Ciao,
sono Ivo Silvestro e questa è la 90ª edizione della mia newsletter settimanale di segnalazioni e riflessioni.
Oggi parliamo di cibo, scienza e società, di Feuerbach, di tradizioni e di cinema.
Ma prima una foto: una giubba rossa trovata, qualche giorno fa, vicino a un parco giochi.
I giocattoli abbandonati mi hanno sempre affascinato, perché immediatamente inizio a pensare alle storie che possono esserci dietro. Le storie del bambino o della bambina che ha perso il giocattolo, intendo, anche se dopo la saga di Toy Story uno può anche immaginarsi la storia della piccola giubba rossa che affronta una buia notte di pioggia…
A proposito dei film d’animazione Pixar: come molti, ho notato un desolante calo della qualità delle ultime produzioni. Non mi ero soffermato sui motivi ma, grazie a John Gruber, ho scoperto che della Pixar delle origini sono rimasti in pochi. Come conclude Gruber, “excellence is fragile, and genius talent is rare”.
La rivoluzione della sostenibilità
In questi giorni ho scritto un articolo, che uscirà domani, sull’alimentazione sostenibile. Nel cercare informazioni mi sono reso conto che mangiare in maniera ambientalmente sostenibile non è eccessivamente difficile, una volta comprese alcune regole generali come prediligere i cibi di origine vegetale1 – non necessariamente per rinunciare alla carne diventando vegetariani o vegani, basta ridurne il consumo, cosa che fa bene anche alla salute.
Tra queste regole inserirei anche gli alimenti di stagione e locali, ma non insisterei più di tanto sul “mangiare locale” perché la cosa è complicata. Le emissioni del trasporto sono infatti solo una parte dell’impatto complessivo, e magari l’allevamento e la coltivazione locali hanno un impatto maggiore rispetto a quelle in altri Paesi, vanificando quanto risparmiato nel viaggio. E, sempre a tema di trasporti, in proporzione rischia di inquinare di più un’auto che fa venti chilometri per andare al negozietto a chilometro zero piuttosto che2 il cargo e il camion che hanno portato frutta e verdura d’importazione al supermercato sotto casa.
Ma le cose diventano davvero complicate se andiamo a vedere le altre due facce della sostenibilità, ovvero la società e l’economia. Un’alimentazione sostenibile, infatti, non solo non intacca le risorse ambientali e naturali, permettendo anche alle future generazioni di usufruirne, ma rispetta anche le comunità umane.
Non credo che vi sia contraddizione tra questi obiettivi; tuttavia la transizione dall’attuale sistema produttivo a uno sostenibile presenta delle difficoltà e c’è il rischio, per non dire la certezza, che costi e vantaggi vengano distribuiti iniquamente. Dobbiamo, come umanità, arrestare o almeno ridurre la deforestazione – ma come lo spieghiamo a chi, grazie alla deforestazione, ha finalmente la possibilità di uscire da un’economia di sussistenza e conquistare un po’ di benessere? La tutela delle foreste è anche nel loro interesse, ma perché il conto dovrebbe pagarlo solo loro? Prendiamo la recente legge con cui l’Unione europea vuole proibire l’importazione di prodotti legati alla deforestazione: è una proposta che mi trova idealmente d’accordo, ma che di fatto penalizza le economie di diversi Paesi3 senza proporre altre soluzioni se non dei certificati che rischiano di favorire le multinazionali. Credo e spero che si possa fare di meglio.
L’articolo che ho scritto gira intorno a un celebre motto: siamo quello che mangiamo. Oggi è una frase fatta – forse troppo scontata persino per uno slogan pubblicitario –, ma ha una storia molto interessante. A formularla è stato infatti Ludwig Feuerbach,4 un filosofo che ho sempre desiderato approfondire. Il contesto è quello di una recensione di un libro di un fisiologo olandese, Jacob Moleschott, altra figura molto interessante (le sue idee materialiste lo portarono ad abbandonare l’Europa del nord e alla fine si ritrovò a Roma, professore universitario e senatore del regno).
L’idea alla base dell’affermazione di Feuerbach è che anima e corpo sono sostanzialmente la stessa cosa e non possiamo separare le due dimensioni. Il che significa che il pensiero non può prescindente dagli aspetti materiali (per pensare abbiamo bisogno non solo di buone idee, ma anche di buon cibo oltre che di mille altre cose) e soprattutto che lo studio della natura ha conseguenze filosofiche e sociali che non si possono ignorare.
Nel testo di Feuerbach ci sono – o almeno ce li vedo io – i pericolosi semi di una visione ideologica della scienza, nella quale la ricerca viene piegata a esigenze politiche. Ma c’è anche la ferma convinzione, che secondo me è difficile non condividere, che scienza e società sono talmente intrecciate da essere una cosa sola.
E poi ci sono passaggi commuoventi come il seguente:
Che cosa occorre per confutare un filosofo? Nient'altro che un professore di filosofia e che cosa è più facile da scovare se non appunto un professore di filosofia? Quando perciò si presenta un filosofo rivoluzionario, basta soltanto far scrivere contro di lui un prof esso re di filosofia e il povero filosofo, almeno agli occhi del pubblico - ma è poi soltanto questo che importa: l'apparenza governa il mondo - è già morto e sepolto.5
In poche parole
Il premier britannico Sunak ha deciso di giocare il tutto per tutto e ha indetto le elezioni generali per inizio luglio – aumentando il già alto numero di persone che voteranno in questo 2024.
Ad ogni modo, come hanno notato diverse persone sui social media, il calendario ha fatto uno strano scherzo: le elezioni britanniche si terranno il 4 luglio, cioè il giorno dell'Indipendenza degli Stati Uniti; le presidenziali americane, per contro, si terranno il 5 novembre, ovvero nella Guy Fawkes Night.
Ho avuto il piacere di intervistare Andrea Amarante,6 nuovo direttore della stagione di musica classica del LAC di Lugano. Tra i vari temi affrontati, anche quello degli applausi durante i concerti, con il terrore che prende i neofiti di battere le mani nel momento sbagliato. E qui Amarante ha detto una cosa sulle tradizioni che è sempre bene ribadire:
È chiaro che noi veniamo da una tradizione e questa tradizione la consideriamo immutabile. Ma ci dimentichiamo che questa tradizione ci arriva dall'inizio del secolo scorso. Eric Hobsbawm ha scritto questo libro fantastico che si intitola ‘L’invenzione della tradizione’: sembra una contraddizione, ma se si vanno a cercare quelle che oggi noi consideriamo le più grandi e intoccabili tradizioni – tipo il fatto che ci si siede in sala, entra il direttore e si resta in silenzio, non si può parlare, non si può fare niente – sono cose che sono state inventate da Mahler quando era direttore principale dell'opera di Vienna. Prima in teatro non era necessario comportarsi così.
Il critico Ugo Brusaporco sull’ultimo film di Sorrentino, che non ho visto ma dati i precedenti mi sento di concordare:
Autoreferenziale, più degli altri suoi film, ‘Parthenope’ non è un messaggio d’amore alla sua città, come continua a spiegare nelle interviste, ma una noiosa masturbazione sul suo misogino fare cinema. È un’accozzaglia di pavide idee che mettono insieme il suicidio, il dolore per l’handicap, la gioia popolare che circonda il mondo camorristico, la brama sessuale del clero, l’immaturità della protagonista Celeste Dalla Porta, di una vuota bellezza accademica incapace di qualsiasi emozione, anche di fronte alla morte del fratello, anche di fronte a una coppia costretta a fare all’amore davanti ai clan schierati per suggellare i loro patti, anche spogliandosi, vestendo i gioielli del tesoro di San Gennaro e facendo l’amore poi con un laido cardinale. Il film diventa poi ridicolo quando ci mostra la protagonista invecchiata e amata professoressa di antropologia. Alla proiezione stampa c’è stato un fuggi fuggi inquietante. Ma il film trova anche i suoi estimatori in chi al cinema cerca la banalità, e ai mercatini le vecchie fotografie ingiallite, come le canzoni che accompagnano la pellicola.
In pochissime parole
Che cosa è l’Agenza 2030 e, soprattutto, cosa sono le fantasie di complotto intorno a questa iniziativa.
Spirali di rischio e ignoranza collettiva, ovvero come capita che fidandoci degli altri sbagliamo a valutare i rischi.
Per chi volesse approfondire, ci sono le linee guida della FAO (che insiste nell’aggiornare le raccomandazioni alimentari nazionali tenendo conto anche della sostenibilità) e gli studi della fondazione EAT.
Provo una insopprimibile sensazione di piacere quando uso “piuttosto che” come avversativo e non, come capite sempre più spesso, disgiuntivo.
Link accessibile: archive.is/JGsRA.
In tedesco c’è anche il gioco di parole “ist” (è) e “isst” (mangia).
Link accessibile: archive.is/Y4JlP.