Ciao,
sono Ivo Silvestro e questa è la 39ª edizione della mia newsletter. Oggi parliamo di forme di scrittura, cospirazionismo e quantità di informazione e di dadi.
Ma prima una foto:
È un adesivo misterioso che ho trovato su un cestino dei rifiuti vicino casa. Non so cosa significhi – anzi, ignoro persino se abbia un significato. Ma mi ha incuriosito.
Esercizi di scrittura
Ho avuto il piacere di intervistare i filosofi Achille Varzi e Claudio Calosi. L’occasione è stata la presentazione di Le tribolazioni del filosofare che è una curiosa opera filosofica. A prima vista pare una parodia della Divina commedia realizzata partendo dall’espediente del ritrovamento di un manoscritto medievale. Ma l’operazione è più complessa: il poema che racconta del viaggio di un Poeta-filosofo, accompagnato dalla guida Socrate, attraverso i gironi di un inferno in cui si puniscono errori di ragionamento non è un semplice divertissement, ma è la difesa di una tesi filosofica molto precisa, una variante di nominalismo alla quale si accenna nell’intervista.
Perché realizzare un poema in terzine di endecasillabi in volgare fiorentino, con tanto di ricco apparato di note critiche, invece di un classico saggio di filosofia? Non ho posto questa domanda, ma la risposta immagino sia “perché no?”. Dopotutto – e questo Varzi l’ha detto chiaramente nell’intervista e ribadito durante la presentazione, la storia della filosofia è caratterizzata da una grande varietà di testi. Solo recentemente si sono imposti l‘articolo in una rivista scientifica e il saggio.
Devo dire che l’idea è molto interessante. Non che mi sia venuta voglia di scrivere endecasillabi in rima – troppo sbattimento da parte mia e immagino anche da parte dei lettori –, ma ragionare su altre forme di scrittura può essere una cosa interessante.
Un pizzico di informazione contro il cospirazionismo
Non so quanto siate bravi in cucina. Da persona inesperta, impazzisco di fronte alle indicazioni precise – i famosi “quanto basta” che di solito riguardano ingredienti apparentemente trascurabili ma in realtà fondamentali, nel senso che il troppo o il troppo poco rendono la pietanza immangiabile.
Un principio simile pare riguardare anche l’informazione: né troppa né troppo poca, ma quanto basta. Altrimenti arriva il cospirazionismo.
Che la scarsità informativa possa far nascere «informazioni» del tutto inventate, lo si vede anche in molte leggende che parlano di cospirazioni, che siano antiche come la peste di Milano o recenti come quelle proliferate nel corso della pandemia di Covid-19. Come ha scritto un altro storico, Richard Hofstadter, i cospirazionisti «a volte nella loro stravagante passione per i fatti arrivano a fabbricarli». Sotto la feroce ironia queste parole contengono una profonda verità. Anche nel campo dell’informazione esiste quello che può essere chiamato con antica espressione horror vacui, quel vuoto di conoscenze che crea tensione e paura, e tende a essere colmato da attività che possiamo definire di «informazione fai da te»: un tipo di attività che dà luogo a una produzione massiccia di «notizie», a un rumore che può creare l’impressione rassicurante di mettere fine al silenzio, o di dare un’adeguata risposta ai discorsi del potere che appaiono vacui e bugiardi. Ma anche l’eccessiva quantità di informazione può avere un effetto simile sul complottismo, che può nascere da una necessità di semplificare il flusso di comunicazioni e le varie versioni contrastanti dei medesimi fatti, creando una realtà parallela che si basa solo su poche e selezionate fonti, all’apparenza meno accessibili o tenute nascoste dall’informazione mainstream.
Tratto da Peppino Ortoleva e Gabriele Balbi, La comunicazione imperfetta, Einaudi.
Un piccolo e innocente esempio: la mancanza di una versione ad alta risoluzione della bandiera del Vaticano ha portato alla diffusione – e all’utilizzo da parte dello stato pontificio in alcune occasioni – di una “bandiera sbagliata” presente su Wikipedia.
Già che parliamo di cospirazionismo: nella scorsa newsletter avevo parlato di consenso scientifico a proposito del riscaldamento globale. Mi ero chiesto se “il dibattito è chiuso” fosse il modo migliore per comunicare questo consenso. Oggi mi chiedo se lo sia dare percentuali tipo “il 97% degli scienziati sostiene che…”. Perché se dai percentuali così precise su un fenomeno di per sé sfumato come il consenso della comunità scientifica, è facile che poi uno arrivi a fare le pulci a come hai calcolato quel numero. Magari in maniera pretestuosa, tipo escludendo gli articoli che non affermano esplicitamente l’origine umana dei cambiamenti climatici perché lo danno per scontato – del resto quanti articoli di astronomia affermano esplicitamente che la Terra è rotonda? –, ma intanto hai messo in dubbio quel numero. E il fact checking, per quanto interessante, rischia di cadere nel vuoto.
Restiamo in tema informazione e clima. Forse le recenti alluvioni in Emilia Romagna non sono direttamente collegate al cambiamento climatico – il che ovviamente non significa che il cambiamento climatico non ci sia o che non sia necessario fare il possibile per limitarne gli effetti e adattare il territorio. Su quest’ultimo punto: Ha senso pulire i fiumi? si chiede Jacopo Pasotti su Radar e la risposta è un “dipende” seguito da un “in molti meno punti di quel che si potrebbe pensare”. Sul tema segnalo anche un articolo pubblicato da Query un anno fa.
Vostro onore ChatGPT
Si possono dire tante cose del rapporto tra diritto e intelligenza artificiale. Credo però che di storie così divertenti come quella raccontata da Paolo Attivissimo ce ne siano poche: due avvocati sono finiti nei guai perché, affidandosi a ChatGPT, si sono inventati dei precedenti inesistenti, perseverando nell’errore.
A proposito di intelligenze artificiali: un fumetto di Zach Weinersmith sulla coscienza:
La morale del telelavoro
La storia si rivela spesso utile a guardare le cose da una prospettiva più ampia. Prendiamo il telelavoro: Dale Tweedie, su The Conversation, se la prende con Elon Musk che considera “immorale” il lavoro da remoto. L’argomentazione etica non è granché né da parte di Musk (“o tutti lavorano da remoto o non lo può fare nessuno”) né da parte di Tweedie (“abbiamo il dovere di dividere con gli altri il carico di lavoro, non di soffrire senza necessità”), ma la parte storica del suo articolo è invece molto interessante. Per buona parte della storia umana, la norma è stata lavorare da casa e a essere eccezionali sono le fabbriche e gli uffici moderni. A portare a questa nuova modalità di lavoro è stata la tecnologia – che oggi permette, almeno in diversi casi, di lavorare da casa.
Un dado da dieci
Ho comprato un dado a dieci facce.
Non mi è chiarissimo perché utilizzi i numeri romani anziché quelli arabi. Come nei dadi tradizionali, la somma di due lati opposti è costante (in questo caso 11) e apprezzo che da una parte vi siano tutti i numeri pari e dall’altra tutti quelli dispari. Mi urta un po’ la posizione del 9 e del 7, o meglio del IX e del VII: se li avessero invertiti, la sequenza I-III-V-VI-IX avrebbe formato una stella a cinque punte.
Questa edizione della newsletter finisce qui; sperando di non aver fatto troppi errori e che ci sia piaciuta, vi invito a consigliarla o condividerla con altre persone…
Ci leggiamo tra sette giorni.
Ma il libro di Varzi e Calosi non era uscito nel 2014? Ho l'edizione autografata (con terzina dantesca) da Achille...
(Sul dado con i numeri romani, la mia ipotesi è che non volessero sottolineare 6 e 9, e forse non amassero lo 0. Certo che con un dodecaedro sarebbe andata peggio)