Ciao,
sono Ivo Silvestro e questa è la 137ª edizione della mia newsletter settimanale di segnalazioni – che trovate anche nel numero extra del lunedì – e riflessioni.
Oggi parlo di verità delle immagini (con e senza IA), di James Bond, di social media e di morte.
Ma prima una foto:
Tante verità intorno a una foto
Questa newsletter inizia con una foto – non c’è una precisa strategia comunicativa, dietro questa scelta; ho iniziato un po’ per caso a farlo, la cosa mi è piaciuto e ho continuato così. Non c’è un particolare ragionamento neanche dietro la scelta della foto, quasi sempre completamente slegata dal tema della newsletter. E sono abbastanza sicuro che questa sia una pessima strategia comunicativa, ma credo che la manterrò perché mi piace l’idea di avere delle immagini così, quasi surreali nel loro (non) abbinarsi al testo, nel loro essere perlopiù prive di contesto.
Le altre immagini che incontriamo quotidianamente non sono così. Non è detto che siano particolarmente meditate – viviamo nella società dell’immagine nel senso che siamo circondati da immagini, non nel senso che dedichiamo particolare cura alle immagini –, ma hanno uno scopo, per quanto banale e stereotipato.
Sono immagini che possono essere vere o false. E se ci riflettiamo un attimo, non è una cosa così scontata da dire. Prima di tutto perché dovremmo sapere cosa significano vero e falso, ma delle varie teorie della verità ne parleremo un’altra volta perché il vero problema è un altro: a essere veri o falsi sono enunciati e proposizioni, non immagini che sono vere o false tanto quanto un’affermazione può essere verde o blu.
Quella delle affermazioni verdi e blu è una citazione da Ernst Gombrich (l’ha scritto in Arte e illusione). E indubbiamente ha ragione: le immagini possono essere autentiche o contraffatte (questo Urlo di Munch l’ha davvero dipinto l’artista norvegese o un falsario?), fedeli (questa illustrazione di una mano riproduce correttamente le caratteristiche o ha sette dita?) eccetera, ma il vero o il falso riguardano le affermazioni che accompagnano le immagini.
È una soluzione interessante, che alleggerisce l’analisi delle immagini dal pesante fardello del doversi occupare della verità, ma secondo me è sbagliata. Intanto perché in molti casi non c’è una vera e propria proposizione, attaccata a immagini che comunque dicono qualcosa. Le pubblicità sfruttano le immagini proprio per questo. E poi perché quelle altre caratteristiche delle immagini, il loro essere autentiche, fedeli, manipolate eccetera riguarda la verità e infatti diciamo che “è un vero Munch” (o è una vera riproduzione del quadro di Munch, nel senso che non è una sua reinterpretazione), che è una vera fotografia (perché non è manipolata) eccetera.
Poi certo, i rapporti tra queste verità sono complessi. Una foto vera, nel senso di non manipolata, può essere falsa perché usata per ingannare. O viceversa: una foto falsa, nel senso di non autentica perché ad esempio mostra una messinscena, può mostrare una cosa accaduta realmente. Nel 1902 Georges Méliès non poté filmare la vera incoronazione di Edoardo VII – non ebbe il permesso e in ogni caso difficilmente sarebbe venuto fuori qualcosa, con l’attrezzatura dell’epoca, nella buia Abbazia di Westminster – e allora realizzò in studio il film sulla cerimonia:
È falso, ma anche vero. Mentre una foto che ritrae degli scontri in piazza è vera, ma anche falsa perché usata per oscurare i tanti manifestanti pacifici.
È complicato, parlare di verità delle immagini. Ma la cosa sorprendente è che certo, ci possono essere situazioni non chiare – soprattutto quando ci sono di mezzo dei premi, pensiamo alle norme del World Press Photo – però in generale noi esseri umani gestiamo bene questa complessità. Capiamo ad esempio che non è un problema se gli sposi si mettono in posa, per la “vera” foto di un matrimonio, mentre se a farlo sono dei soldati non abbiamo una “vera” foto di guerra, capiamo anche il diverso valore che hanno l’illustrazione naturalistica di un fiore, la foto artistica di un fiore o il disegno che troviamo su una busta di semi
Ripeto: ci sono casi difficili, non tutti sono abili allo stesso modo ma mi sembra che mediamente ce la caviamo bene, in mezzo a tutta questa complessità. Almeno finora, perché temo che le IA generative cambino tutto.
Da un certo punto di vista le IA generative sono come Photoshop: una novità alla quale – al netto dei discorsi oggi surreali sulla morte della fotografia – ci si è abituati abbastanza in fretta. Ma Photoshop restava un software relativamente difficile da usare e comunque con dei limiti: non è stato difficile, rendersi conto che le foto delle modelle con gambe chilometriche non erano vere e iniziare a guardare con un po’ più di scetticismo le foto giornalistiche troppo perfette. Era insomma un cambiamento tecnologico che ha cambiato la situazione senza stravolgerla. Che è invece quello che temo facciano le IA generative.
Ma non voglio trasformare questa newsletter in uno di quegli articoli apocalittici sulla morte della fotografia che ho ricordato poco fa e provo a spiegare meglio cosa intendo con “stravolgere”.
Significa innanzitutto che nel 1902 Charles Urban, il produttore del film di Méliès sull’incoronazione di Edoardo VII, dovette investire importanti risorse per la realizzazione di quel film, Oggi per produrre un falso dell’incoronazione di Carlo III (o quella del futuro William V) basta un semplice prompt (per scrivere il quale possiamo farci aiutare da una IA generativa testuale), il che aumenta notevolmente le probabilità di trovarsi di fronte a un falso. Ma l’aspetto davvero interessante, secondo me, è che le caratteristiche dell’immagine non mi sono di particolare aiuto, per valutare le verità (al plurale) dell’immagine: non mi aiutano a capire se è il vero Re Carlo (o Re William) e non mi aiutano a capire le possibili motivazioni per creare un falso che potrebbe benissimo essere realizzato così, come passatempo.
Certo, restano le informazioni di contesto. È una foto ufficiale della Casa reale? È realizzata da un fotografo di un qualche media affidabile, o almeno verificata e pubblicata? Chi dice di averla scattata poteva essere lì presente?
Però parliamo di conoscenza indiretta: tutto si basa sulla fiducia che abbiamo nella Casa reale, in quel media, in quella persona.
Avere a disposizione solo la fiducia in una fonte, perché l’immagine non conta più nulla, significa non avere più un terreno comune di confronto con chi non ha le stesse nostre valutazioni sull’affidabilità delle istituzioni.
In poche parole
Sarà Denis Villeneuve il regista del prossimo film di 007, quello che – escludendo gli “apocrifi” come Mai dire mai – sarà il primo prodotto senza il controllo creativo della famiglia Broccoli.
Mi fa piacere che il primo annuncio dopo il completo passaggio del personaggio nella mani di Amazon sia un film e non una serie tv o un parco a tema. Sulla scelta del regista ho sentimenti contrastanti: Villeneuve è un ottimo regista, ma non ce lo vedo molto in un progetto come questo e non sarei troppo sorpreso se, a metà della produzione, leggeremo di un cambio dovuto a “divergenze creative”. Resta la curiosità di vedere chi sarà il prossimo Bond e come cercheranno di modernizzare un personaggio che è sempre più legato al passato.
È uscita il Digital News Report 2025 del Reuters Institute, considerato il miglior modo per sapere – con dati, non con impressioni personali – come sta andando il mondo dell’informazione. Non l’ho ancora letto, ma ho letto le riflessioni di Dan Williams. Non credo ci siano persone particolarmente sorprese nel sapere, per quanto restino importanti, i media tradizionali come radio, tv e giornali sono in declino mentre i social media – e in particolare influente e chi fa podcast video – sono in ascesa. Meno scontate forse le differenze nazionali, con gli Stati Uniti che spiccano per l’uso di social media come fonte di informazione tra i Paesi occidentali. Di fatto sono più vicini all’America latina e ad alcuni Paesi africani che a Europa o Giappone.
In pochissime parole
Come scoprire
l’oral’epoca del decesso.