La satira, un puntino rosso sulle ‘i’ di disinformazione
La newsletter numero 113 del 15 novembre 2024
Ciao,
sono Ivo Silvestro e questa è la 113ª edizione della mia newsletter settimanale di segnalazioni e riflessioni.
Oggi parlo di parodie impossibili, di trivellazioni, di comunicazione online di apostrofi che diventano punti.
Ma prima una foto: il canale tra Lavena e il Monte di Caslano visto dal lago.
E allora, questa satira?
Chi mi legge da un po’ lo sa: mi sta a cuore l’informazione. Certo, perché ci lavoro, ma non è solo una questione di difesa della categoria e anzi, probabilmente tra colleghe e colleghi sono uno dei più scettici sulle apocalittiche conseguenze della scomparsa dei media tradizionali. È una delle cose che ho cercato di dire in un’intervista che mi hanno fatto quelli della Corsi, l’ente che fa da tramite tra “società civile” e il servizio pubblico radiotelevisivo.
Ma mi sta molto a cuore anche la satira1 che, per certi versi, è l’antitesi dell’informazione, o almeno al tipo di informazione che piace a me: misurata, approfondita e il più possibile aderente ai fatti confermati. La satira è di per sé più vicina al giornalismo sensazionalistico per non dire alla disinformazione, visto che spesso si inventa o travisa le cose.
Può farlo perché è, appunto, satira: per usare i paroloni filosofici che tanto mi piacciono, non è un discorso apofantico, non è una affermazione che può essere vera o falsa, è l’espressione di un punto di vista polemico e critico sulla società o la politica. È un po’ la differenza tra un’opera di finzione e un saggio o un documentario: puoi criticare un romanzo perché è scritto male, perché non è avvincente, oppure perché presenta delle idee non condivisibili, ma non perché i personaggi non sono mai esistiti.
Questo discorso si regge in piedi se ovviamente è chiaro che quella che abbiamo davanti è satira e non informazione (o narrative e non saggistica). Ma questo differenza è sempre meno sfumata. Un po’ perché abbiamo sempre più opere ibride, nelle quali si mischiano elementi reali e di finzione spesso lasciando in sospeso cosa è certamente vero, cosa è probabile, cosa è possibile e cosa invece è certamente inventato.
Ma soprattutto perché online l’informazione viaggia sempre più decontestualizzata: se un tempo era chiaro, prendendo in mano una rivista satirica, che non si trattava di una testata giornalistica, adesso hai di fronte siti internet che già di per sé sono più anonimi, se poi diventano link e post sui social media perdono ogni riferimento.
Già questa situazione fa sì che, per un sito di disinformazione, autodefinirsi “sito satirico” – ovviamente in piccolo e in qualche pagina difficilmente letta fino in fondo – è una comoda scappatoia: un tempo sarebbe stato impensabile, visto che una rivista satirica aveva caratteristiche che la rendevano subito riconoscibile. Non è un caso se negli elenchi di testate che pubblicano fake news sono spesso inseriti anche media chiaramente satirici, come l’italiano Lercio: c’è spesso qualcuno che prende sul serio qualche loro articolo.
C’è poi un altro fenomeno. Oggi la temperanza non è più considerata una virtù. Anzi: l’autocontrollo, quel momento di riflessione che ti evita di dire e fare la prima cosa che ti passa per la mente è identificato con l’ipocrisia e considerato un vizio. Lo vediamo in politica – ne avevo parlato qualche settimana fa, a proposito dell’ancora non rieletto Trump – e anche nell’informazione. Questo ha di fatto privato la satira di due dei suoi strumenti più potenti, l’iperbole e la parodia: non puoi esagerare e caricaturare qualcosa di già estremo e senza freni.
Mi ritrovo quindi a guardare con sentimenti contrastanti alla notizia che InfoWars, il sito web di disinformazione (e vendita di integratori alimentari) di Alex Jones, è stato acquistato all’asta fallimentare da The Onion, la principale testata satirica statunitense.
InfoWars era fallito nel 2022 dopo la condanna a pagare 1,4 miliardi di dollari di risarcimento alle famiglie delle vittime della strage di Sandy Hook, strage che secondo Alex Jones non sarebbe mai avvenuta. E nelle intenzioni di The Onion – per le quali, più che al divertente articolo da loro pubblicato bisogna fare affidamento ad esempio al New York Times – InfoWars dovrebbe diventare una sorta parodia di se stesso e una presa in giro di personaggi come Jones. Nel progetto – se andrà effettivamente in porto: l’acquisizione non è ancora conclusa – è anche coinvolta l’associazione Everytown for Gun Safety, il che mi rassicura ulteriormente sulle buone intenzioni dell’iniziativa ma non sulla sua riuscita: è ancora possibile fare satira con la parodia, e sfruttando proprio l’immagine di una delle principali piattaforme di disinformazione?
In poche parole
Quanto dobbiamo trivellare per le energie rinnovabili? È una domanda legittima: batterie, pannelli solari, pale eoliche eccetera richiedono materiali che da qualche parte arrivano – e quel “da qualche parte” va preso in considerazione se vogliamo valutare l’impatto della cosiddetta transizione energetica.
Ricordiamoci però che dall’altra parte ci sono carbone e petrolio che, appunto, vengono estratti da sotto terra. Our World in Data ha alcuni grafici interessanti, ma il migliore viene dalla newsletter Distilled con un confronto tra quanto occorre estrarre per le rinnovabili e quanto per le energie fossili. Confronto che, lo anticipo, costringe a scorrere la pagina in basso un bel po’.
Quella di Distilled è una soluzione semplice e intelligente di “testo digitale”: su carta un grafico simile è difficile da riprodurre, per quanto il New York Times aveva fatto qualcosa di simile in passato:
Un’altra soluzione, semplice e intelligente, di testo digitale parte dai link: poco più di cento parole straordinariamente dense di informazione grazie ai collegamenti a fonti e approfondimenti.
Il titolo di questa newsletter, “La satira, un puntino rosso sulle ‘i’ di disinformazione”, è una citazione da Edmond Rostand. La celeberrima frase da bacio perugina sul bacio apostrofo rosa tra le parole ‘t’amo’ ha infatti una storia interessante dietro. Non tanto perché la citazione completa, dal Cyrano de Bergerac, è più lunga:
Ma poi che cos'è un bacio? Un giuramento fatto poco più da presso, un più preciso patto, una confessione che sigillar si vuole, un apostrofo rosa messo tra le parole “T’amo”; un segreto detto sulla bocca, un istante d'infinito che ha il fruscio d'un'ape tra le piante, una comunione che ha gusto di fiore, un mezzo di potersi respirare un po' il cuore e assaporarsi l'anima a fior di labbra.
Il fatto èche nell’originale francese non c’è nessun apostrofo: il bacio è un punto rosa che si mette sulla i del verbo ‘aimer’. Mi metto nei panni di chi si è ritrovato a tradurre questo passaggio: amare in italiano non ha nessuna ‘i’ e quindi, ecco, dove lo mettiamo questo punto rosa? Trasformarlo in apostrofo in “t’amo” è una soluzione geniale, tanto che nei baci perugina hanno ritradotto la citazione dall’italiano:2
Ho scritto una lettera di lamentela al Post. Dall’anno prossimo alcuni podcast da loro prodotti saranno accessibili ai soli abbonati e questa decisione mi rattrista molto. Da abbonato, continuerò ad ascoltarli come sempre,3 ma mi spiace che non siano più accessibili a tutti.
Quando ho scritto la mail ancora non avevo letto l’articolo in cui annunciavano questa decisione, perché penso che dalla delusione sarei passato all’arrabbiatura. “L’abbonamento al Post si arricchisce”, scrivono. Solo che da abbonato continuerò ad avere accesso agli stessi contenuti di prima: non avrò nulla di più di quanto avuto finora. Saranno le altre persone non abbonate ad avere qualcosa di meno: questo rende l’abbonamento più ricco?
Faccio una piccola confessione: una delle prime cose mie pubblicate su un giornale è stato un pezzo satirico, finito sullo sfortunato – perché ebbe vita breve – M, inserto satirico dell’Unità.
Peraltro ignorando che apostrophe in francese è femminile.
O quasi, perché sarò costretto a usare la loro app che apprezzo quanto posso apprezzare un sassolino nella scarpa.