Una newsletter tradizionale in un giorno non tradizionale
La newsletter numero 76 del 16 febbraio 2024
Ciao,
sono Ivo Silvestro e questa è la 76ª edizione della mia newsletter settimanale di segnalazioni e riflessioni – di solito esce il venerdì, ma un qualche microorganismo cattivo mi ha reso difficile la stesura nei giorni scorsi, per cui eccoci con un’edizione domenicale (e una data sbagliata).
Oggi parliamo di tradizioni e black face, Darwin Day, corrente del golfo e IA che fanno casini.
Ma prima una foto:
È una delle guggen – le bande musicali dei carnevali svizzeri – mentre sfila al corteo di Bellinzona. È una delle (tante) tradizioni legate a questo periodo dell’anno…
… ma che cosa è una tradizione?
Credo che la definizione migliore sia del fumettista Stephan Pastis in questa striscia di oltre dieci anni fa:
Capra annuncia di dover partecipare a una corsa coi sacchi familiare, giustificandosi col fatto che è una sorta di tradizione; Maiale chiede cosa è una tradizione e Topo1 risponde che “è il motivo per fare qualcosa quando non riesci più a trovare motivi”. Capra, che di solito si contrappone sempre al cinismo di Topo, non può che acconsentire.
Ovviamente non è una definizione di tradizione – la cui etimologia rimanda all’idea di trasmettere qualcosa nel tempo –, ma descrive molto bene una cosa legata alle tradizioni: la capacità di fermare, e in maniera brusca, la richiesta di ragioni. Affermare “è una tradizione!” ha il potere quasi magico di arrestare l’elenco di motivi per cui fare (o non fare) qualcosa – e soprattutto, di ribattere in maniera perentoria ai motivi per cui non fare qualcosa. Potrei iniziare un lungo e antipatico elenco di tradizioni che, a ragionarci freddamente, appaiono quantomeno curiose, tipo il tagliare dei pini e metterseli in casa per qualche settimana coperti di festoni e palle colorate o ritrovarsi tutti in piazza travestiti in modi improbabili2 per far festa – ma il punto di questo discorso non è criticare tutte le tradizioni o addirittura proporre la loro abolizione.
Il punto è che se “è una tradizione” è l’unico motivo per mantenere una tradizione, allora quella tradizione ha perso di significato: l’unica cosa che afferma è sé stessa.
La corsa coi sacchi familiare del fumetto di Stephan Pastis dal quale sono partito può significare il piacere di ritrovarsi tutti insieme per un’attività divertente. Ma se così non è – e l’espressione di Capra lascia intendere che non è così – forse andrebbe cambiata: magari si può pensare a un altro gioco oppure prevedere anche altre attività per chi non vuole (o non può) correre con le gambe dentro a un sacco. Certo, non è detto che queste modifiche migliorino la tradizione, ma è invece certo che se ogni proposta di cambiamento si scontra con “è una tradizione”, c’è qualcosa che non va.
Sto finalmente concludendo questa lunga premessa – sì, mi piace prendere le cose alla lontana –, ma prima voglio mettere in evidenza il punto centrale:
Non c’è nulla di male nel cambiare una tradizione. Anzi è l’unica cosa da fare per mantenerla viva e significativa.
Ecco finalmente al tema che avevo in mente di affrontare: le polemiche perché alle processioni storiche della Settimana Santa di Mendrisio non ci saranno più figuranti con il volto dipinto di nero.
L’idea degli organizzatori è evitare la cosiddetta black face che è una cosa alquanto razzista. La decisione non è passata inosservata, dove quel “non è passata inosservata” è un eufemismo; del resto è un tema perfetto per una bella “guerra culturale”, di quelle dove puoi accusare chi non la pensa come te di volere la fine del mondo.
Ora, ignorerei tutti quelli che sbraitano “non si cambiano le tradizioni” o “non possiamo rinunciare alla nostra identità per questi qui”. Le tradizioni, come detto, possono e anzi devono cambiare e non mi sembra che il colore del trucco di alcuni figuranti sia così centrale all’interno delle processioni.
Mi sembra più interessante discutere sul merito del cambiamento. E qui un po’ capisco chi la definisce “una americanata”: quello della black face non sarebbe un nostro problema perché nasce in un contesto culturale e sociale lontano dal nostro, nel quale il volto annerito – banalizzo un discorso più ampio – era una caricatura razzista e stereotipata.
Ora, a parte che non sono del tutto sicuro che il tema sia così estraneo alla nostra cultura – vedi l’interessante storia dell’espressione “sbiancare un etiope” che ha radici molto europee –, non si tiene conto del fatto che il mondo è sempre più piccolo e meno isolato.
Non viviamo più in un mondo dove le persone più “esotiche” arrivavano al massimo da qualche centinaio di chilometri, dove era relativamente facile possedere gli strumenti culturali necessari per comprendere quello che ci circonda, dove era estremamente raro che un evento locale trovasse eco lontano da casa. Certo, è impensabile tenere conto di tutti possibili modi in cui qualcosa può essere frainteso e sarebbe auspicabile una certa cautela, prima di giudicare usi e costumi che non conosciamo. Ma qui parliamo della black face, non proprio una cosa marginale e semisconociuta. E come pretendere dagli altri quella serenità di dibattito che noi non riusciamo a trovare su cose piccole come il trucco di alcuni figuranti in una processione storica?
In poche parole
Il 12 febbraio si è celebrato il Darwin Day. Ho intervistato la filosofa della scienza Elena Gagliasso per discutere del perché è così importante la teoria di Darwin e del perché in alcuni ambiente viene rifiutata, estendendo il discorso sui negaziosmi anche alla crisi climatica.
Sempre a proposito di Darwin: è stato appena pubblicato l’elenco completo della sua biblioteca.
Mi piace sciare e fare passeggiate sulla neve – un piacere che temo abbia gli anni contati e vabbè, per me si tratterrà di cambiare passatempo invernale: la meno preoccupante delle preoccupazioni per la crisi climatica. Ma questa è la mia valutazione personale che non coincide con chi ci vive, grazie agli sport invernali e che dovrà reinventare le propre attività. Ma leggo che le due principali stazionisti sciistiche vicino casa cercano rispettivamente molti e moltissimi per estendere l’innevamento artificiale e rinnovare gli impianti.
Ho sempre ammirato lo stoicismo dell’orchestrina del Titanic che continua a suonare mentre la nave affonda – ma qui siamo al livello di chiedere strumenti nuovi.
Il femminicidio ha radici psichiatriche? si chiede su Univadis Massimo Sandal – o meglio lo chiede a vari esperti e ne esce fuori un articolo molto interessante sulle cause della violenza di genere, tra responsabilità individuale e influenze sociali.
In pochissime parole
Una compagnia aerea è stata condannata a soddisfare le richieste di un cliente ingannato dalla chat presente sul sito (e gestita da ChatGPT).
Ho seguito una conferenza sul complottismo. Ma non è andata benissimo.
La storia della Corrente del Golfo che potrebbe indebolirsi, spiegata bene dal Post e anche da Le Scienze.
In originale sarebbe Ratto (Rat), ma nella traduzione su Linus l’hanno cambiato in Topo.
Quest’anno ho indossato un vestito da Gatto Silvestro.