Ciao,
sono Ivo Silvestro e questa è la 60ª edizione della mia newsletter settimanale di segnalazioni e riflessioni; oggi parliamo di Venezia, di cancel culture e di caccia alle streghe.
Ma prima una foto:
È la briccola1 numero 42 del canale tra Fusina e Venezia.
La foto l’ho scattata alcuni anni fa; la ripropongo adesso perché la settimana prossima trascorrerò qualche giorno a Venezia. Non lo dico per trasformare questa newsletter in un diario personale, ma per tornare a parlare di turismo e territorio. Il Tascabile ha pubblicato un articolo della giornalista e scrittrice Benedetta Fallucchi dedicato appunto all’impatto del turismo a Venezia:
Quella del turista del resto è ormai una dimensione ontologica che ci riguarda tutti, eppure talvolta, anche se sempre più di rado, si riesce ad avere almeno la sensazione di vedere una città per quello che davvero è, non per come è diventata in funzione di chi la visita (contraddizione che dovrebbe demotivarci tutti dal viaggiare). Venezia comunque è spietata: pare non consentire per statuto altra identità se non quella del turista. Persino a chi ancora prova a viverci.
Tra l’altro Venezia ha un lungo elenco di “comportamenti non consentiti” che prevede multa fino a 200€ e un “ordine di allontanamento immediato del trasgressore” per chi si siede su gradini o per terra. Ne comprendo le ragioni, ma al contempo provo un po’ di inquietudine pensando a dove può portare l’idea di “tutela del decoro urbano e paesaggistico”.
Un caso di cancel culture
Michael Eisen era l’editor-in-chief della rivista scientifica eLife. Era perché è stato licenziato per le sue opinioni politiche espresse in un social media.2
Eisen ha condiviso, apprezzandone il coraggio, un post del giornale satirico The Onion: “Palestinesi sul punto di morire criticati per non aver usato le ultime parole per condannare Hamas”. Il resto è facile immaginarlo: critiche violente, segnalazioni ai datori di lavoro e infine, nonostante Eisen avesse chiarito (ma non ritrattato) la sua posizione, il licenziamento con dimissioni di solidarietà di alcuni suoi colleghi.
Tutta la vicenda è raccontata in dettaglio da Science. Intanto su The Onion è apparso un nuovo articolo: “Report: condividi questa immagine di Netanyahu sorridente per riavere il tuo lavoro”.
La vicenda di Eisen mi pare un chiaro caso di cancel culture, decisamente meno ambiguo di quando si riadatta alla sensibilità moderna opere che mostrano i segni del tempo – ma non so quanto sia produttivo ragionare in questi termini.
Il fatto è che è difficile parlare della guerra tra Israele e Hamas – anzi, è già difficile capire come inquadrarla e parlare di “guerra tra Israele e Hamas” indica già un tipo di scelta.
Ne scrive Raffaele Ventura su Domani: È possibile parlare di Israele-Palestina senza fare danni?3
Simili censure, come ce ne furono nel 2022 contro autori russi o considerati filorussi, possono avere cause diverse: dallo zelo di funzionari senz’anima a serie ragioni di ordine pubblico. Non c’è bisogno di scomodare la cancel culture, ovvero un preciso orientamento ideologico, perché la verità è semmai che stiamo diventando una cancel society, nella quale il controllo dei canali di comunicazione è una posta in gioco sempre più importante.
[…] Sarà difficile, negli anni di crisi che verranno, mantenere intatto l’edificio del liberalismo per come lo abbiamo conosciuto nell’ultimo mezzo secolo. La proliferazione dei rischi comunicativi sta mettendo alla prova la libertà d’espressione proprio come la proliferazione dei rischi sanitari ha temporaneamente dissolto, nel 2020, la libertà di circolazione.
Forse per questo motivo la guerra tra Israele e Hamas vede una silenziosa ritirata dei social media dall’ambizione di essere una fonte affidabile di notizie, lasciando libero il campo a tutto e al contrario di tutto. Un cambiamento importante rispetto a quanto visto con l’invasione dell’Ucraina: . Ne scrive in un lungo articolo Kyle Chayka sul New Yorker.
Streghe africane
Da dieci anni è attiva in Africa una associazione che difende le presunte streghe. Le attività della Advocacy for Alleged Witches (AfAW) sono presentate dal suo direttore Leo Igwe in un interessante articolo su The Skeptik.
Il problema non è solo la superstizione che porta ad azioni violente contro le presunte streghe (o persone albine), ma anche i pregiudizi occidentali che vedono l’Africa un continente primitivo e magico. “Gli studiosi occidentali hanno presentato la stregoneria in Occidente come un fenomeno selvaggio e la stregoneria in Africa come un fenomeno di valore e beneficio per le popolazioni locali”, scrive Igwe. L’AfAW vuole porre fine alla caccia alle streghe entro il 2030. Spero ci riescano.
Alexa, fammi un esempio di disinformazione
Non so bene chi possa chiedere ad Alexa, l’assistente vocale di Amazon, se le ultime presidenziali statunitensi si sono svolte regolarmente – l’utilizzo tipico che mi viene in mente di questi dispositivi è “chiama Tizio”, “metti un po’ di musica jazz” o “ricordami tra 6 minuti che devo scolare la pasta”. Però il fatto che la risposta sia che l’elezione è stata “stolen by a massive amount of election fraud” (rubata da una grande quantità di frodi elettorali) non è un buon segno. Ne scrive Cat Zakrzewski sul Washington Post.
Il problema riguarda, ovviamente, le fonti che vengono ritenute affidabili – e almeno Alexa le cita, le fonti. In questo caso una piattaforma di condivisione video popolare tra i conservatori. Solo che, come osserva la professoressa Meredith Broussard interpellata dal Washington Post, “the most popular sources on the left and right vary dramatically in quality”, la qualità delle fonti popolari a sinistra e a destra varia drasticamente.
In breve
Un Michele Serra particolarmente ispirato nello scrivere di libertà e di indignazioni per altri: Libertà e tavolini.
Il GRIM test per capire quando qualcuno prende dati a caso (o meglio quando elabora a caso dati magari anche di qualità).
Una interessante notizia su un nuovo tipo di pannelli solari che potrebbero essere installati in orbita (e una critica a come i giornali trattano queste notizie).
Così vengono chiamate nella laguna di Venezia i “pali” che segnano le vie d’acqua. Il fatto che abbia fotografato proprio la numero “42” non è un caso.
Curioso come praticamente lo stesso nome (bricolla invece di briccola) indichi i sacchi pieni di merce di contrabbando trasportati dagli spalloni. Secondo Treccani “bricolla” viene dal francese bricole, mentre “briccola” è di etimo incerto.
O forse le sue opinioni politiche sono state utilizzate come scusa. Poco cambia.
La risposta, come per tutte le domande contenute nei titoli, è ovviamente “no”.