Ciao,
sono Ivo Silvestro e questa è la 25ª edizione della mia newsletter. Oggi parliamo di una canzone che tutti conoscono ma forse non così bene, di alcune domande sul “caso Roald Dahl”, e poi di idrogeno, fossili e cefalopodi.
Ma prima una foto, senza tante spiegazioni:
Innamorata, sì ma di Fidel
Ho scoperto che a Venezia la nebbia viene chiamata “caivo” o “caigo”. Sospetto che la parola derivi, come l’italiano “caligo”, dal latino ma alcuni siti forniscono un’etimologia molto più interessante: l'espressione deriverebbe “ca me ligo” (qui mi lego): quando la nebbia fitta impediva di navigare in laguna ci si legava a qualcosa a qualcosa, immagino aspettando tempi migliori.
Potrei legare questa curiosità alla notizia dei giorni scorsi dei canali in secca a causa della bassa marea e della siccità; tuttavia – per semplice questione di assonanza – l’associo a una canzone ingiustamente sottovalutata: Maracaibo di Lu Colombo e David Riondino.
Come riporta Wikipedia, la canzone è del 1975 ma poté uscire solo nel 1981 a causa del testo. Già, perché a dispetto dell’atmosfera dance che la rende canzone ideale per balli spensierati, c’è dietro una storia molto interessante. Sempre da Wikipedia:
La storia narrata è una frenetica vicenda d'amore e d'avventura creola che ha per protagonista Zazà, una ballerina cubana che si esibisce nuda in un locale ("Balla al Barracuda, sì ma balla nuda, Zazà!"). In realtà questa attività è per lei un modo per nascondere la sua reale attività, il traffico d'armi ("Era una copertura, faceva traffico d'armi con Cuba"). Zazà ha una tresca sentimentale con un certo Miguel, che nella stesura originale del testo si chiamava "Fidel", volendo alludere a Fidel Castro (il nome venne cambiato su pressione dei discografici); Miguel però è spesso lontano ("ma Miguel non c'era, era in Cordigliera da mattina a sera"), allora lei si lascia consolare da Pedro ("L'abbracciava sulle casse di nitroglicerina"). Quando Miguel torna, lo viene a sapere e le spara ("la vide, impallidì: il cuore suo tremò, quattro colpi di pistola le sparò") e la trafficante d'armi fugge per mare. Una tempesta ("mare forza nove, fuggire sì, ma dove?") la fa naufragare ("l'albero spezzato") e un pescecane ("una pinna nera, nella notte scura") la morde ("una zanna bianca, come la luna"), ma lei sopravvive. Dopo questa avventura, Zazà rinuncia al traffico d'armi e al ballo ("finito il Barracuda, finito ballar nuda") e si costruisce una seconda vita aprendo un bordello ("un gran salotto, 23 mulatte, danzan come matte, casa di piacere per stranieri"). A causa dei vari eccessi ("rum e cocaina") ingrassa fino a raggiungere il peso di 130 chili. La canzone si conclude dicendo "se sarai cortese ti farà vedere nella pelle bruna, una zanna bianca, come la luna", evidente ricordo del naufragio e dell'incontro col predatore.
Tutto quello che vorrei sapere su Roald Dahl
L’editore Puffin Books ha fatto alcune modifiche ai romanzi per ragazzi di Roald Dahl per adeguarli all’attuale sensibilità. Un riassunto di quanto accaduto lo si trova sul Post, ed è uno dei pochi articoli che mantiene la calma, evitando toni da crociata neanche avessero bruciato la Biblioteca di Alessandria.
Un peccato, perché il caso solleva molte domande interessanti – per le quali però è difficile trovare spazio, se l’obiettivo è sollevare l’indignazione generale.
Ecco alcuni dei temi che mi hanno incuriosito, nel caso vogliate provare a rispondere. Chi gestisce i diritti d’autore può modificare i testi come faceva lo stesso autore in vita? Il fatto che parliamo di letteratura per l’infanzia cambia qualcosa? Perché importanti cambiamenti nella trama o nei personaggi in opere derivate (vedi i molti film realizzati a partire dai romanzi di Dahl) ci indignano meno di una correzione al testo? Se correggere quanto scritto dell’autore è sbagliato, lo è anche pubblicare uno scritto che l’autore non voleva pubblicare? Immaginando che la correzione di un refuso sia non solo tollerata ma anche auspicata, a che punto una correzione diventa inopportuna? Se una parola ha cambiato significato o accezione, è lecito sostituirla con una parola più vicina al significato originario e quindi alle intenzioni dell’autore? E se – cambiando autore e genere – qualcuno ripubblicasse le opere di Asimov sostituendo le anacronistiche schede perforate che ogni tanto compaiono con dei file caricati in rete? Quanto è importante tenere pubblicamente traccia delle modifiche e mantenere accessibili le opere originali? Lasciare in nota i passaggi originali andrebbe bene? Come deve comportarsi chi traduce i testi di fronte a termini problematici o non più attuali? E cosa accadrebbe se fosse l’autore stesso a chiedere di aggiornare le sue opere affinché restino al passo con i tempi?
Speranze tecnologiche per il riscaldamento globale
La crisi climatica va affrontata ricorrendo anche alla tecnologia – a quella che c’è e a quella che verosimilmente ci sarà. Il tutto sta in quel “verosimilmente”: possiamo pensare che nel 2035 avremo batterie più economiche ed efficienti di quelle attuali, non auto che volano grazie a un pannellino solare sul tetto.
Eppure c’è chi calca eccessivamente la mano, non solo per troppo ottimismo ma perché si spera che qualche magica tecnologia ci permetta di contenere il riscaldamento globale senza intaccare il nostro stile di vita.
È con questo ragionamento in testa che ho letto – e segnalo adesso – due notizie su delle possibili rivoluzioni nella lotta al riscaldamento globale. La prima, riportata dal New York Times, riguarda alberi geneticamente modificati per catturare in maniera più efficiente il carbonio. L’idea è molto interessante: pare che l’evoluzione non abbia investito molto, nell’efficienza della fotosintesi, lasciando quindi un ampio margine di miglioramento. Ma bisogna vedere se l’effetto è davvero così importante e soprattutto quanto sia fattibile e auspicabile sostituire i nostri boschi con questi alberi più efficaci. Insomma, uno strumento in più per affrontare la situazione, ma non la soluzione a tutti i problemi.
Il secondo articolo riguarda l’idrogeno. Si sottolinea sempre che l’idrogeno non è una fonte di energia, ma un vettore: non è che lo trovi in natura, ma lo devi produrre usando energia – e poi una volta prodotto lo puoi utilizzare in quelle situazioni dove batterie o elettricità non bastano, tipo trasporti pesanti o certi ambiti industriali, come si spiega in questo articolo sull’importanza dell’idrogeno.
Ebbene, forse non è così: c’è chi pensa che ci sia un sacco di idrogeno sotterraneo e che oltretutto si rigenera in continuazione grazie a delle reazioni chimiche che avvengono nel sottosuolo. Insomma una fonte rinnovabile di energia che non produce gas serra – la combustione dell’idrogeno produce semplicemente vapore acqueo. Come mai non ce ne siamo mai accorti? Semplicemente perché non sappiamo dove cercarlo, visto che ci siamo specializzati nella ricerca di carbone, gas e petrolio. A scriverlo è Science, per cui una certa plausibilità c’è, ma prima di festeggiare per una fonte inesauribile di energia pulita aspetterei.
Chiudiamo con tre brevi segnalazioni.
Su Scienziati, filosofi e altri animali, un bell’articolo sull’intelligenza dei cefalopodi – insomma dei polpi, quelli che ci mangiamo con le patate.
Sul New York Times la storia di fossili che non erano esattamente come ci si aspettava, perché la scienza sbaglia in continuazione, ma almeno riconosce i propri errori.
A proposito di social media e disinformazione:
L’algoritmo di TikTok è pensato per capire gli interessi degli utenti e servire loro contenuti in quella direzione, in modo da tenerli connessi il più possibile. L’efficacia con cui il social network cinese riesce nel suo intento è notevole e ormai nota ai più, ma questo meccanismo sembra essere stato pensato per persone giovanissime, appassionate di celebrità, influencer, qualche sport o balletto. Quando si esula dal focus originario dell’applicazione, ecco che l’algoritmo rischia di diventare la via maestra per la disinformazione e la radicalizzazione degli utenti più ingenui.
Il resto sul Foglio: TikTok scomoda anche i sumeri per complottare sui palloni abbattuti di Pietro Minto.
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Ci leggiamo tra sette giorni.