Ciao,
sono Ivo Silvestro e questa è la 135ª edizione della mia newsletter settimanale di segnalazioni – che trovate anche nel numero extra del lunedì – e riflessioni.
Oggi parlo di quel che resta del quinto quesito del referendum, di complotti che lo erano e del futuro tra le chiappe.
Ma prima una foto: un fotogramma rubato da una videochiamata.
Dimentichiamoci i referendum, parliamo di cittadinanza
Vivo in una bolla. E me ne rendo conto e anzi, sotto certi aspetti quella bolla l’ho costruita con una certa attenzione, ad esempio evitando il più possibile di frequentare mass media sensazionalisti.
Questa consapevolezza mi permette di “bucare” la bolla quando necessario, ad esempio per quanto riguarda i risultati del referendum su lavoro e cittadinanza che si è tenuto domenica e lunedì. Ho così previsto – nonostante nella mia cerchia tutti o quasi avevano votato – una affluenza intorno al 30-35%, sbagliando di poco.1 Quello che non avevo assolutamente previsto, dall’interno della mia bolla, è che proprio il referendum sulla cittadinanza avrebbe incontrato più resistenze. I “no” a una proposta semplice e chiara – al contrario dei quesiti sul lavoro – sono stati molti e tutto interno a quello che potremmo chiamare "fronte progressista" (o quantomeno “sottinsieme che non si oppone all’attuale governo di destra).
Perché la cittadinanza ha diviso persino l’elettorato non conservatore? Credo che il punto sia che quando parliamo di “cittadinanza” intendiamo due cose diverse. Cioè, ne intendiamo molte di più, come capita con tutti i concetti complessi, ma un punto secondo me importante riguarda la differenza tra quelle che – in mancanza di termini migliori – chiamerei “cittadinanza mistica” e “cittadinanza pragmatica”.
La cittadinanza mistica è una qualità intrinseca dell'individuo, una sorta di essenza metafisica che di solito si possiede per nascita ma che in realtà si può anche ottenere in altri modi, ma sono comunque modi che comportano una sorta di “trasformazione ontologica”, che cambiano la natura della persona che diventa cittadina.
È la cittadinanza del “vero italiano” (o vero svizzero, vero tedesco…) e non riguarda solo la destra che difende l'italianità (o l’elveticità, la germanicità…) minacciata, ma anche la sinistra quando insiste, ad esempio, sull’integrazione o sullo ius culturae.
La cittadinanza pragmatica, invece, riguarda la partecipazione alla vita collettiva. Possiamo discutere su cosa significhi “partecipare alla vita collettiva” e anche quando non se ne fa più parte, ma certamente la residenza stabile è uno degli aspetti importanti. Alcuni requisiti potrebbero coincidere con quelli della cittadinanza mistica, ma non perché riguardino una qualche essenza metafisica, ma semplicemente perché – ad esempio – senza conoscere la lingua maggioritaria è difficile partecipare a pieno titolo alla società.
Le cose nella realtà sono ovviamente più complesse, i due modelli possono coesistere, ad esempio “stratificando” l’insieme di diritti e doveri (pensiamo alla complessa casistica di permessi di soggiorno previsti in Svizzera). Un esempio estremo, e secondo me abbastanza ipocrita, è la vendita della cittadinanza. Viene presentata con formule più altisonanti, parlando di investimenti o di contributi alla nazione, ma di fatto anche se parliamo di milioni di euro o dollari è comunque la compravendita della cittadinanza scavalcando la trafila di requisiti previsti, incluse ovviamente tutte le questioni identitarie che animano il concetto. La cittadinanza come merce, per riprendere una efficace espressione di Lea Ypi.
I due poli della cittadinanza mistica e della cittadinanza pragmatica convivono. Anche all’interno del fronte progressista che mi pare incapace di elaborare una visione coerente della cittadinanza. Lo si è visto quando – e proprio durante la campagna per il referendum sulla cittadinanza – con la strana e inconsistente difesa che il Partito democratico ha fatto dell’attuale legge che concede il passaporto a chiunque abbia avuto un antenato italiano.
Ho accennato prima alla stratificazione dei diritti. Di solito quando si parla di cittadinanza nel senso del “cosa vuol dire essere cittadini anziché sudditi”, si contrappongono due modelli. C’è quello repubblicano che vede il cittadino come attivo e diretto artefice alla vita pubblica, tipicamente partecipando ad assemblee legislative. Una bella idea, sulla carta, non fosse che parliamo di comunità per forza di cose numericamente ristrette e che comunque prevedono l’esclusione molte persone, per questioni come la disponibilità di tempo libero, il livello di istruzione, le competenze linguistiche eccetera. E poi c’è il modello liberale: la cittadinanza come status legale che garantisce diritti e prevede doveri, come garanzia della libertà individuale.
Credo che entrambi i modelli possano “incrociarsi” con la visione mistica e con quella pragmatica della cittadinanza, ma mi sembra esserci una certa affinità tra il modello liberale, quello dei diritti e dei doveri, con l’approccio pragmatico. Per questo, in ottica progressista, andrebbe abbracciato e difeso il modello liberale per svuotare la cittadinanza di quell’aspetto mistico che, credo, abbia giocato un ruolo nell’esito del referendum.
Se è certamente importante e direi anche urgente trovare criteri migliori per distribuire cittadinanza – abolendo la compravendita, riducendo gli aspetti “di nascita” e insistendo sulla partecipazione alla società piuttosto che su concetti astratti come i valori e le tradizioni nazionali –, credo che la vera sfida sia smettere di pensare la cittadinanza come un’essenza.
In poche parole
E così c’è davvero un complotto intorno agli UFO. Solo che riguarda il fatto che non ci sono UFO, nel senso di presenze provenienti da altri pianeti, ma sperimentazioni militari che il Pentagono decise di coprire diffondendo notizie false su dischi volanti e alieni.
La mia prima reazione è stata di concepire il caso come l’ennesimo caso in cui chi sostiene fantasie di complotto rende difficile avere una discussione seria su un argomento – in questo caso gli avvistamenti di velivoli misteriosi, ma il discorso si applica alle cause dell’autismo, alle origini del Covid e così via. Solo che poi mi sono resto conto di un altro aspetto della vicenda: quando una persona ha una convinzione forte che guida le sue credenze, è relativamente facile manipolarla. Qui parliamo di una fantasia di complotto, ma la descrizione si adatta anche a quelli che potremmo definire “normie”, insomma chi tendenzialmente si fida delle versioni mainstream. Più difficile – ma ovviamente non impossibile – ingannare chi valuta attentamente ogni affermazione, ma è un ideale al quale è impossibile uniformarsi. Meglio il principio di Hume: la persona saggia è quella che commisura le proprie credenze alle evidenze disponibili, dando il proprio assenso ma con riserva.
Seguendo un incontro sulle pseudoscienze ho scoperto l’esistenza della rumpologia, la teoria secondo cui si può leggere il futuro di una persona guardandole il culo. Su Wikipedia c’è un’immagine esemplificativa:
Mi chiedo come abbia fatto a sfuggirmi questa pseudoscienza così squisitamente surreale – soprattutto se aggiungiamo che ad aver inventato questa disciplina è l’astrologa Jackie Stallone, madre di Sylvester Stallone.
In pochissime parole
Gli animali non parlano, o almeno non lo fanno come noi umani.
Dovete fidarmi della mia parola. Anche se un abbonato a questa newsletter può nel caso certificare la mia previsione.