Ciao,
sono Ivo Silvestro e questa è la 125ª edizione della mia newsletter settimanale di segnalazioni – che trovate anche nel numero extra del lunedì – e riflessioni.
Oggi parlo di sogno americano, di esperti e ghiacci che aumentano o forse no.
Ma prima una foto:
Una volta tanto, l’attualità
Chi segue questa newsletter da un po’ lo sa: non sono molto attento all’attualità. A volte commento eventi vecchi di settimane o mesi, spesso non parto neanche da fatti di cronaca. Questa volta invece ho una notizia fresca, anzi ancora in corso: i dazi decisi dal governo americano ovvero da Donald Trump.
Io di economia ne capisco poco, ma le persone che ne capiscono mi sembrano tutte concordi nel dire che quei dazi – i più alti da quasi un secolo – sono una fesseria e che alla fine ci rimetteremo tutti.
È interessante notare che questa decisione di Trump è perfettamente coerente con la sua visione del mondo come gioco a somma zero, non solo nell’ambito del commercio internazionale. In altre parole, se una parte vince l’altra perde (e quindi se si sommano tutte le vincite e le perdite si arriva, appunto, a zero). Di fronte a una torta, la fetta che mangi tu è quella che non posso più mangiare io e viceversa. Tuttavia nella vita non ci sono solo torte già fatte: se io ho farina, burro e uova, mentre tu hai zucchero, marmellata e un forno, possiamo partecipare a un gioco a somma maggiore di zero e gustarci una crostata, invece di tenerci ingredienti poco interessanti da soli.
Questa cosa del gioco a somma zero è il presupposto di quasi tutte le giustificazioni dei dazi. Ma se ne sono sentite anche altre che Noah Smith – uno di quelli che mi pare capirci, di economia – ha liquidato come “even less coherent”, persino meno coerenti. Smith si riferiva in particolare a una dichiarazione del Segretario del Tesoro Scott Bessent: “Access to cheap goods is not the essence of the American dream”, la disponibilità di beni a basso costo non è l'essenza del sogno americano.
Questa affermazione mi ha colpito. Intendiamoci: è la fesseria, peraltro coerente con la retorica del Make America Great Again, tirata fuori per giustificare gli effetti negativi dei dazi sull’economa, ma io ho questo brutto vizio di vedere se c’è qualche idea interessante anche nelle fesserie.
Secondo Wikipedia, il sogno americano è la speranza che “attraverso il duro lavoro, il coraggio, la determinazione sia possibile raggiungere un migliore tenore di vita e la prosperità economica”. Mi chiedo se questo scenario sia un sogno nel senso di una realtà bellissima oppure se in quello di qualcosa di irreale: i dati sulla mobilità sociale mi farebbero pensare alla seconda interpretazione, ma lasciamo in sospeso la domanda e torniamo ai beni a basso costo. In effetti non ve ne è traccia, in questa idea del sogno americano: si parla raggiungere la prosperità economica, cioè di avere più soldi, non di avere gli stessi soldi di prima ma poterci comprare più cose perché sono più economiche.
Anche perché quei beni a basso costo da dove arrivano? Dall’ottimizzazione dei processi produttivi ottenuta grazie al progresso tecnologico? Oppure dall’impiego di materie più scadenti, da un impiego non sostenibile delle risorse naturali e dallo sfruttamento di manodopera tenuta in condizioni di semischiavitù? Certo, magari tutto questo rientra nel sogno americano, ma non nel mio sogno di una società giusta o quantomeno decente.
No, non mi illudo che sia questa la preoccupazione di Donald Trump o che i dazi calcolati guardando semplicemente al deficit commerciale possano in qualche maniera ridurre queste ingiustizie. Ma non vorrei ritrovarmi, nel criticare scelte economiche discutibili, a difendere un sistema economico che mi propone prodotti scadenti destinati a diventare spazzatura dopo poco tempo, prodotti inquinando e sfruttando lavoratori e lavoratrici in zone remote del mondo.
In uno dei romanzi della serie Mondo Disco di Terry Pratchett, un personaggio spiega che un paio di stivali economici costa 10 dollari e dopo una stagione inizia a lasciar entrare l’acqua. Degli stivali di buona qualità costano invece 50 dollari, ma durano per anni. Chi è povero quei 50 dollari non li ha, si compra gli stivali economici, dopo un anno ha i piedi bagnati e dopo due deve spendere altri 10 dollari per un altro paio di stivali. Chi è ricco invece 50 dollari li può spendere senza problemi e si può comprare degli stivali che durano, senza lasciar entrare l’acqua, almeno dieci anni. La conclusione di Pratchett è semplice: alla fine la persona povera ha speso di più di quella ricca e buona parte del tempo l’ha passata con i piedi bagnati.
Rimediare a questa ingiustizia producendo stivali da 5 dollari è una possibile soluzione che può funzionare, soprattutto se non si fa caso alla quantità di stivali nelle discariche e alle condizioni di lavoro di chi quegli stivali li cuce. Ma se devo sognare, o sperare, auspico che chiunque possa permettersi di comprare stivali da 50 dollari.
In poche parole
Se non ne capisco niente di economia, come ho ammesso poco sopra, come faccio a capire se una persona davvero ne capisce? A questa domanda ha risposto un filosofo, Alvin Goldman, in un articolo intitolato Experts: Which Ones Should You Trust?. Mettiamo di avere due persone che si dicono esperte di un tema e che affermano due cose contrarie, tipo che i dazi di Trump sono una buona o una pessima idea. A chi posso credere, non sapendo nulla di commerci internazionali? Goldwin ovviamente non ha una regola per identificare con precisione chi davvero ne capisce, ma cinque massime che un qualche aiuto lo danno
La prima è: esamina gli argomenti presentati. Anche se non sono un esperto, una idea di massima me la posso fare. La seconda è andare a vedere come la pensano altre persone esperte. Il terzo passaggio è controllare il curriculum, visto che non tutti gli esperti sono davvero esperti di quel particolare settore. Il quarto criterio riguarda conflitti d’interesse e pregiudizi e il quinto i precedenti.
Alcuni anni fa avevo applicato questi criteri ad alcune affermazioni di Luc Montagnier.1
Quale settimana mi ero imbattuto, su Facebook, in un post dove con tanto di mappe si mostrava come dal 2003 al 2023 il ghiaccio al Polo Sud fosse aumentato, alla faccia del riscaldamento globale. Solo che quella mappa diceva esattamente il contrario: per motivi a me ignoti – forse faceva parte di una serie, non sono riuscito a trovare la fonte originale – non confrontava la situazione del 2023 con quella del 2003, ma il contrario. In pratica è come se di fronte all’affermazione “nel 2003 c’era molto più ghiaccio che nel 2023” uno rispondesse “ha detto che c’è più ghiaccio, il riscaldamento globale è una bufala!”.
Riporto questo piccolo aneddoto non per dire “vedete quanto sono stupidi” (con l’implicito “voi che mi leggere invece siete così intelligenti”), ma per il dispiacere nel vedere sempre meno spazio per discussioni serie sulla crisi climatica (e non solo).
In pochissime parole
Le AI generative copiano lo stile degli artisti (e quindi violano il copyright per quello)?
Irene Graziosi ha intervistato Caroline Darian, la figlia di Dominique Pélicot.
Combattere la crisi climatica? Fa bene anche all’economia, secondo un rapporto dell’OCSE, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico.
Link accessibile: archive.is/da6n7.