Il delfino non è un pesce. Perché i pesci non esistono
La newsletter numero 20 del 20 gennaio 2023
Ciao,
sono Ivo Silvestro e questa è la 20ª edizione della mia newsletter. Oggi trovate un po’ di filosofia del linguaggio, poi la strana forma dell’Oklahoma, verdura tra arte e biologia e un articolo di scienza che in realtà è fantascienza.
Ma prima una foto: una palma infreddolita.
Pesci, delfini, divisione del lavoro linguistico
Qualche giorno fa questa cosa ha fatto molto discutere – quantomeno nella mia bolla sui social media.
Non escludo che sia tutta una presa in giro, ma devo dire che ho trovato molto interessante il ragionamento.
Come ha riassunto Massimo Sandal, il presupposto è che “la scienza dice cose controintuitive, queste cose controintuitive saranno vere o no, ma non conta perché non servono quasi mai a niente, quindi tanto vale ignorarle”. Che magari sia bello sapere cose che non hanno un’applicazione pratica – di scienza, di filosofia, di arte, di letteratura… – non è un’ipotesi contemplata.
Eppure c’è del vero, in quanto affermato: le categorie della scienza non necessariamente coincidono con le categorie del senso comune. Per il senso comune i pesci sono quegli animali con le pinne che vivono in acqua. Per la biologia i pesci non esistono. Mentre per la gastronomia direi che esistono e che includono anche gamberi e polpi che nessuno, lontano dai pasti, considererebbe pesce ma che nei menù troviamo indicati così.
Da notare che non ho parlato di contesti e discipline, non di persone: anche il biologo quando va al supermercato considera la mela un frutto (in realtà sarebbe un falso frutto). Discorso simile per la margherita che non è un fiore (ne avevo scritto ai tempi di petaloso).
In generale noi esseri umani facciamo tante cose diverse e per farle usiamo categorizzazioni diverse, spesso incoerenti ma che si influenzano tra di loro. Ma tutto funziona perché c’è una sorta di “divisione del lavoro linguistico”. Funziona come la divisione del lavoro classica: difficilmente una persona sola può produrre tutto quello di cui ha bisogno e quindi Tizio fa una cosa, Caio un’altra e si scambiano i prodotti. Similmente avviene con i concetti e le categorizzazioni: difficile che uno padroneggi alla perfezione tutti i dettagli e quindi, quando c’è bisogno, si delega questo lavoro ad altri. La società funziona così: non ho un’idea precisa di come catalogare gli esseri viventi, di come distinguere l’oro da altri metalli simili, di capire che albero è quello in giardino eccetera eccetera. E mi affido a chi lo sa fare. E il problema dell’autore del tweet iniziale è appunto questo: non riconosce questo meccanismo di divisione del lavoro.
Altre cose da leggere e ascoltare
Se siete sopravvissuti a questo delirio di filosofia del linguaggio, qualche cosa di più leggero.
Un bel progetto che unisce arte e biologia per ricostruire, attraverso dipinti e disegni, come sono cambiate le specie vegetali nel corso dei secoli. E capire, ad esempio, quando le angurie sono diventate rosse e le carote arancioni.
Su Science un articolo ricostruisce quello che la Exxon sapeva sul riscaldamento globale negli anni Settanta. Scoprendo che le previsioni dell’azienda petrolifera si sono rivelate migliori di quelle di quelle di altri scienziati. Non male visto che una delle scuse adottate per ritardare le politiche ambientaliste è “non siamo abbastanza sicuri”.
Un podcast sulle strane parole che usiamo per la maternità.
L’Oklahoma ha una forma un po’ strana, con quella specie di manico di padella che si estende a ovest:
Quella zona si chiama proprio così, “panhandle”. E ha una storia che non conoscevo e che si può leggere su Wikipedia. Con notevole creatività, nel 1820 gli Stati Uniti decisero che la schiavitù non sarebbe stata legale a nord di 36° 30'. Così quando il Texas entrò a far parte degli USA, pur di mantenere gli schiavi rinunciò a una striscia di territorio che divenne terra di nessuno. Niente stato, niente governo, niente legge: una situazione che andò avanti per diversi decenni, con curiosi tentativi di darsi un ordine.
Se vi piace la fantascienza, il New York Times ha un bell’articolo ricco di idee: immaginiamo che quella che chiamiamo realtà sia la simulazione di un computer, potremmo hackerare il programma aggiungendo caratteristiche che attualmente la realtà non possiede, tipo la possibilità di fermare il tempo a piacimento o uccidere le persone con lo sguardo. L’unico problema è che l’articolo è pubblicato nella sezione di scienze…
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Ci leggiamo tra sette giorni.