Il riscaldamento globale da una terrazza vista lago
La newsletter numero 139 dell'11 luglio 2025
Ciao,
sono Ivo Silvestro e questa è la 139ª edizione della mia newsletter settimanale di segnalazioni – che trovate anche nel numero extra del lunedì – e riflessioni.
Oggi parlo di immagini per raccontare il caldo estremo, di decisioni naturali e artificiali, di Hitchcock e di una famiglia distrutta.
Ma prima una foto: un arcobaleno completo (e, se ingrandite bene l’immagine, doppio)
Neanche le foto, mi vanno bene
Come immagino la maggior parte di giornaliste e giornalisti che si occupano di ambiente, anch’io ho scritto un articolo sulla ondata di caldo anomalo che ha colpito l’Europa tra fine giugno e inizio luglio.
Essendo una persona coscienziosa – o un cazzo di pignolo a cui non va bene niente, come mi dicono alcuni colleghi – sono stato attento alle solite cose: evitare toni apocalittici che potrebbero respingere alcune persone (e convincere altre che non c’è più niente da fare e tanto vale bruciare petrolio e carbone in attesa della fine del mondo), ma anche non normalizzare una situazione che normale non è; spiegare il rapporto tra meteo e clima e raccontare come si fa ricerca climatica senza entrare in dettagli tecnici (o quantomeno metterli in un pezzo a parte che si può saltare) che potrebbero annoiare ma la cui assenza potrebbe far pensare che scienziate e scienziati estraggano le loro proiezioni da un cilindro; parlare di soluzioni di adattamento senza dare l'impressione che basti piantare qualche albero a caso in centro per risolvere tutti i problemi.
Dopo aver scritto al meglio delle mie possibilità, è venuto il momento di impaginare. E di scegliere le immagini.
Di solito non è complicato, scegliere immagini per articoli: apri l'archivio fotografico, digiti due parole chiave e scegli nel ricco catalogo. Tuttavia con "heatwave", "extreme heat" e ricerche simili mi sono trovato davanti gente che mangia gelati, che si rinfresca alle fontane, che fa il bagno in fiumi e laghi, che si rilassa all’ombra di un albero. Un po’ strano, per un fenomeno che fa decine di migliaia di morti ogni anno.
Sì, perché vale la pena ricordarlo: il caldo estremo uccide. E in modo poco democratico: pensiamo alle disparità nella disponibilità dell’aria condizionata o di abitazioni in zone con verde urbano, a chi fa lavori pesanti all'aperto e chi – come il sottoscritto – può piazzarsi a scrivere in terrazza. Ma la maggior parte delle immagini che troviamo raccontano un'altra storia, quella di assolate giornate spensierate. Come se di un terremoto avessimo solo foto di gente che si gode un campeggio all'aperto. Paradossale, no?
Certo, il calore è difficile da fotografare. Un piazzale asfaltato è lo stesso piazzale asfaltato con 10, 30 o 50 gradi. E anche l'operaio che lo sta sistemando indosserà, per questioni di sicurezza, la stessa tuta protettiva. È ovvio che l’idea “fa molto caldo” sia meglio rappresentata da un tizio in maglietta (o addirittura senza) che si sdraia all’ombra di un albero. Però quell’immagine non dice solo “fa molto caldo”, ma anche “con il caldo ci si può rilassare all’ombra o rinfrescare con una fontana”.
È una esagerazione mia e alla fine parliamo solo di una foto? Può essere, ma l’importanza delle immagini nella comunicazione non è una fissa mia (o almeno, non è una fissa solo mia). Si parla anche di “visual disinformation”: non necessariamente foto false o presentate con una didascalia falsa. Il fatto è che le immagini influenzano il modo in cui percepiamo un contenuto, anche quando non sono direttamente collegate al testo, come per le immagini che potremmo definire “decorative”
Le immagini influenzano attenzione, interpretazione e memoria, condizionano il modo in cui elaboriamo le informazioni.
Il caso delle ondate di calore è emblematico. Saffron O'Neill e il suo team hanno analizzato la copertura mediatica delle ondate di calore del 2019 in Francia, Germania, Olanda e Regno Unito: un terzo delle immagini era “positivamente connotato”, in pratica mostrava gente che si divertiva al sole e con l’acqua, fosse anche solo quella di una fontana. E questo mentre meno dell’1% degli articoli aveva un tono positivo, creando una forte dissonanza tra testo e immagine. Come se giornalisti e giornaliste scrivessero di una cosa e fotografi e fotografe ne documentassero un'altra. E tanti saluti all’efficacia e alla coerenza del messaggio.
Il problema delle immagini fuorvianti o comunque incoerenti non è un problema che riguarda solo le ondate di calore o il cambiamento climatico; ma mi sembra che in altri ambiti del giornalismo una certa sensibilità ci sia già. Sul riscaldamento globale direi di no, salvo eccezioni come il Guardian che dal 2019 dedica maggiore attenzione alle immagini che corredano i loro articoli sul cambiamento climatico. Le risorse non mancano: ho scoperto, purtroppo dopo aver pubblicato il mio articolo, l’esistenza del progetto Climate Visuals, nato proprio per fornire le risorse per un linguaggio visivo più efficace per comunicare il clima, con alcune raccomandazioni proprio per il caldo estremo.
Hanno inoltre una libreria di immagini molto ricca e se cerco “heatwave” trovo persone bloccate in autostrada, persone che lavorano e anche chi cerca un po’ di fresco lo fa in un parco arso dal sole.
Quelli di Climate Visuals hanno anche sviluppato sette principi per le immagini climatiche (inserite come filtri nella ricerca delle immagini):
mostrare persone “vere”, non scene costruite;
raccontare storie nuove, non i soliti orsi polari o le ciminiere;
raccontare il clima su larga scala, facendo vedere l'impatto sistemico;
fare attenzione all’impatto emotivo delle immagini che può opprimere se non accompagnato da soluzioni concrete;
mostrare impatti climatici locali, quando sono importanti;
fare molta attenzione alle immagini di proteste che possono polarizzare anziché coinvolgere;
adattarsi al pubblico, visto che quello che funziona per un gruppo può non funzionare per un altro.
Queste sette raccomandazioni non sono solo questione di buon senso, ma il risultato di ricerche scientifiche. Un aspetto in più di cui tenere conto quando si prova a raccontare il cambiamento climatico, un fenomeno – lo raccontavo settimana scorsa – che tende a sfuggire alla nostra attenzione. E che non merita di essere raffigurato come una festa in piscina.
In poche parole
Ho intervistato1 Maurizio Ferraris a proposito del suo ultimo libro dedicato all’Intelligenza artificiale. Uno dei punti che solleva è che le IA, al contrario delle “vere” intelligenze in giro per il mondo, non hanno volontà. In una domanda ho fatto notare che comunque le IA prendono decisioni. Ho trovato la sua risposta interessante:
Il termostato riaccende la caldaia quando la temperatura si abbassa sotto la soglia prefissata dall’utente. Ha preso una decisione? Ma quando mai… E c’è un senso qualsiasi in cui una intelligenza artificiale prende una decisione in un senso diverso dal termostato? Vorrei far notare, inoltre, che un automobilista che si ferma al rosso non prende una decisione, esegue un programma: la decisione la prenderebbe qualora, a suo rischio e pericolo, decidesse di passare. Lo stesso vale in momenti più solenni. Quando due persone dicono “sì” al matrimonio stanno semplicemente eseguendo un programma, che certo consegue da decisioni (oh, quanto confuse, vaghe, tentennanti, direi quasi quantiche) assunte in precedenza. Ma al momento del sì la decisione avrebbe luogo solo se, poniamo, la sposa, in un momento di lucidità, dicesse “no” e scappasse dalla chiesa o dal municipio. Questo per dire che non solo siamo portati a sopravvalutare la capacità delle macchine di prendere delle decisioni (non esiste), ma siamo inclini, per vanità di specie, a pensare che la vita umana è tutto un susseguirsi kierkegaardiano di decisioni. Non funziona così, pensiamo alla nostra vita, pensiamo a quando noi stessi ammettiamo – per farci perdonare una decisione non presa – che le circostanze hanno deciso al posto nostro, e ci renderemo conto di quanto sopravvalutiamo noi stessi (e passi) e certe macchine (e qui vien meno persino il movente narcisistico).
Sempre in tema “le intelligenze artificiali sono davvero intelligenti”, segnalo la bella intervista a Nello Cristianini. Se Ferraris mette l’accento sulle differenze – e lo fa per affrontare il tema che davvero gli interessa: costruire una sorta di teoria della mente umana che includa anche risorse cognitive esterne –, Cristianini mi sembra insistere più sulle somiglianze.
Ho rivisto Nodo alla gola di Alfred Hitchcock.
Me lo ricordavo soprattutto per la tecnica – con un piano sequenza unico, o quasi, per mantenere la continuità di tempo – e per il gioco di sospetti intorno al corpo di un uomo nascosto in una cassapanca. Rivedendolo mi hanno invece colpito due cose. La prima è il confronto filosofico-morale tra James Stewart (l’ex insegnante Rupert Cadell) e John Dall (Brandon Shaw, uno dei due assassini) sulle convenzioni sociali; la seconda è il fatto che i due assassini sono una coppia omosessuale che Hitchcock è riuscito a rappresentare nonostante il Codice Hays lo proibisse esplicitamente. Certo, le allusioni da lui inserite per aggirare la censura oggi rischiano di sfuggire – perché mai non si dovrebbe mostrare esplicitamente che i due sono una coppia? –, ma danno alla loro relazione un’aura di normalità che sarebbe bello avere, oggi.
C’è questa storia di una donna di origine armena presa dall’ICE, la polizia dell’immigrazione statunitense, e pronta a essere espulsa nonostante sia sposata con un americano e, in caso di rientro in Iran, rischi di essere perseguitata in quanto cristiana. “La colpa non è di Trump, ma di Biden” afferma il marito, fervente trumpiano nonostante l’arresto della moglie: la tentazione di qualche commento sarcastico, sull’intelligenza dei sostenitori di Trump, c’è. Ma di fronte a una famiglia distrutta, anche se in una qualche maniera ha partecipato attivamente alla propria rovina, provo solo tristezza.
In pochissime parole
Un errore di traduzione che, insieme a un altro ancora, non sai bene se sono veri errori o modi per fare clic.
L’avanzata dell’estrema destra inizia con uno scherzo.
Articolo dietro paywall. Non ho versione accessibili al momento: nel caso scrivetemi.