Ciao,
sono Ivo Silvestro e questa è la 40ª edizione della mia newsletter. Oggi parliamo di guerre, carceri, radiazioni carcerogene e di musei ed esperienze virtuali.
Ma prima una foto:
Tra un SUP e due sedie a sdraio, una testimonianza di quando nel 1913 il diritto di pesca sul Lago di Lugano era diviso tra Comune di Lugano e Patriziato di Castagnola.
Se vi state chiedendo che cosa sia un patriziato: è un ente pubblico che amministra alcune proprietà collettive, insomma i classici “beni comuni” come i pesci nei laghi. In pratica è il modo in cui la Svizzera ha resistito a quelle curiose idee tipo l’uguaglianza dei cittadini. Come riporta il Dizionario storico della Svizzera:
Gli inizi del com. moderno risalgono alla Repubblica elvetica. La creazione della cittadinanza sviz. uguale per tutti (cittadini a pieno titolo, dimoranti e sudditi dei vecchi cant.) fu causa di conflitti, perché gli ab. agiati di città e villaggi non volevano spartire i propri diritti su boschi, terreni e altri beni comuni con i "nuovi cittadini", divenuti anch'essi titolari dell'attinenza com. ma in genere più poveri.
E se invece…
Credo che uno degli esercizi intellettuali più importanti sia provare a non dare nulla per scontato. Intendiamoci: è necessario dare un sacco di cose per scontate, sia perché a mettere in discussione ogni cosa non faremmo praticamente nulla, sia perché molte delle cose che diamo per scontate non riservano sorprese. Ma ogni tanto è giusto chiedersi se quella cosa che riteniamo ovvia non potrebbe anche essere in un altro modo.
In questi giorni mi sono imbattuto in due interessanti esercizi di “messa in discussione dell’ovvio”. Il primo riguarda le prigioni: diamo per scontato che la punizione per i reati sia il carcere e anzi ci pare – e per certi versi sono convinto che lo sia – una soluzione più civile di altre pene. Tanto che ci pare assurdo pensare di abolire le carceri.
In Abolizionismo come pratica, pubblicato su Il Tascabile e scritto da Cecilia Arcidiacono, si presentano due libri che invece prendono sul serio questa idea: La trama alternativa. Sogni e pratiche di giustizia trasformativa contro la violenza di genere di Giusi Palomba (minimum fax) e Abolizionismo. Femminismo. Adesso. di Angela Davis, Gina Dent, Erica R. Meiners, Beth E. Richie (Alegre).
L’articolo è una lettura interessante, anche se mi pare un po’ troppo incentrata sulla cultura statunitense. Ad esempio, leggete questo passaggio:
Il carcere, secondo Davis, ha istituzionalizzato i linciaggi dell’inizio del XX secolo e ha reso evidente, come notava Du Bois, quel vuoto di condizioni che dopo l’abolizione della schiavitù avrebbero potuto permettere alle persone nere di inserirsi nella società: quando la schiavitù fu abolita, infatti, i neri vennero liberati, ma non avevano avuto accesso alle risorse materiali che avrebbero consentito loro di farsi una vita da persone libere.
Temo che ricondurre il carcere a linciaggi e schiavismo renda il fenomeno della discriminazione, a noi lettori europei, quasi esotico. Eppure è un fenomeno universale.
Inoltre, relativamente al saggio di Palomba, nell’articolo si parla diffusamente di “giustizia trasformativa” senza spiegare cosa sia di preciso: si intuisce che è una giustizia che rifiuta la punizione come conseguenza necessaria di una violazione della legge, ma che cosa esattamente si voglia trasformare e come non mi è chiaro.
Il secondo esercizio di “messa in discussione dell’ovvio” riguarda la guerra. Uno potrebbe ribattere “in che senso la diamo per scontata?”, visto che il pacifismo ha una lunga e dignitosa storia – e un presente in molti casi discutibile, pensando a certe peculiari posizioni sull’invasione dell’Ucraina. Ma anche il pacifismo dà per scontato che la guerra ci sia, che gli esseri umani facciano la guerra. La guerra fa parte dell’esperienza umana e lo vediamo non solo nella storia e nella cronaca, ma anche nel nostro linguaggio dove abbondano le battaglie e gli scontri, per quanto metaforici.
Il giornalista Gianluca Grossi, che le guerre le ha conosciute sul serio, ha da poco pubblicato Sulla guerra. Perché non riusciamo a non farla (Edizioni Redea) e, con uno stile molto personale, si chiede appunto come è possibile che le guerre scandiscano l’esistenza umana. La risposta riguarda il potere narrativo delle guerre, ma sto ancora leggendo il libro per cui ne riparleremo; nel frattempo segnalo una sua intervista a Rete Due.
Il precedente libro di Grossi riguardava la pandemia e ne avevo scritto qui.
L’arte per l’arte
Ho seguito una interessante lezione di Tobia Bezzola, direttore del Museo d’arte della Svizzera italiana, sul perché l’arte, soprattutto quella contemporanea, non riesce a comunicare – e quando la reazione tipica di un visitatore è “non mi dice niente” non è bello, per chi di lavoro organizza mostre.1
Il video del suo intervento sarà disponibile online credo tra qualche settimana, per cui non entro nei dettagli. Mi limito a una osservazione che mi ha colpito: un momento importante nella storia del “non mi dice niente” è stata l’indipendenza dal potere. Un’autorità politica, militare o religiosa che sostiene la realizzazione di un’opera d’arte vorrà che quell’opera d’arte rispecchi in modo chiaro certi valori. Nell’Ottocento si è invece diffusa l’idea di un giudizio interno alla comunità degli artisti (includendovi anche i collezionisti e il mercato dell’arte), il che ha contribuito ad avere, appunto, opere d’arte che “non mi dicono niente”.
La cosa interessante è che un processo simile è avvenuto, qualche secolo prima, con la scienza. Le accademie scientifiche si sono diffuse proprio per questo scopo: avere uno spazio protetto nel quale fare scienza senza le intromissioni del potere (potendo ad esempio pubblicare quello che volevano senza avere a che fare con la censura). E anche nella scienza ci ritroviamo con opere incomprensibili per la maggior parte delle persone.
A proposito di musei: da qualche giorno è disponibile il Museo multimediale della lingua italiana.
È un sito interessante, ricco di risorse sull’italiano, anche se mi sembra mancare uno sguardo a come le lingue si evolvono nel tempo. Non mi è chiarissimo perché chiamarlo “museo” ma del resto rientra nella definizione ICOM: “Il museo è un’istituzione permanente senza scopo di lucro e al servizio della società, che compie ricerche, colleziona, conserva, interpreta ed espone il patrimonio culturale, materiale e immateriale.”
Radiazioni carcerogene
Refusi ed errori di battitura capitano a tutti – eppure raramente ne capitano di così divertenti come le “radiazioni cancerogene” che diventano “carcerogene” in un volantino per un materasso quantistico che odora di truffa a chilometri di distanza.
Quei cosi da 3500 dollari di Apple
No, non credo che mi comprerò i Vision Pro, gli occhiali da realtà virtuale/aumentata presentati da Apple nei giorni scorsi. Non è solo il fatto che mi mancano 3500 dollari, ma mi mancano idee su come utilizzarli. Ma quelle immagino verranno e potrebbero esserci interessanti sviluppi. Anche inaspettati
Un piccolo esempio: il telefono ha permesso lo sviluppo in verticale delle città. Perché con una casa di tre piani puoi andare a bussare alla porta per vedere se qualcuno è in casa – o mandarci il domestico per vedere se il padrone di casa vuol ricevere gli ospiti –, ma quando di piani nei hai trenta la cosa è insostenibile.
Ecco, come cambierà le cose – se le cambierà – Vision Pro? Non ne ho idea e per ora voglio resistere agli scenari apocalittici di certa fantascienza. Tuttavia leggendo la recensione di John Gruber, ho capito che non devo guardare le foto di una persona con gli occhialoni:
ma l’immagine – per carità sempre frutto di esperti di marketing – di quello che quella persona vede:
Questa edizione della newsletter finisce qui; sperando di non aver fatto troppi errori e che vi sia piaciuta, vi invito a consigliarla o condividerla con altre persone…
Ci leggiamo tra sette giorni.
Un museo non è un posto che semplicemente ospita mostre e un direttore non si limita a curare le esposizioni, ma ci siamo capiti.