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Ciao,
sono Ivo Silvestro e questa è la 35ª edizione della mia newsletter. Oggi parliamo di cose che non sappiamo, di caftani molto comodi e di ascensori spaziali.
Ma prima una foto:
La colpa non è dell’ignoranza
Mercoledì ho avuto il piacere di assistere a una conferenza dell’immunologo Alberto Mantovani. È stata molto interessante: Mantovani è un bravo comunicatore e ho apprezzato soprattutto due cose. La prima è stata la sua cautela nell’usare metafore belliche per descrivere il sistema immunitario – del resto il suo libro riprende nel titolo l’immagine di un’orchestra. La seconda è il fatto che ha presentato il sapere scientifico come qualcosa in continua evoluzione: quello che oggi non sappiamo potremmo scoprirlo domani e, soprattutto, quello che crediamo di sapere oggi potremmo non saperlo più domani.
Poi, al momento delle domande del pubblico, una piccola delusione. “Perché molte persone non si vaccinano?”., gli è stato chiesto. Mantovani è partito con l’ammissione di non conoscere a fondo il fenomeno ma, invece di fermarsi lì e passare a un’altra domanda, ha azzardato una risposta: la scarsa conoscenza scientifica.
Ora, sono anch’io propenso a credere che ci sia poca cultura scientifica e che questa mancanza sia un problema – poi, da bravo filosofo, mi chiedo subito come stabilire il livello minimo accettabile di conoscenze scientifiche e quali siano effettivamente i problemi che ne derivano, ma di questo magari ne discutiamo un’altra volta. Resta il fatto che l’ignoranza non è il motivo principale per cui alcune persone non si vaccinano. Alla base dell’esitazione vaccinale – ne ho accennato nella scorsa edizione a proposito del rapporto dell’UNICEF – ci sono vari fattori e se proprio devo puntare il dito su una lacuna, mirerei ai sistemi sanitari non alla conoscenza scientifica.
L’informazione e la diga del porto di Genova
A Genova si sta costruendo una nuova diga foranea – per dirla alla buona, un muro in acqua per fermare le onde davanti al porto.
Dapprima ho scoperto alcuni dettagli di questo progetto grazie a un video su YouTube realizzato da Geopop:
Il video, ben fatto, è molto rassicurante sull’impatto ambientale dell’opera. E alla fine del filmato si ringrazia il consorzio che costruirà la diga foranea.
Poi Il Post ha pubblicato un articolo sulla diga, intitolato L’opera più costosa del PNRR. Non capisco bene il senso di questo titolo, ma nel testo trovo il seguente passaggio:
[Il consorzio] assicura che saranno rispettati «i più stringenti criteri di sostenibilità». La costruzione, infatti, si basa sul riuso dei vecchi materiali, in particolare l’utilizzo di quasi tutto il materiale proveniente dalla demolizione della vecchia diga per ridurre l’impatto ambientale nella fase di costruzione, le operazioni di trasporto e il consumo di carburante.
Nonostante le rassicurazioni, comunque, negli ultimi mesi sono emersi dubbi sull’opportunità di costruire una diga così grande, con proteste per l’impatto ambientale e per l’organizzazione del cantiere.
Concludo la lettura e non so dire se quest’opera vale tutti i soldi che costerà e quale sarà l’impatto sull’ambiente. Ma mi rendo conto quanto sia importante distinguere chi fa comunicazione – mettendosi al servizio di aziende – da chi fa informazione.
Il caftano di Michele Serra
Scopro di avere una cosa in comune con Michele Serra: adoriamo il caftano. Poi certo, io mi limito a dire che è comodo, lui sfiora la supercazzola:
Dal punto di vista tecnico il caftano – come ogni tunica lunga – abolisce il problema della cesura tra parte alta e parte bassa della figura umana. Restituisce unità al corpo, libera dalla tirannia (ottusamente binaria) cintura-bretelle, bypassa la riottosa presenza della pancia assorbendola, con un magistrale tocco di semplificazione, nell’insieme della silhouette maschile.
Ma la parte più interessante del suo scritto riguarda il perché, pur trovandolo molto comodo, non indosserebbe mai il caftano in pubblico: ogni vestito ci rappresenta socialmente.
Nel groviglio di esperienze, giudizi, pregiudizi, abitudini, sospetti, convenzioni che guida le nostre giornate, non rimangono molti varchi per uno sguardo ingenuo sulle cose. Io stesso, incontrando in Italia un italiano con il caftano, penserei, più o meno in quell’ordine, le stesse cose che ho elencato poco sopra. Dunque non indosserò mai il mio magnifico caftano in pubblico perché condivido, con i miei simili, una radicata tendenza a restare dentro quella smisurata comfort zone sociale che è il già visto, il già sentito, il già indossato.
Per concludere, due linee
La prima linea è quella Kármán che segna il confine tra l'atmosfera terrestre e lo spazio esterno. È una linea arbitraria, convenzionalmente posta a 100 km di altitudine. Cento chilometri sono relativamente pochi: chi vive a Milano è più vicino allo spazio che al mare. Poi certo, un conto sono 100 km in orizzontale, un altro 100 km in verticale – ma se fosse un ascensore a portarci fin lassù?
Space Elevator è un sito affascinante che ci mostra il viaggio di questo ascensore per lo spazio.
La seconda linea è quella di Wallace e separa gli animali dell’Asia da quelli dell’Oceania. Ne scrive Il Post e l’articolo è una interessante introduzione alla biogeografia.
Infine, scopriamo come le traduzioni automatiche possono inventare delle parole inesistenti.
Questa edizione della newsletter finisce qui; se vi è piaciuta potete consigliarla o condividerla con altre persone…
Ci leggiamo tra sette giorni.