Ciao,
sono Ivo Silvestro e questa è la 27ª edizione della mia newsletter. Oggi parliamo di scienza e social, di cocktail, senzatetto e mestruazioni.
Segnalo anche oggi alle 18.30 si terrà la prima Razionale del CICAP Ticino.
Ma prima una foto (primo giro in barca dell’anno):
A caccia di social media e di condivisioni
In fondo a questa newsletter c’è un pulsante per condividerla.1 È lì in fondo, e non in mezzo al testo dove probabilmente sarebbe più efficace, perché non mi va di disturbare la lettura. Oggi ho un motivo in più per fare così: secondo una ricerca condividere un’informazione ci rende più creduloni.
“The social media context interferes with truth discernment” è il titolo dell’articolo pubblicato su Science Advances ma prima di vedere i contenuti, qualche avvertenza.
La ricerca è stata condotta sottoponendo ad alcuni soggetti il titolo di una notizia e chiedendo loro, in maniera casuale, se la consideravano attendibile e se l’avrebbero condivisa online. Insomma una situazione così:
che è un po’ diversa dal modo in cui di solito troviamo delle notizie e decidiamo di condividerle. L’effetto rilevato dai ricercatori potrebbe non esserci, o essere trascurabile, nella “vita vera”. Ma intanto si è visto che le persone sono meno brave a distinguere le notizie vere da quelle false quando viene loro chiesto se sono interessati a condividere la notizia.
Perché tutto questo? I ricercatori hanno preso in considerazione due ipotesi. La prima è che abbiamo una quantità limitata di “energia mentale” e se ne impieghiamo una parte per decidere se condividere la notizia, ne abbiamo meno a disposizione per valutarne criticamente il contenuto. Insomma, decidere se condividere o meno un contenuto ci distrae. La seconda ipotesi è che la decisione di condividere una notizia ci porti automaticamente a considerarla più attendile, visto che non ci piace l’idea di condividere notizia inaccurate.
I due modelli differiscono per il tipo di interferenza: il modello dell’energia mentale (che i ricercatori definiscono “spillover”) prevede giudizi errati sia per le notizie vere che per quelle false, mentre il modello della consistenza prevede perlopiù notizie false scambiate per vere. Ebbene, i dati mostrerebbero che è il primo modello a essere corretto. In altre parole: basta prevedere la possibilità di condividere una notizia per abbassare lo spirito critico delle persone.
Ma questa non è l’unica ricerca sui social media di questi giorni. Un altro studio ha preso in considerazione i tweet sul “trophy hunting”. Parliamo di persone benestanti che pagano somme importanti per poter cacciare animali protetti. Il tutto avviene legalmente e i soldi vengono usati per la protezione degli ecosistemi, per cui alla fine c’è un guadagno netto per la fauna selvatica – hai fatto fuori un leone o un rinoceronte in via di estinzione, ma quel che hai speso permette di mantenere aperta la riserva naturale in cui possono vivere molti più esemplari. Ciononostante fatico a considerare chi pratica questo sport un “amico della natura” – e certamente uno che uccide esseri viventi perché sono trofei non è una bella persona.
Solo che tutta questa discussione sfugge di mano, quando sui social media appare la foto di una persona ricca con il fucile da una parte e il corpo di un animale protetto dall’altra. E le discussioni violente su Twitter sembrano avere un effetto sulle leggi sulla protezione della fauna selvatica. Personalmente sarei per proibire questo tipo di caccia e cercare altre risorse per proteggere le specie in via di estinzione, per cui non sono troppo dispiaciuto dall’esito – ma è inquietante come i social media riducano lo spazio per discussioni razionali. A ogni modo, qui c’è la ricerca e qui il comunicato stampa.
La difficoltà di avere discussioni razionali sta diventando un po’ il tema della mia presenza online: come ho scritto sul mio sito, dobbiamo evitare le guerre culturali e cercare di ritagliarci uno spazio di discussione.
Un piccolo contributo, partendo dalle rivelazioni del Telegraph sull’ex ministro della sanità Matt Hancock.
Scoperte scientifiche che non lo erano
Avete già sentito parlare del Wood wide web?
È una interessante ricerca scientifica su come le piante comunichino tra di loro grazie ad altri organismi come i funghi. Ma è anche una bella operazione di comunicazione della scienza, iniziando dal nome che richiama il World Wide Web.
“C’è solo un piccolo problema: le prove scientifiche alla base di questo fenomeno non sono molto solide” scrive Giovanni Dedenaro su Pikaia.
Ada Coleman e l’Hanky-Panky
In questi due giorni ho scoperto due cose parzialmente legate tra di loro.
Sto leggendo Il mistero del treno azzurro di Agatha Christie. A un certo punto uno dei personaggi, il milionario americano Rufus Van Aldin, esclama:
Quello che ancora non è riuscito a nessuno è di indurre una donna a
ragionare. In un modo o nell’altro, sembra che non siano dotate del minimo
buonsenso. E poi mi vengono a parlare dell’intuito femminile...
Nel romanzo Val Aldin soggiorna al Savoy, il primo albergo di lusso di Londra. In quegli anni l’american bar del Savoy era guidato da una donna, Ada Coleman, considerata una delle più importanti bartender del mondo e ideatrice di un cocktail chiamato Hanky-Panky. Stando a quanto riporta Wikipedia in inglese, all’epoca non era così insolito che una donna facesse la bartender, ma è ugualmente una curiosa coincidenza che abbia scoperto l’esistenza di Ada Coleman nello stesso giorno in cui ho letto quel passaggio di Agatha Christie.
Senzatetto, accenti inaspettati e mestruazioni
Il numero di persone senzatetto dipende essenzialmente dalla disponibilità di abitazioni a buon mercato, non da problemi mentali, tossicodipendenza, bel tempo o altro (l’analisi riguarda gli Stati Uniti, ma penso che il fenomeno non sia solo statunitense).
Un americano scopre di avere un tumore alla prostata. E inizia a parlare con accento irlandese. La “foreign accent syndrome” è relativamente rara ma ci sono diversi casi, legati perlopiù a danni al cervello. La cosa può far sorridere ma le conseguenze possono essere molto sgradevoli: il nostro modo di parlare fa parte della nostra identità e – è uno dei casi citati nell’articolo – se sei una donna norvegese che, dopo un bombardamento nazista, si mette a parlare con accento tedesco la cosa può essere difficile da spiegare.
Tutto quello che non dovreste sapere sulle mestruazioni, nel senso di miti e superstizioni che ancora circolano.
Concludo con due pezzi su ChatGPT e le intelligenze artificiali che scrivono cose e che preoccupano anche le università per esami e tesine varie. Ma in che misura è plagio visto che sono testi generati per essere usati? La risposta dell’Università della Svizzera italiana.
Sul blog invece mi chiedo, da una prospettiva filosofica, come mai inventino cose, visto che in molti casi per noi la verità è semplicemente stabilita dalla coerenza.
Questa edizione della newsletter finisce qui; se vi è piaciuta potete consigliarla o condividerla con altre persone…
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Ci leggiamo tra sette giorni.
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