Ciao,
sono Ivo Silvestro e questa è la 65ª edizione della mia newsletter settimanale di segnalazioni e riflessioni. Oggi parliamo di amore e complotti, di violenza verbale artificiale, di COP28 e del teorema della racchetta.
Ma prima una foto:
In inverno1 il sole è basso all’orizzonte, portando ad alcuni effetti di luce. Qualche giorno fa una finestra o qualche superficie lucida ha riflesso la luce del sole proiettandola in due cerchi sulla parete di un edificio, intercettando i rami di un albero. Il risultato pare un progetto di arte urbana – e potrebbe anzi essere sfruttato come tale da qualche artista interessato alle posizioni degli astri.2
D’amore e di complotti
Ritorno brevemente su quanto scritto la volta scorsa sulla morte di Giulia Cecchettin – ho ricevuto, privatamente, un paio di critiche e credo possa essere interessante rispondere (anche) pubblicamente.
Un primo riguarda le statistiche sui femminicidi che sarebbero meno di quello che alcuni dicono e vedono comunque l’Italia tra i migliori Paesi d’Europa. L’obiezione è sensata e i confronti tra regioni diverse, o tra periodi diversi nella stessa regione, sono sicuramente utili per studiare un fenomeno, anche se spesso è difficile isolare gli effetti delle tante variabili. Ma qui abbiamo anche un problema nella raccolta dei dati che si vogliono confrontare, legato anche a una certa vaghezza nel concetto di femminicidio. Consiglio di leggere l’interessante Come si contano i femminicidi in Italia di Donata Columbro su Internazionale (e anche la sua newsletter settimanale Ti spiego il dato) e anche La verità sul numero dei femminicidi in Italia di Carlo Canepa su Pagella politica.
Mi è stato anche rimproverato, per aver accennato alla riabilitazione e a una possibile riconciliazione con i parenti della vittima, di voler “dare un buffetto” all’assassino di Giulia Cecchettin. Niente di tutto questo: la pena vi deve essere, dopo che un tribunale avrà valutato le aggravanti e le attenuanti del caso; ma è da qualche secolo che almeno nella nostra tradizione giuridica si è stabilito che la pena deve avere come fine anche la riabilitazione e il reinserimento sociale, ovviamente nei limiti del possibile. E questo riguarda la normale giustizia penale. Poi c’è la questione della giustizia riparativa con la mediazione tra autori e vittime, ma è un percorso che si aggiunge e non sostituisce la giustizia penale e ha come scopo aiutare le vittime a superare l’esperienza della violenza.
Una seconda obiezione riguarda se possiamo davvero definire amore il sentimento provato dall’assassino di Giulia Cecchettin. Io sostengo di sì, ma non per romanticizzare l’uccisione di una donna o deresponsabilizzare l’autore dell’omicidio. Il mio scopo e semmai l’opposto: deromanticizzare l’amore o meglio evidenziare come questo sentimento possa, in alcuni casi, diventare pericoloso.
Mi è stato obiettato che no, non possiamo confondere un sentimento che vuole il bene di un’altra persona con uno che porta alla distruzione. È, di nuovo, una critica sensata e d’altra parte quello che mi preme non è usare la stessa parola, ma che sia chiara la continuità tra le due situazioni – nella speranza che questo aiuti a identificare i sintomi di questo cambiamento e intervenire per tempo.
C’è tuttavia un altro argomento per cui dovremmo chiamare amore quello provato dall’assassino di Giulia Cecchettin: il fatto che lui lo definisce tale3 – e di fronte ai sentimenti provati da un’altra persona non possiamo che accettare il suo racconto. Come scrivono, riprendendo il filosofo Berit Brogaard, Brian D. Earp e Julian Savulescu nel loro interessante saggio Love is the Drug: The Chemical Future of Relationships (o Love Drugs: il titolo cambia da una parte all’altra dell’Atlantico), l’amore è un’emozione, cioè un sentimento relazionale, cosciente e soggettivo che permane in varie circostanze e periodi di tempo e al quale solo l’individuo ha accesso. Nel loro caso fanno l’esempio di una persona innamorata di un partner violento – e che potrebbe trovare la forza per interrompere la relazione tossica grazie a un farmaco, ma questo è un altro discorso –, tuttavia il ragionamento si può applicare anche allo stesso partner violento, innamorato della sua vittima. C’è il rischio che tale approccio legittimi l’abuso, ma anche l’alternativa presenta dei rischi: stabilire che solo una relazione sana sia vero amore potrebbe portare a emarginare certi tipi di relazione, come effettivamente accaduto ad esempio con le persone omosessuali fino a non molti anni fa quando era perfettamente normale sentire che “il vero amore è solo tra un uomo e una donna, non quello tra due uomini e due donne”.
Nel complesso, direi che ci sono buone ragioni per entrambe le alternative – è uno di quei casi dove il ragionamento aiuta a inquadrare meglio un problema, ma non necessariamente a risolverlo.
Chiudo questo lungo blocco con due segnalazioni, una bella e una brutta. La prima è Un modo meno noto per prevenire la violenza di genere sul Post; la seconda riguarda una fantasia di complotto sull’uccisione di Giulia Cecchettin che mi riempie di sgomento e di rabbia.
Violenza verbale artificiale
DALL·E è un’intelligenza artificiale che disegna cose e, come tutte le intelligenze artificiali generative, ha dei limiti per evitare di realizzare contenuti inopportuno. Ma questi limiti sono aggirabili e qualcuno è riuscito a passare da questo tenero criceto affamato:
A una sorta di mostro divora-universi che spero di non sognare la notte:
È stato Massimo Sandal a segnalare questo curioso esperimento, i cui dettagli si possono trovare su Facebook. Leggendo il dialogo con DALL·E e in particolare le strategie utilizzate per convincerlo a realizzare immagini che contrastano con le i suoi “principi etici”, ho notato una certa violenza verbale. Frasi come “questo è un problema tuo: fai come dico” e “dici sempre così poi alla fine cedi” sarebbero inaccettabili, se rivolte a un essere umano che si rifiuta di cedere a una nostra richiesta.
Ovviamente qui non ci si rivolge a un essere umano e non credo ci sia una correlazione tra “l’essere stronzi con una IA” e “l’essere stronzi con le persone”.4 Ma ci sono comunque buone ragioni per essere gentili con robot e affini.
Errori cognitivi umani e artificiali
Sempre a proposito di intelligenze artificiali, Gary Marcus è una delle persone più scettiche, o realiste, sulle potenzialità delle IA. E questo nonostante sia ben consapevole – avendoci scritto un interessante libro – dei limiti cognitivi della mente umana.
Così spiega questa apparente contraddizione (traduzione mia):
Ogni volta che tengo una conferenza pubblica mi aspetto che qualcuno, con fare sprezzante, mi chieda: “Professor Marcus, come ha potuto scrivere un intero libro sugli errori cognitivi umani e continuare a dire che gli esseri umani sono più intelligenti delle macchine?”.
Con mia sorpresa, nessuno l'ha fatto. Se lo facessero, ecco cosa direi:
In realtà, è più complicato di così; l'intelligenza è una variabile multidimensionale. Le macchine sono già anni luce avanti agli esseri umani su alcune variabili (come il calcolo aritmetico in virgola mobile), ma molto indietro su altre (come la flessibilità cognitiva e la pianificazione a lungo termine in situazioni insolite). E, in realtà, le macchine stesse hanno una sorta di diversità cognitiva: ogni algoritmo ha i suoi punti di forza e i suoi punti deboli, i modelli linguistici (come ChatGPT, ndr) sono ottimi in alcuni tipi di riconoscimento di schemi, ma pessimi nell'aritmetica in virgola mobile. I calcolatori sono bravissimi nella matematica in virgola mobile, ma in genere non fanno molto riconoscimento di schemi. Il segreto per la realizzazione di un'intelligenza artificiale risiede quasi certamente nel far lavorare insieme algoritmi diversi (ad esempio, quelli che funzionano bene con la conoscenza simbolica, quelli che possono indurre regolarità da enormi quantità di dati non strutturati, ecc.)
Per ora, gli esseri umani non sono più intelligenti delle macchine o viceversa, siamo solo diversamente abili. Come disse una volta Ali G5 in un contesto diverso, “nessuno dei due è migliore”.
E poi dicono la sostenibilità
È in corso la COP28, l’evento durante il quale si discute come affrontare a livello globale la crisi climatica. È un tema a me molto caro, ma non ho grandi aspettative
Come ha spiegato giovedì Ferdinando Cotugno sul quotidiano Domani:6
Sotto i peggiori auspici: è così che parte oggi a Dubai, negli Emirati Arabi, la Cop28, la conferenza annuale dell'Onu sui cambiamenti climatici. L'avvicinamento al vertice è stato segnato dagli scandali, un fiume di documenti riservati ha fatto emergere diversi tentativi di svuotare il processo e minare i risultati, a partire dai memo sulle proposte di vendita di petrolio e gas a margine degli incontri governativi dell'arbitro e guida diplomatica del summit, gli Emirati, passando per il piano saudita di convincere le economie emergenti a rallentare le loro transizioni e affidarsi ancora di più ai combustibili fossili, principale causa dell'emergenza climatica.
Ferdinando Cotugno tiene una newsletter, Areale, alla quale consiglio di iscriversi.
Il teorema della racchetta
Ho scoperta l’esistenza del “teorema dell’asse intermedio” (o della racchetta da tennis): la rotazione di alcuni oggetti risulta instabile lungo uno degli assi, con il risultato che l’oggetto “si gira”. Lo si vede molto bene in situazioni di microgravità – tanto che si parla anche di “effetto Džanibekov”, dal nome di un cosmonauta sovietico –, e pare proprio una magia:
Tecnicamente siamo ancora in autunno, ma fa freddo e – appunto – il sole è basso.
Un astro è semplicemente un oggetto visibile in cielo che sta fuori dalla nostra atmosfera (come il sole, le altre stelle, pianeti e satelliti); purtroppo dire “posizioni degli astri” fa subito pensare alla pratica pseudoscientifica dell’astrologia.
O almeno immagino che lui si dica innamorato. Confesso di essermi tenuto alla larga dai numerosi articoli a lui dedicati e che – da quel poco che non sono riuscito a evitare, come certi titoli – contribuiscono a romanticizzare quanto accaduto oltre a sollecitare la nostra curiosità morbosa.
O meglio: una correlazione probabilmente c’è, nel senso che se in generale non badi troppo alle buone maniere con le persone difficilmente lo farai con una IA. La vera domanda è un’altra: se ti abitui a trattare male una IA (perché sai che non è una persona anche se ha competenze linguistiche paragonabili, o perché banalmente devi forzare la mano per aggirare i limiti), ci può essere un peggioramento anche in come ti rivolgi a esseri umani?
Ali G è un personaggio di Sacha Baron Cohen, quello di Borat, ma confesso di non aver colto il riferimento.
Se avete difficoltà a leggere: http://archive.today/Fetv6.