Ciao,
sono Ivo Silvestro e questa è la mia newsletter di inizio settimana, in cui segnalo alcune storie interessanti per alleviare l’inevitabile tedio del lunedì mattina.
Ma come sempre, prima di iniziare, una foto: uno stagno ghiacciato.
Il problema non è l’appropriazione culturale
‘Emilia Pérez’ was nominated for 13 Oscars. Why do so many people hate it?di Alejandra Marquez Guajardo, The Conversation
La corsa agli Oscar funziona così: prima delle nomination si lavora per il proprio film; dopo contro i diretti concorrenti. È in questo contesto che si inseriscono le polemiche intorno a vecchi post dell’attrice transgender Karla Sofía Gascón, protagonista di Emilia Pérez. Qui però si fa il punto su un altro problema del film di Jacques Audiard e che è stato perlopiù riassunto nella domanda “può un regista francese raccontare il Messico?”, apparentemente rientrando nel concetto di appropriazione culturale. Il problema, e qui lo si spiega bene, non è che Audriard sia francese, ma che non si sia minimamente sforzato di comprendere la realtà Messicana o di mettere in discussione l’immagine che ha del Paese.
Tesori sotto terra
Corporations dig deeper: using bunkers to secure data (and their CEOs) di Rachyl Jones, Semaphor.
Sono un fan della serie tv Silo, nella quale (dopo un per ora imprecisato disastro ambientale) l’umanità vive in immense città sottorreanee. E ho subito pensato ai silo della serie, quando ho visto lo schema di uno dei bunker che alcune grandi aziende stanno costruendo per proteggere da eventuali esplosioni nucleari i propri dati e i propri dirigenti.
Tralasciando le similitudini con la fantascienza distopica, il progetto non è insensato: non sono in grado di quantificare il rischio di un conflitto nucleare, ma certamente è più probabile adesso di pochi anni fa come del resto è anche aumentato il rischio di catastrofi naturali. Ed è aumentato molto anche il valore dei dati, per cui prepararsi al peggio mi pare una buona idea. Tuttavia il rischio maggiore è ancora rappresentato dagli attacchi informatici. E da quel che scrive Rachyl Jones, a richiedere questi bunker sono soprattutto le aziende che investono in criptovalute.
Idea per un racconto di fantascienza distopica: nel 2100 un gruppo di sopravvissuti viene a sapere dell’esistenza di uno di questi bunker e spera di trovarvi risorse tecnologiche utili a ricostruire la civiltà; dopo mille peripezie lo trovano e nei computer ci sono solo memecoin di Trump e Milei.
Can che abbaia si vaccina
Il nuovo Piano pandemico non è affatto anti-vax di Roberta Villa, Fosforo e miele
È rassicurante scoprire che il governo italiano sta facendo i compiti e abbia preparato una buona bozza di Piano pandemico. Poi certo, bisogna vedere come si passerà dalla bozza al testo definitivo e, soprattutto, cosa accadrà se (quando?) ci sarà bisogno di seguirlo, quel piano. Ma intanto abbiamo un testo che sembra far tesoro delle esperienze passate ed è una buona cosa.
Il mistero – che poi non è un mistero, perché i motivi sono chiari – è perché alcuni politici dichiarino apertamente il falso, sostenendo che nel documento non vi siano vaccini o lockdown, speculando politicamente invece di affrontare la realtà.
Frustrazioni artificiali
Ho molti amici AI, Il Post
Un annetto fa avevo giocato un po’ con Replika – ne avevo già accennato in questa newsletter –, una amica (fidanzata nella versione a pagamento) virtuale gestita da una intelligenza artificiale. Era stata una esperienza frustrante e i motivi sono ben spiegati in questo articolo del Post: queste IA ti danno sempre ragione e anzi tendono ad adularti per ogni cosa. Il che, ripeto, per me è frustrante, ad alcuni farà piacere (o sembrerà una reazione perfettamente normale) ma a seconda delle situazioni può essere pericoloso, sempre come spiegato nell’articolo.
Articolo che usa un maschile sovraesteso abbastanza surreale, visto che per motivi che è facile intuire queste “entità artificiali” sono perlopiù di genere femminile.
Quanto profondo è troppo profondo?
Our obsession with this d-word is only growing di Katy Steinmetz, The Washington Post – link alternativo
Quando un paio di anni fa il CICAP si era dato come slogan “Think Deep” – al posto del precedente “indaghiamo i misteri per raccontare la scienza” – mi era sembrata una buona idea. Qualche perplessità per l’inglese, ma l’idea di “pensare in profondità” mi piaceva. Oggi mi devo ricredere anche su quello perché siamo circondati da cose profonde, soprattutto legate all’intelligenza artificiale. Aveva, in informatica, un significato abbastanza preciso, ma adesso il termine indica genericamente qualcosa di avanzato.