
Oggi parliamo di lanci di monetine, di cancel culture e politicamente corretto e della Grande fuga di Beethoven – in una edizione che, lo dico soprattutto per i nuovi iscritti,1 ha un pippone un po’ più leggero del solito e un po’ più di segnalazioni “in poche parole”.
Ma prima una foto:
Villa Carlotta a Tremezzo, sul Lago di Como, vista dal suo parco.
E se lanciassimo una monetina?
Pochi giorni la precedente newsletter si è concluso il campionato svizzero di calcio maschile – e il Lugano ha perso la coppa dopo i rigori, lasciando una comprensibile amarezza nei tifosi. Non mi posso annoverare tra essi, e infatti mentre si concludeva la partita mi stavo mangiando un gelato, ignaro degli eventi e stupito della poca gente in giro.
Da non tifoso posso solo immaginare l’amarezza di una sconfitta ai rigori – ma da non sportivo ho apprezzato molto scoprire che un tempo, se una partita finiva in parità, si decideva quale squadra avrebbe passato il turno lanciando una monetina.
A dire il vero non so quanto fosse diffusa questa cosa, però capitò agli Europei del 1968: nella semifinale l’Italia affrontò a Napoli l’Unione sovietica e si restò inchiodati, anche dopo i supplementari, sullo zero a zero.
Da regolamento non erano previsti rigori e così si è andati negli spogliatoi a lanciare una monetina: la Gazzetta parla di una monetina da 100 lire, ma stando a Goal.com e altre fonti si trattava di 5 franchi svizzeri e mi piace l’idea che anche la moneta fosse imparziale rispetto alle due squadre.
La cosa forse più sorprendente dei resoconti non è tanto che il primo lancio fosse andato a vuoto, ma che tutto questo avvenne in privato, senza telecamere o cronisti: il pubblico scoprì l’esito quando vide il capitano Giacinto Facchetti uscire dagli spogliatoi esultante. Oggi una simile estrazione a sorte diventerebbe una cerimonia televisiva.
In finale l’Italia affrontò, e sconfisse, la Jugoslavia; purtroppo la Cecoslovacchia non si era qulificata perché avrebbe completato l’elenco di Paesi, e quindi di squadre nazionali, che non ci sono più.
Pochi giorni dopo questa newsletter, invece, ci saranno le elezioni europee. E mi chiedo se, al di là del bizantino sistema politico dell’Unione europea, non sarebbe il caso di organizzare anche qui il lancio di una monetina, tirando a sorte i governanti.
Non sarebbe democratico, ma ci risparmierebbe la sofferenza di campagne elettorali sempre più ridicole e staccate dalla realtà. E un bel sorteggio avrebbe comunque la funzione di limitare temporalmente il potere di chi è al governo.
In poche parole
Il sito internet della Columbia Law Review è “under maintenance”:
Non per un problema tecnico, ma perché il consiglio di amministrazione della rivista non voleva che venisse pubblicato un articolo del ricercatore e avvocato per i diritti umani palestinese Rabea Eghbariah. Visto che i redattori non hanno acconsentito, la soluzione del consiglio è stata di chiudere tutta la rivista, come racconta l’agenzia AP.
Intanto l’articolo della discordia, The Ongoing Nakba: Towards a Legal Framework for Palestine, è stato pubblicato su The Nation – al contrario, immagino, di molti degli articoli pubblicati negli anni dalla rivista e che alla fine sono le vere vittime di questa vicenda.
Peraltro, l’articolo di Eghbariah non mi sembra dire nulla di anche lontanamente censurabile perché pericoloso: è l’argomentato invito ad applicare coerentemente le categorie giuridiche di genocidio e apartheid alla situazione palestinese e a valutare, viste le sue peculiarità, di introdurre la categoria di ‘Nakba’, anche se non mi è chiaro in che senso.
Non sono esperto della materia, ma non vedo motivi, accademici o politici, per cui la Columbia Law Review non avrebbe dovuto pubblicare il contributo. Se non che affronta un tema caldo – ma se si rinuncia alla riflessione su temi caldi, perdiamo tutti.
Mercoledì pomeriggio ero in macchina e, alla radio, ho ascoltato l’intervista a un musicista a proposito dei quartetti di Beethoven. Si è parlato della Grande fuga (Große Fuge) in Si bemolle maggiore op. 133 e di come, all’epoca, il pubblicò non apprezzò questo brano così complicato.
Sapevo che Beethoven l’aveva originariamente composta come quarto movimento del quartetto numero 13, ma non sapevo che dietro la decisione di scrivere un nuovo finale fosse l’editore di Beethoven. Come ha spiegato l’intervistato – di cui purtroppo non ho sentito il nome – all’epoca il pubblico applaudiva dopo ogni movimento e di quel quartetto apprezzava soprattutto la cavatina. Ma dopo la Grande fuga se ne usciva dalla sala in silenzio, con immagino grande disappunto di chi aveva organizzato il concerto.
Ero in auto con mio figlio; gli ho fatto subito ascoltare la Grande fuga e mi ha confermato che li capiva, quelli che si alzavano senza applaudire.
Sul Post c’è un confuso articolo di Antonio Sgobba su Natalia Ginzburg e il politicamente corretto.
C’è l’interessante – almeno per me che ho la passione per queste cose – ricostruzione di una strana citazione attribuita a Wittgenstein sulla “parole-cadaveri”, ma mi sembra che si mischino diverse prospettive diverse.
Da una parte quelle che di solito vengono chiamate “parole di plastica”, insomma l’anti-lingua di Italo Calvino: quel linguaggio inutilmente complicato e artificioso che spesso usiamo per paura di apparire per dei semplicioni.2
È un problema diverso da quello del politicamente corretto: si evitano certe parole non perché usarle sarebbe da semplicioni, ma per non offendere. Nell’articolo si cita la tesi che sarebbe stato proprio il politicamente corretto a rendere offensive parole prima neutre, il che mi pare quantomeno azzardato. Poi c’è il discorso su cosa fare con le opere del passato, tema che però non riguarda solo il linguaggio.
Il New York Times ha un guest essay interattivo di Alina Chan sulle origini di SARS-CoV-2,3 sostenendo che il virus del Covid sia uscito da un laboratorio.
Il titolo recita “Why the Pandemic Probably Started in a Lab”, ma sarebbe stato più corretto titolare “perché non è improbabile che”, visto che i cinque punti illustrati nell’articolo mostrano al più la plausibilità dell’ipotesi laboratorio.
L’articolo è interessante anche perché è forse un segno che si può tornare a parlare in maniera razionale di un tema politicamente compromesso.4
Poi leggo, su Facta, dell’audizione di Fauci alla commissione della Camera statunitense sulle origini del Covid e mi rendo conto di essere un po’ troppo ottimista.
Bonus: nel 2021 avevo intervistato Alina Chan proprio sull’origine del coronavirus.
In pochissime parole
Le storie dimenticate della storia,5 mia intervista a Alessandro Vanoli sul perché la storia sia poco considerata (è la parte secondo me meno interessante della chiacchierata), sulla necessità di non limitarsi a raccontare la vita di “maschi bianchi morti” e un curioso aneddoto su genovesi, vichinghi e trichechi.
Che cosa è la lived experience, spiegato in un lungo articolo (in inglese) che mi ha ulteriormente convinto dei danni che può fare la filosofia continentale, visto che lived experience – così spesso citata per liquidare con poco sforzo i fatti oggettivi – è la traduzione di Erlebnis, l’esperienza vissuta di Dilthey.
Rete Due della Radiotelevisione svizzera ha fatto due puntate sulla giustizia, molto interessanti (uno e due).
Abbiamo ormai superto i 500 – anche se le persone che effettivamente leggono la newsletter sono meno.
L’analisi di Calvino è ovviamente più elaborata e la si trova nella raccolta Una pietra sopra.
Versione accessibile (ma non più interattiva) su archive.is/keQcB.
Ne avevo già parlato in una precedente newsletter.
Link accessibile: archive.is/mTD2R.