Ciao,
sono Ivo Silvestro e questa è la 101ª edizione della mia newsletter settimanale di segnalazioni e riflessioni – che ritorna dopo una imprevista pausa estiva. Oggi parliamo di due film e altre piccole cose.
Ma prima una foto: un orribile selfie dal Locarno Film Festival.
Tanti film, tanti incontri, poco sonno
Ho sempre mantenuto la cadenza settimanale, per questa newsletter – a volte con qualche giorno di ritardo, ma bene o male sempre mantenendo la puntualità. Nelle scorse due settimane non mi è stato possibile e quindi eccoci qui, con un buco di due settimane che magari coprirò con alcune “edizioni speciali”. Un po’ è colpa mia, nel senso che ho sottovalutato il carico di lavoro legato a seguire per lavoro il Festival di Locarno; un po’ no, nel senso che un paio di imprevisti hanno aumentato il carico di lavoro. E certo, gli imprevisti bisognerebbe prevederli, ma poi che imprevisti sarebbero?
Fatto sta che ho trascorso un paio di settimane guardando tanti film, incontrando tante persone e dormendo molto poco – troppo poco per trovare le risorse mentali per scrivere la newsletter (e del resto non avendo letto praticamente nulla di non legato al Festival, avrei anche avuto poco da segnalare, come del resto accade anche in questa edizione).
In un paio di occasioni ho pensato “adesso vado in una sala, mi siedo in fondo e mi faccio una bella dormita”. Ma mi è andata male, almeno per quanto riguarda il sonno: i film erano belli e alla fine avrò sonnecchiato giusto qualche minuto.
Ho visto molte cose interessanti – e anche molte “occasioni mancate”, con buone idee male sviluppate –, ma ad avermi “dato da pensare” alla fine sono stati soprattutto due film.
Il primo è un cortometraggio su Gaza – descrizione formalmente corretta ma fuorviante, perché messa così uno si può aspettare che ‘Upshot’ di Maha Haj sia un film di denuncia contro la guerra in corso. Non è così: l’idea alla base del cortometraggio è stata concepita prima degli attacchi terroristici di Hamas del 7 ottobre – il film è poi stato girato a gennaio, immagino con che stato d’animo – e non parla direttamente delle violenze bensì di quello che resta dopo le violenze. Si cita, al momento della rivelazione finale, la guerra di Gaza ma il film potrebbe valere per qualsiasi altro conflitto. Ho scritto brevemente del film1 e intervistato la regista2 – e segnalo anche quest’altra intervista. Quello che mi ha colpito del film è la sua capacità di parlare di guerra, di sofferenza, di ingiustizia senza urlare; ci si emoziona, ma queste emozioni non prendono il sopravvento ma anzi, almeno nel mio caso, aprono la strada verso una riflessione razionale.
Certo, non sarà un film – un cortometraggio, per giunta, quindi con ridotte possibilità di distribuzione – ad aprire tavoli di pace o anche solo mettere d’accordo chi, lontano dal conflitto, sostiene una parte o l’altra. Tuttavia qualsiasi cosa smorzi un po’ le fiamme della discussione è la benvenuta.
Il secondo film che mi ha dato da pensare è la commedia svizzero-francese Le proces du chien di Laetitia Dosch che ha chiuso il Festival in Piazza Grande.
Ho adorato questo film non solo perché lei è bravissima e il film è molto divertente,3 ma anche perché — al contrario della stragrande maggioranza delle commedie contemporanee — non si fa problemi ad affrontare temi importanti.
Brevemente, la storia: avendo morso tre persone, viene ordinata la soppressione di un cane; il suo padrone si oppone e, ingaggiata una avvocata insicura ma determinata, riesce a far riconoscere al cane una qualche forma di personalità giuridica e ad allestire il primo “processo al cane” dal Medioevo. Non è un film sui diritti degli animali, o almeno non solo, perché il tema ben presto di sviluppa parlando, sempre con tono leggero ma senza banalizzare, di populismo, di ingiustizie sociali, di polarizzazione dell’opinione pubblica eccetera. Perché – e questo è forse il punto che più mi è piaciuto – il film mostra l’inconsistenza del “benaltrismo”, la pigra obiezione di fronte a ogni rivendicazione che “sono ben altri i problemi più urgenti”.4 Perché riconoscere uno spazio all’autonomia degli animali significa contribuire a creare una società nella quale questa autonomia viene riconosciuta anche ad altri soggetti.
Il giorno dopo la proiezione in Piazza Grande del film, è morto Alain Delon. E l’attore aveva chiesto che il suo cane Loubo venisse soppresso per essere seppellito con lui – e un’altra trentina di cani – nel suo mausoleo. La famiglia alla fine ha deciso che no, non era il caso di uccidere un cane in buona salute ma il caso, estremo anche per la notorietà del personaggio, è stata occasione per una riflessione con il filosofo Simone Pollo che ho intervistato in un articolo che online ha un titolo di cui vado particolarmente fiero:5 L'ultimo dei miei cani: Alain Delon, Loubo e tutti noi.6
In poche parole
Non una, bensì due malattie infettive per la prossima pandemia: oltre all’influenza aviaria, c’è l’mpox e appena avrò tempo ci tornerò con qualcosa di più ragionato; per ora c’è di sicuro che entrambe arrivano dopo il Covid. E mi piacerebbe poter dire che “arrivare dopo il Covid” significa che autorità e società sono preparate a gestire una possibile emergenza sanitaria, ma realisticamente significa piuttosto che siamo pronti a reagire in maniera sbagliata.
Lo si vede dalla mancanza di una cosa apparentemente semplice e scontata come una comunicazione efficace, iniziando dalle parole utilizzate.
In pochissime parole
È uno di quei temi che appassiona solo me, ma come misurare le performance olimpiche delle varie nazioni? Sul Guardian c’è una interessante proposta.
L’atleta afghana che ha protestato contro i talebani alle Olimpiadi, una delle storie di cui mi sarebbe piaciuto leggere di più.
Link accessibile: archive.is/OnGCs.
Link accessibile: archive.is/xX32C.
Almeno per la mia idea di divertente, che so non coincidere con quella della maggioranza delle persone – però in Piazza Grande c’era molta gente che rideva.
Peraltro per questi “problemi più urgenti” non vale la proprietà transitiva, per cui ad esempio A è meno importante di B, B è meno importante di C, ma C è meno importante di A, dondo il via a un anello infinito nel quale c’è sempre qualcosa d’altro di cui occuparsi.
A proposito di strano senso dell’umorismo.
Link accessibile: archive.is/YmKjy.