Ciao,
sono Ivo Silvestro e questa è la 102ª edizione della mia newsletter settimanale di segnalazioni e riflessioni.
Oggi parliamo di origini del linguaggio e intrattenimento, di strani capolavori del cinema, di film in esclusiva e di mpox.
Ma prima una foto:
È il fiume Verzasca vicino a Lavertezzo, dove sono andato per intervistare una fotografa boliviana che mi ha raccontato un po’ di cose interessanti, ma ne riparliamo settimana prossima visto che l’articolo non è ancora online.
Così, tanto per ridere
Il titolo di questa newsletter, “Ammazzando il tempo”, è ripreso dalla autobiografia di un filosofo a me molto caro, Paul K. Feyerabend, il dadaista del metodo scientifico. Ai tempi dell’università mi ero divorato tutti i suoi libri tradotti in italiano; non so se oggi li apprezzerei come a quei tempi: non che sia diventato uno scientista convinto che non ci sia nulla al di fuori della conoscenza scientifica, ma certo sarei più a disagio di fronte a una teoria della conoscenza che si basa sul “tutto va bene”.1
Peraltro è in Ammazzando il tempo che Feyerabend confessa non solo la sua passione per il wrestling, ma la sua convinzione che fosse tutto autentico. Con tanto di delusione quando un amico gli svelò la verità:
Tuttavia, in seguito Robin mi convinse a parole e coi fatti che era tutto finto: il risultato era stabilito in anticipo, il sangue artificiale. Non gliel’ho ancora perdonata.
Ma al solito sto divagando – il che, paradossalmente, è rilevante.
Quel titolo mi è sempre piaciuto proprio per l’idea che alla fine facciamo quello che facciamo non per raggiungere qualche altisonante e appagante obiettivo, ma semplicemente per non annoiarci troppo.
E se anche il linguaggio avesse una origine simile? Di solito pensiamo che noi esseri umani siamo in grado di parlare per comunicare, per dirci le cose importanti2 – che magari quando i nostri antenati hanno effettivamente iniziato a parlare erano “quelle bacche si possono mangiare, quelle altre no” e “di là c’è un animale che possiamo caccia, da quell’altra parte invece un animale che verosimilmente caccerà noi”, mentre oggi ci sono la relatività e come costruire microchip.
Certo, poi sappiamo che il linguaggio serve anche per raccontare cose non vere, ma abbiamo nobilitato questa cosa con la narrativa di finzione e l’importante ruolo che svolge nel farci comprendere il mondo – vedi i libri di Jonathan Gottschall L’istinto di narrare e, con uno sguardo più critico, Il lato oscuro delle storie.
E se invece fosse solo una questione di “ammazzare il tempo”? Sto leggendo Perché ridiamo di Fausto Caruana ed Elisabetta Palagi – sui contenuti del saggio ci tornerò appena lo avrò finito, ma a un certo punto di riprendono le teorie dello psicologo evoluzionista Robin Dunbar.
Riporto quanto scrivono Caruana e Palagi. Secondo Dunbar, per capire l’origine del linguaggio dobbiamo partire “dall’osservazione che parliamo principalmente per passare il tempo con gli altri”. L’obiettivo ultimo – o, in ottica evoluzionista, l’effetto che ha portato alla diffusione di questo tratto nella popolazione – è cementare i rapporti sociali, Ma resta il fatto che parliamo perlopiù per il piacere di parlare:
Discutiamo di politica, di cultura, del meteo e di cose simili, ma la maggior parte del tempo speso in una conversazione tra conoscenti è, secondo Dunbar, per lo più gossip fatto per il solo piacere di parlare.
[…] Noi parliamo non per dirci qualcosa, ma solo per il piacere di farlo. Il grooming per molte specie non è semplicemente una pulizia reciproca del corpo, ma un vero e proprio collante sociale. Tanto il gossip quanto il grooming sono per Dunbar comportamenti sociali cruciali per la coesione all’interno dei gruppi di primati, compresi gli esseri umani, fornendo la base per la costruzione di relazioni sociali più complesse.
Questo mi ha ricordato una importante lezione di giornalismo. Metti di lavorare per la testata X, ad esempio un quotidiano locale. Chi sono i tuoi concorrenti? Non devi pensare agli altri quotidiani locali della zona e neanche alle radio o ai giornali online regionali o nazionali. I tuoi veri concorrenti non sono neanche il New York Times o la BBC: no, sono Netflix, TikTok, la Settimana enigmistica, un romanzo poliziesco, un podcast di cinema. Perché magari una persona, quando sceglie quale giornale comprare, è indecisa tra L’eco di Salcazzo e La gazzetta di Vergate, ma la vera scelta è a monte: leggo un giornale, mi guardo una serie tv o faccio un Sudoku?
Perché è importante tutto questo? Perché anche se le origini del linguaggio sono davvero quelle teorizzate da Dunbar, cioè ammazzare il tempo, alla fine il linguaggio ci permette davvero di “dire qualcosa” e credo sia importante che quel qualcosa sia vero o quantomeno utile – diciamo di intelligente. Ma se pensi che basti dire qualcosa di intelligente per avere la meglio sulle cose stupide, ecco abbiamo un problema: perché non è così, la mente umana non funziona così e le cose intelligenti da dire, per essere ascoltate, devono anche essere piacevoli. Devono permetterci di ammazzare il tempo.
In poche parole
Su Prime Video, la piattaforma di streaming di Amazon, è disponibile Space Vampire, meraviglioso esempio di horror erotico-fantascientifico degli anni Ottanta. L’ho rivisto con immenso piacere e in uno dei tanti momenti imbarazzanti del film – credo quando il protagonista picchia quasi annoiato un’infermiera precedentemente posseduta dagli alieni – mi sono chiesto perché mi piacesse così tanto un film così carico di cliché e di sessualizzazioni del corpo femminile. Un po’, immagino, perché parliamo di un film che l’anno prossimo festeggerà i 40 anni – e li dimostra tutti –, un po’ perché cavolo, è così estremo che diventa quasi un manualetto per identificare gli stereotipi dell’epoca (che poi sono in buona parte ancora quelli di oggi).
A proposito di Prime video. Ogni tanto mi arrivano delle email per segnalarmi nuove uscite – non so se sono personalizzate in base a quello che ho già visto oppure se sono generiche. Però alcune di queste mail hanno, come oggetto, un insensato “Solo per te”. Come se Amazon avesse realizzato un film o una serie tv per farla vedere solo a me – che per carità, sarò un buon cliente ma non credo proprio di essere così importante.
Magari è solo una traduzione malfatta, però posso immaginare che si siano detti che una offerta esclusiva, qualcosa che solo io e forse poche altre persone selezionate possiamo avere, attiri l’attenzione. Ed è una cosa che mi fa un po’ tristezza: il mio obiettivo dovrebbe essere vedere qualcosa che mi piace, non qualcosa che altre persone non hanno.
Ho scritto una cosa sull’mpox o vaiolo delle scimmie.3 Che cosa mi preoccupa di questa malattia? Non che porti a un’altra pandemia in stile Covid – non sembra essere il tipo – ma che il panico nei Paesi occidentali porti a fare incetta di vaccini, rallentando la fornitura dove davvero serve, in Africa centrale.
Perché sì, abbiamo già i vaccini: quelli del vaiolo “classico”, che per sicurezza si è andati avanti a migliorare, funzionano anche contro l’mpox, almeno finora. C’è tuttavia una cosa che non ho capito: quando il vaiolo è stato eradicato – prima e unica malattia, ci stiamo riprovando con la poliomielite ma non sta andando benissimo –, nessuno ha pensato di continuare le campagne di vaccinazione nei Paesi dove erano endemiche malattie provocate da virus della stessa famiglia?
Continuo a essere convinto che, in generale, la restituzione di opere d’arte sottratte durante il colonialismo sia una cosa buona e giusta. E proprio partendo da questa convinzione ho voluto sentire una persona che non la pensa così4 e che il tema lo conosce bene, dirigendo un museo etnografico.
E ho scoperto che ci sono argomenti convincenti per sostenere che no, i musei non dovrebbero mettersi a restituire reperti perché non è quello il loro compito. E soprattutto che ci possono essere motivi poco lusinghieri per farlo: svuotare i depositi di roba di poco valore e guadagnare dalla costruzione di nuovi musei dove esporre quanto generosamente restituito.
In pochissime parole
High school taught me big words. College rewarded me for using big words. Then I graduated and realized that intelligent readers outside the classroom don’t want big words. They want complex ideas made simple.
Una bufala alla quale avevo creduto – e che avrei potuto contribuire a diffondere: Non ci sono prove che J.K Rowling abbia cancellato 27 tweet contro Imane Khelif.
Il segreto di una storia avvincente? Cambiare sempre le carte in tavola. Lo dice la scienza5 (più o meno).
Certo, ridurre la posizione di Feyerabend – ammesso che si possa parlare di “posizione” e non piuttosto di “atteggiamento” – al celebre “Anything goes” è una semplificazione, ma è comunque una buona semplificazione.
Lo so, lo so: anche molti animali non umani “parlano”, nel senso che emettono suoni che hanno un significato, e praticamente tutte le cose viventi comunicano. Ma solo Homo sapiens è arrivato al punto di costruire piattaforme per inviare newsletter settimanali a centinaia di persone – non dico sia un bene, però è così.
Link accessibile: archive.is/PRqXA.
Link accessibile: archive.is/G77oo.
Link accessibile: archive.is/cAcZV.