Ma alla fine, perché i democratici sono andati così male?
La newsletter numero 123 del 21 marzo 2025
Ciao,
sono Ivo Silvestro e questa è la 123ª edizione della mia newsletter settimanale di segnalazioni – che trovate anche nel numero extra del lunedì – e riflessioni.
Oggi parlo di dove sbagliano le forze progressiste, di memoria del ghiaccio e di epidemie europee.
Ma prima una foto:
Non è che ha vinto Trump, ha perso Harris
Visto che ho una moderata passione per i numeri, mi sono scaricato dal sito della Federal Election Commission i dati sulle presidenziali statunitensi del 2016, del 2020 e del 2024 – andando a guardare non i grandi elettori, assegnati a maggioranza nei singoli stati e quindi poco rappresentativi del successo popolare di candidate e candidati, ma i singoli voti (qui lo spiegone del Post su come funzionano le elezioni negli Stati Uniti).
Se metto pari a 100 i voti ricevuti nei singoli stati da Donald Trump nel 2016 – quando venne eletto pur prendendo meno voti a livello nazionali di Hillary Clinton –, vedo che nel 2020 ha ottenuti ovunque più voti. E quando dico “ovunque” intendo ovunque, quindi non solo in Utah dove sono aumentati del 70%, ma anche nella democratica California (dove sono cresciuti di un terzo). Nel 2024, quindi dopo le fantasie del complotto sulle frodi elettorali, l’assalto cal Campidoglio e tutto quanto, in alcuni stati è aumentato – tra cui, di nuovo, la California –, in altri è diminuito ma tenendosi comunque sopra i livelli del 2016. A livello nazionale, sempre facendo 100 il risultato del 2016, Trump ha fatto 118 nel 2020 e 123 nel 2024.
Come si spiega, quindi, che Trump ha vinto nel 2016, perso nel 2020 e di nuovo vinto nel 2024? Al di là del già discusso sistema elettorale, dove per diventare presidente basta vincere di poco nei pochi stati contesi, la questione è semplice: nel 2020 i democratici con Biden sono migliorati ancora di più di quanto lo abbia fatto Trump. Rispetto a Hillary Clinton, Biden ha ottenuto quasi un quarto dei voti in più. E Kamala Harris? Non solo meno di Biden, ma persino meno di Clinton e questo praticamente ovunque.
Quindi Trump ha certamente vinto, aumentato la propria base elettorale, ma la differenza l’hanno fatta i democratici. Ed è per questo che mi piacciono i numeri: aiutano a capire quali sono le domande importante. E nel caso della politica americana – e direi non solo americana –, non è solo “perché votano Trump?” ma anche e forse soprattutto “perché non votano democratico?”.
Per fortuna ho una risposta, anzi due – non mie, ovviamente, ma di Adam Tooze su Foreign Politics e di Ezra Klein sul New York Times che fanno due analisi diverse e credo complementari.
Iniziamo da Tooze, che ha anche una newsletter che trovo molto interessante. Nel suo articolo, pubblicato a gennaio, America Is Locked in a New Class War,1 fa esplicito riferimento a una “nuova guerra di classe”. Secondo Tooze, infatti, per comprendere cosa accade a livello politico dovremmo infatti migliorare le tradizionali analisi sulla gerarchia sociale introducendo una nuova classe, la PMC (Professional-Managerial Class). Che a me pare semplicemente un nome un po’ più figo per riferirsi alla classe media o medio-alta, la cui esistenza mi pare ben nota (e studiata) da tempo. Ma di analisi sociologiche ne so poco e PMC indubbiamente definisce meglio quello di cui si parla: professionisti con credenziali accademiche che occupano posizioni di autorità nell'economia e nella società, esercitando controllo diretto sulla classe lavoratrice.
La “piramide sociale” americana sarebbe quindi così composta:
classe lavoratrice: poca autonomia, basso reddito e generalmente bassa istruzione;
PCM, cioè come detto professionisti benestanti, formazione universitaria e con potere decisionale;
classe superiore: redditi elevati, ricchezza e spesso controllo diretti di aziende.
Con chi si scontrano, nella loro quotidianità, i membri della classe lavoratrice? Non certo con la classe superiore: chi lavora in fabbrica, risponde alle chiamate del call center, consegna pacchi non si confronta direttamente con il direttore della multinazionale, ma con il responsabile delle risorse umane, con avvocati, con insegnanti, con funzionari che chiedono certificati e attestati per riparare una finestra rotta. È inevitabile che se uno si presenta come antagonista della PCM, della classe professionale-manageriale, è inevitabile che la classe lavoratrice gli vada dietro.
Tooze sintetizza la situazione immaginando che al liceo vengano organizzate due feste: la prima è organizzata dal vincitore della gara state di ortografia destinato a un'università prestigiosa; l’altra dal figlio di un imprenditore locale, uno che sa come divertirsi e forse andrà anche lui in un ateneo prestigioso, ma non certo per meriti accademici. A quale festa si presenterebbero gli studenti meno ambiziosi? La risposta appare ovvia, per quanto si potrebbe ribattere che decidere chi ci governerà dovrebbe essere un po’ diverso dal decidere a quale festa andare…
Tooze abbozza anche una soluzione: pensare a politiche di welfare che non si limitino a migliorare le condizioni economiche della classe lavoratrice, ma migliorino più in generale lo status sociale delle classi lavoratrici.
Ezra Klein, partendo da tutt’altre premesse, arriva a conclusioni simili nel suo articolo There Is a Liberal Answer to the Trump-Musk Wrecking Ball.2 Il primo problema dei democratici è che nelle città e negli stati dove governano, la gente se ne va perché il costo della vita è troppo alto. E come puoi presentarti come il partito delle famiglie lavoratrici – o della classe lavoratrice – se governi in posti dove le famiglie lavoratrici non riescono a vivere?
Il motivo dell’elevato costo della vita che fa fuggire chi non ha grandi risorse è essenzialmente l’inefficienza dello stato che non riesce a costruire infrastrutture e mette inutili paletti alla costruzione di abitazioni. Si crea così una situazione di scarsità che sembra perfetta per far prosperare i populismi come quello di Trump e Musk (e, direi, anche per quelli che vediamo in Europa). Trump non ha particolare interesse a risolvere il problema dei costi delle case agevolando la costruzione di nuove abitazioni: meglio dare la colpa all’immigrazione; i democratici invece proprio non ci riescono, perché si ritrovano a difendere le inefficienze del governo (che probabilmente coincidono con i privilegi della classe professionale-manageriale di Tooze).
Secondo Klein, il partito democratico dovrebbe lavorare per riorganizzare governo e mercati per garantire ciò di cui le persone hanno bisogno. E vabbè, suona un po’ come la pace del mondo dei concorsi di bellezza, ma sarà interessante vedere cosa accadrà nei prossimi anni, negli Stati Uniti e in Europa.
In poche parole
Oggi è la Giornata mondiale dei ghiacciai – non che sentissi particolarmente la necessità di una ennesima giornata mondiale, ma è stata l’occasione per parlare un po’ di memoria del ghiaccio,3 che al contrario della memoria dell’acqua tanto cara agli omeopati è una cosa seria: nella neve che poi comprimendosi forma i ghiacciai rimane intrappolata dell’aria, il che trasforma i ghiacciai in immensi archivi sull’atmosfera del passato.
Come molti, ho letto dell’epidemia di morbillo in Texas, provando – lo ammetto – un po’ di soddisfazione nel vedere il sostenitore della medicina alternativa Robert Kennedy Jr. ammettere l’utilità dei vaccini. Ma non è un problema solo statunitense: come scrive Michael Head su The Conversation, l'Europa sta affrontando la peggiore epidemia di morbillo dal 1997.
In pochissime parole
Kant in maltese significa cantare, ma è una parola troppo volgare per l’Eurovision song contest.
I milioni di libri piratati per le intelligenze artificiali – perché il diritto d’autore è importante, finché a violarlo non è qualcuno di davvero ricco.
Link accessibile: archive.is/SH604.
Link accessibile: archive.is/rCKBZ.
Link accessibile: archive.is/N3sfS.