Ciao,
sono Ivo Silvestro e questa è la 42ª edizione della mia newsletter. Oggi parliamo di malaria, di effetto Mpemba, democrazia ed esopianeti.
Ma prima una foto: un albero d’oro.
Qualcuno si ricorda della malaria
È incredibile la rapidità con cui si è riusciti a sviluppare e produrre dei vaccini efficaci per il Covid. Quando in un film si trova una cura poco tempo dopo la diffusione di una nuova malattia è scontato bofonchiare “irrealistico”, ma alla fine è proprio quello che è successo.
Immagino che una parte di questo successo sia dovuto ad alcune caratteristiche del virus, ma indubbiamente il fattore determinante sono state le ingenti risorse messe a disposizione. Il che pone un problema di quella che si chiama “giustizia distributiva”: è giusto aver investito così tanto sul Covid quando ci sono malattie che fanno ogni anno centinaia di migliaia di morti nel mondo?
Il fatto è che dipende da chi muore. Basta confrontare tre cartine con la distribuzione dei morti per tubercolosi, malaria e Covid.1
La ricerca medica è purtroppo ricca di diseguaglianze. Ed è quindi una buona notizia trovare, in mezzo a tante ricerche che riguardano i privilegiati del mondo, qualcosa sulla malaria.
Alcuni ricercatori dell’Università di Ginevra hanno capito come il microorganismo che causa la malaria si orienta nel corpo dei suoi ospiti. Questa simpatica creaturina2 ha infatti un ciclo vitale un po’ complicato, passando dalla zanzara all’uomo e viceversa. La scoperta di questo ciclo è valsa a Ronald Ross un Nobel per la medicina – ma all’epoca la malaria era un problema per tutta l’umanità.
Come fa questo protozoo a capire dove si trova e dove deve andare? I ricercatori hanno appunto capito un po’ meglio questo aspetto, con la speranza di agire sui segnali percepiti per rallentarne o bloccarne la diffusione.
È, appunto, una speranza: nell’articolo, pubblicato su Science Advance, non si parla di possibili terapie, ma nel comunicato stampa si afferma che i ricercatori “possono adesso immaginare come disturbare i segnali rilevati dal parassita nei vari stadi di sviluppo, disorientandolo e bloccando diffusione e contagio”. Speriamo.
A qualcuno piace ghiacciato
Se mettete nel congelatore dell’acqua calda e dell’acqua fredda, quale si ghiaccia prima? “Quella fredda” è l’ovvia risposta che danno tutti.3
In realtà in alcune circostanze si ghiaccia prima l’acqua calda, come nel 1963 ha scoperto quasi per caso il tredicenne Erasto Mpemba. Ovviamente all’epoca nessuno gli credette: un ragazzino tanzaniano che sostiene una cosa che viola alcune leggi fisiche fondamentali? La storia ha ovviamente un lieto fine: qualche anno dopo Erasto Mpemba incontra il fisico britannico Denis Osborne e gli presenta la sua scoperta; Osborne fa una verifica e vede che effettivamente l’acqua calda si congela prima di quella fredda. E da allora questo fenomeno è chiamato “effetto Mpemba”.
Bella storia, vero? Mi stupisce che Netflix non ci abbia ancora fatto una serie tv.4 Certo rimane ancora quel problema di un fenomeno che viola le leggi della fisica, ma è qui che arriva la parte interessante della storia. Perché non si scappa: l’acqua calda deve cedere più energia di quella fredda per arrivare al punto di congelamento e quindi ci metterà più tempo. Come effettivamente avviene se non ci limitiamo a mettere un bicchiere d’acqua nel congelatore, ma allestiamo un esperimento come si deve, controllando attentamente la propagazione del calore e misurando la temperatura. Cosa accade infatti mettendo un bicchiere nel congelatore? Come spiega Martin Bier su Skeptical Inquirer, il contenitore freddo potrebbe rimanere sospeso sullo strato di brina che troviamo in tutti i congelatori casalinghi, mentre quello caldo sciogliendo leggermente lo strato superficiale aderisce meglio al ghiaccio e si raffredda più in fretta.
L’effetto Mpemba sarebbe quindi una sorta di artefatto sperimentale. Tuttavia se vogliamo del ghiaccio, o un gelato, forse conviene mettere nel congelatore qualcosa di tiepido.
In questa storia ci vedo una bella lezione su come il mondo nel quale viviamo, e nel quale vogliamo farci un gelato, non coincida necessariamente con i modelli scientifici. Ed è interessante che sia Aristotele sia Francis Bacon avevano già osservato questo fenomeno.
Stronzate democratiche
In questa newsletter mi piace riprendere articoli e contenuti che reputo interessanti – non necessariamente condivisibili al 100%, e in quel caso ne segnalo eventuali limiti, ma comunque “cose che vale la pena leggere” (o guardare/ascoltare. Faccio un’eccezione con un articolo che mi ha lasciato molto contrariato e del quale non salvo praticamente nulla.
How the ancient Greeks kept ruthless narcissists from capturing their democracy – and what modern politics could learn from them di Steve Taylor, pubblicato dal solitamente affidabile The Conversation, inizia con un’affermazione molto discutibile. Anzi, al diavolo gli eufemismi: inizia con una stronzata:
The citizens of ancient Athens developed a political system that was more genuinely democratic than the present day UK or US.
Ora, vero che un Paese che ha un re e una camera dei lord potrebbe non essere l’esempio perfetto di democrazia, ma la democrazia ateniese non era certo perfetta, iniziando dal fatto che escludeva buona parte della popolazione. Quanto alla scelta dei leader – che è il tema principale dell’articolo di Taylor – non mi pare ci sia granché da imparare da un sistema che ha scelto come stratego Alcibiade che, per evitare guai giudiziari, passa al nemico nel bel mezzo della spedizione ateniese in Sicilia.
Varie ed eventuali
Oggi sappiamo un po’ meglio come è fatto Trappist-1c, uno dei sette esopianeti annunciati con una certa enfasi mediatica dalla NASA nel 2017. Non è un gemello della Terra e anzi è un pianeta come non ce ne sono, nel nostro sistema solare. Ne scrive su Facebook Massimo Sandal.
Gli scienziati dovrebbero discutere con i manipolatori? Secondo H. Holden Thorp, caporedattore di Science, assolutamente no. Secondo Noah Smith sì, almeno in alcune circostanze. Ma del lungo articolo di Smith mi ha colpito in particolare un passaggio:
(By the way, there is a very extreme version of this idea, which is that truth is so complex and so hard to know that the best we can ever hope to do is to establish consensus. If so, then “truth” and “facts” were always just stand-ins for a consensus created by an elite media oligopoly, and now that that oligopoly has been destroyed, there are simply no such thing as truth or facts anymore. I don’t buy this nihilistic worldview, but it’s interesting to think about.)
Questa edizione della newsletter finisce qui; sperando di non aver fatto troppi errori e che vi sia piaciuta, vi invito a consigliarla o condividerla con altre persone…
Ci leggiamo tra sette giorni.
I grafici, oltre ad avere colori diversi che non sono riuscito a modificare, utilizzano dati molto diversi per cui un confronto diretto è poco affidabile – ma un’idea su quali territori siano più colpiti e quali meno direi che emerge chiaramente.
In realtà a causare la malaria ci sono tre-quattro specie diverse di plasmodium.
O quasi tutti: giustamente una persona potrebbe trovare sospetta una domanda così banale e sospettare che la risposta corretta sia quella controintuitiva, come spesso capite con indovinelli tipo “una mazza da baseball e una palla costano 1,10$, la mazza costa 1$ più della palla, quanto costa la mazza?”. Peraltro si possono studiare indovinelli effettivamente banali ma che, ricordando quelli controintuitivi, ingannano chi ha studiato un po’ di logica (vedi questo bel fumetto di SMBC)
In realtà non ho guardato e magari esiste davvero una serie tv di Netflix su Mpemba.