Ciao,
sono Ivo Silvestro e questa è la 89ª edizione della mia newsletter settimanale di segnalazioni e riflessioni.
Oggi parliamo della medicina delle nostre donne, di saggezza artificiale e di pioggia.
Ma prima una foto:
La medicina delle nostre donne
Mi sono imbattuto nel libro La medicina delle nostre donne pubblicato nel 1892 da Zeno Zanetti, medico con la passione per l’etnografia. Quel “delle nostre donne” è da intendersi come riferimento alle pratiche mediche popolari umbre oggetto di questo “studio folk-lorico” (come recita il sottotitolo del libro).
Perché proprio le donne, l’autore lo spiega in una nota a piè di pagina – dalla quale, tra l’altro, si capisce che già alla fine dell’Ottocento attribuire ridotte capacità intellettive alle donne era problematico:
Alle gentili lettrici le quali potessero adontarsi del titolo del mio libro, dirò subito che io lo prescelsi per il solo fatto che la donna, più conservatrice dell'uomo, più tardi di questo dimentica le antiche teorie, più tardi si spoglia delle false credenze e dei pregiudizi ; e inoltre perchè è la donna che si studia sempre di recare, in qualche modo, un sollievo a coloro che soffrono.
Ma perché Zanetti era interessato a queste pratiche popolari? Perché non sono semplici superstizioni frutto di “fantasie eccitate dal dolore e dalla trepidazione per la sorte di un infermo” (pag. 4), bensì i resti di nozioni apprese secoli prima da qualche “uomo dell’arte”, insomma da un medico vero che aveva studiato in base a quella che allora era considerata scienza e le cui conoscenze vengono ora ricordare in maniera incompleta. Guardare le pratiche popolari di oggi ci permette insomma di studiare le antiche scuole mediche. E viceversa, guardare la “medicina moderna” della fine dell’Ottocento permette di anticipare quello in cui crederanno le “nostre femminucce” – ché, evidentemente, la possibilità di avere non solo “uomini dell’arte” ma anche “donne dell’arte” era completamente aliena a Zanetti, nonostante all’epoca ci fossero già alcune donne laureate in medicina, tra cui Ernestina Paper e Anna Kuliscioff.
Ma il punto non è tanto più mi ha colpito è un altro: Zanetti è convinto che le credenze popolari siano traccia di antiche teorie mediche perché è impossibile che abbinoa un’altra origine, perché il popolo non è capace di inventare nulla di scientifico:
Se infatti dallo studio di esse, il popolo, talvolta e non sempre, ci si manifesta poeta, (poichè le vere concezioni poetiche non derivano da menti incolte), d'altro lato per le sue condizioni di mancato sviluppo intellettuale, non ci apparisce giammai scienziato, giacchè in fatto di nozioni positive, esso conserva, ma non crea. Quindi è che la sua scienza medica esso non può averla inventata, ma ricordata soltanto.
Nella prefazione del libro, anche Paolo Mantegazza – antropologo tra i primi divulgatori della teoria darwiniana in Italia – propone una idea molto simile:
Io ho sempre creduto, che le superstizioni siano, nel gran mosaico di una civiltà, come gli organi rudimentali che rimangono nel nostro organismo, quali ultimi avanzi di funzioni di un tempo. Essi sono inclusi, come incastonati in mezzo ad organi vigorosi e nella attuale pienezza delle loro energie, e ci rammentano tempi lontani, ricordi arcaici di civiltà spente, di templi crollati e di scienze morte. Lo studio darviniano degli organismi, vi dimostra muscoli ed organi atrofici, che una volta erano necessarî all'esercizio della vita ed oggi son ridotti a comparire morti ma vivi, quasi fossero incaricati di dettarci l'albero genealogico delle forme che si succedono nella grande storia delle evoluzioni. E così abbiamo nelle superstizioni, altri organi morenti e destinati a scomparire dalla vita civile di un popolo, ma che un tempo furono dogmi di scienza, pietre angolari, su cui poggiavano la morale, la religione, le arti tutte della vita.
Tuttavia mi sembra che ci sia qualcosa di diverso, nei due approcci. Perché se effettivamente applichiamo il darwinismo alle credenze – cosa che Mantegazza fa esplicitamente, anticipando il capitolo sui memi del Gene egoista di Dawkins – allora dobbiamo contemplare la possibilità di una evoluzione delle credenze: le superstizioni saranno forse come organi vestigiali ormai primi di funzione, ma il popolo nonostante il suo “mancato sviluppo intellettuale” è in grado di innovare. E, di rimando, anche le menti eccelse possono avere credenze vestigiali, insomma esseresuperstiziosi – e infatti Mantegazza cita, brevemente, le strambe credenze di Goethe, Napoleone e Rousseau.
In poche parole
OpenAI ha presentato una nuova versione di ChatGPT. Che non è la versione 5, della quale abbiamo solo reboanti1 annunci, ma una versione 4o, dove la “o” dovrebbe stare per omni, credo in riferimento alla sua abilità di parlare e vedere. Le sue capacità di ragionamento sembrano essere grosso modo le stesse, cadendo in varianti di semplici indovinelli tipo quello del fiume con capra e cavolo.
Le caratteristiche davvero interessanti, però sembrano essere altre meno appariscenti: GPT 4o parrebbe essere più veloce e richiedere meno risorse. Il che è una ottima notizia pensando agli elevati consumi di energia (e di acqua per il raffreddamento dei centri di calcolo), ma al contempo prospetta un mondo nel quale le intelligenze artificiali non sono creature onnipotenti ma svogliati stagisti così inaffidabili che spesso è più veloce a far tu il lavoro. Questa analogia l’ho presa da un interesante articolo di Julia Angwin2 sul New York Times, nel quale si parla di come l’entusiasmo iniziale stia lasciando lo spazio a più realistiche aspettative.
Restiamo in tema Intelligenza artificiale o meglio LLM (che sta per “modelli linguistici di grandi dimensioni”, insomma ChatGPT). Non sono molto intelligenti, o meglio sono diversamente intelligenti nel senso che alcune cose le fanno molto bene, altre molto male ma in modi che un essere umano non si aspetta.
Questo per quanto riguarda l’intelligenza; e la saggezza? Se lo è chiesto David Robson in uno speciale sul sito della BBC: Dear AI: This is what happens when you ask an algorithm for relationship advice. Il risultato è che ChatGPT è abbastanza saggio, insomma raccomanda cose sensate in caso di conflitti coniugali – è stato messo alla prova con le lettere inviate a “Dear Abby”, la più popolare e longeva rubrica di consigli sui quotidiani statunitensi – mostrando capacità simili a quelle umane.
Sospetto che il merito sia principalmente in chi legge o ascolta questi consigli – che vengano da umani, da intelligenze artificiali o da frasi scelte a caso da libri –, interpretandoli in base al contesto. Ma è interessante che, dei vari aspetti con cui si valuta la saggezza, ChatGPT si è mostrato carente soprattutto sull’umiltà intellettuale.3 Insomma, ha qualche problema a comprendere i propri limiti e a concepire la possibilità di sbagliarsi.
Ho seguito un incontro con un “creatore di animazioni 3D”.
È stato interessante scoprire come vengono creati questi mondi virtuali partendo da paesaggi reali minacciati dalla crisi climatica, come ghiacciai o laghi effimeri che si formano nei deserti. Quello che non ho capito – e che mi sembra sia stato dato per scontato – è come tutto questo dovrebbe migliorare la comprensione pubblica del cambiamento climatico.
Intendiamoci: sono convinto che la comunicazione non possa limitarsi a ricerche scientifiche e modelli. Ma davvero, come ha osservato qualcuno durante l’incontro, abbiamo bisogno di mondi virtuali per comprendere che stiamo andando incontro a grossi problemi? Temo che dietro questa idea che solo l’arte possa comunicare la crisi climatica e tutto il resto sia inutile, ci sia un qualche pregiudizio antiscientifico.
Scrivo questa parte della newsletter mentre sta piovendo. Molto.
Maggio probabilmente segnerà un altro record, come avvenuto a marzo:
Precipitazioni abbondanti (più di 50mm in 24 ore e mercoledì, da queste parti, ce ne sono stati circa 70) sono uno degli effetti della crisi climatica previsti per l’Europa occidentale, insieme a più lunghi periodi di siccità – insomma, invece di un po’ di pioggia tutto l’anno ne abbiamo tanta concentrata in pochi periodi. Come si vede da questa scheda presa dalla prima valutazione europea dei rischi climatici:
Su Scienzainrete Riccardo Lo Bue riassume il rapporto. E non sono buone notizie:
Il report evidenzia come le attuali valutazioni del rischio climatico tendano a sottostimare il rischio complessivo, che è dato anche dall’interazione tra fattori climatici e non climatici, e da scenari improbabili ma plausibili.
In pochissime parole
La strana lettera di scuse del generale Roberto Vannacci a Paola Egonu.
Tempo 250 milioni di anni e ci sarà (di nuovo) un unico immenso continente. Peccato che la Terra sarà davvero inabitabile, a quel punto.
Qualche riflessione interessante sulla storia del “meglio un orso di un uomo”.
I “pro-life” entrano nelle scuole pubbliche per insegnare che i contraccettivi sono pericolosi.
Sì, la versione corretta è “reboante” con la e, non “roboante” con la o.
Link per tutti: archive.is/LUGVu.
Da notare che c’è un certo dibattito se l’umiltà intellettuale sia effettivamente una virtù.