Ciao,
sono Ivo Silvestro e questa è la 49ª edizione della mia newsletter. Ieri ho dormito un paio d’ore, e non è che nei giorni precedenti avessi dormito molto di più, quindi siate clementi con questa edizione della newsletter.
Ma prima una foto:
È il momento del workshop di “dialogo ecologico” – la preparazione collettiva di una focaccia condendola con vari condimenti vegetariani – che si è svolto nell’ambito di un interessante evento collaterale al Festival di Locarno, una sorta di notte bianca dedicata alle intelligenze non umane (soprattutto artificiali, ma anche animali e vegetali). Non ho molta simpatia per questo tipo di esperienze, ma la serata si è aperta con delle conferenze più tradizionali e alla fine è stato simpatico, mettere strane cose su della focaccia.
Ne ho scritto in una intervista prima e in un resoconto dopo (questo secondo link dovrebbe essere attivo nel corso della mattinata).
Già che parliamo di Festival…
… ho visto il film di Brando De Sica, figlio di Christian, abiatico1 di Vittorio e nipote di Carlo Verdone. Confesso di essere entrato in sala con qualche pregiudizio: una storia di vampiri ambientata a Napoli con protagonista un freak di nome Mimì, diretta da figlio di quello che cinepanettoni – il rischio di una cagata pazzesca era alto. E invece si tratta di un bel horror,2 ovviamente se si è amanti del genere come lo è Brando – e stando a quel che ha detto, anche suo padre Christian e suo nonno Vittorio. Ad ogni modo, la mia recensione.
Avevo lasciato in sospeso la questione di due film proiettati in Piazza Grande, il francese La Voie Royale di Frédéric Mermoud e il serbo Guardians of the Formula di Dragan Bjelogrlić.
Sono due film che mi hanno fatto riflettere. Brevemente la storia: La Voie Royale racconta delle figlia di contadini francesi che prova a frequentare una competitiva scuola di preparazione all’università, in modo da poter frequentare gli istituti più prestigiosi solitamente riservati alle classi sociali più elevate. Mentre lei lotta per riuscire, da figlia di contadini, a frequentare l’Ecole polytechnique, una sua compagna decide di mollare la scuola preparatoria per andare a fare l’attrice e il fratello organizza scioperi e barricate. Tutti e tre lottano, ognuno a suo modo, contro una società ingiusta e classista e ho trovato interessante come il film mette in dialogo queste diverse modalità. Ancora non lo sapevo ma un tema simile l’ho ritrovato nel secondo film francese della Piazza, Première affaire di Victoria Musiedlak. È la storia di una giovane avvocata che si ritrova quasi per caso a difendere un ragazzo accusato di aver ucciso una compagna di scuola della sorella. Ti aspetti la solita storia dell’innocente salvato all’ultimo da ingiusta condanna grazie all’eroe (in questo caso eroina) che nonostante le avversità rimane fedele ai propri valori. Invece avviene l’esatto contrario e ci ho letto una forte disillusione nella conclusione del film, quando l’avvocata si mette a difendere un pedofilo.
Passiamo al film serbo. È la storia – da quel che ho capito abbastanza fedele ai fatti storici – dei primi trapianti di midollo osseo praticati dal medico francese Georges Mathé ad alcuni scienziati jugoslavi vittime di un incidente nucleare. Gli scienziati stavano lavorando in segreto a una bomba atomica e vediamo la contrapposizione tra il medico pacifista che cerca un modo di curare l’avvelenameto da radiazioni e il fisico che decide di sviluppare un ordino nucleare. Ma il vero tema del film è la solidarietà: il trapianto è reso possibile grazie a dei donatori che decidono di rischiare la vita per dei perfetti sconosciuti. Al tema del dono, incluso quello del midollo osseo, è dedicato uno dei libri usciti di recente che più ho apprezzato, La felicità è un dono di Marco Annoni. Tornando al film, c’è un interessante parallelismo tra la reazione a catena di una bomba atomica e quella “umana” innescata da gesti di solidarietà più o meno grandi.
Ancora sui Festival
Al Festival di Locarno ho visto un film filippino di tre ore e mezza – *Essential truths of the lake* di Lav Diaz: una notevole, per quanto difficile, denuncia del regime di Duterte – e mi sono chiesto perché l’ho fatto. Ok, perché so che Lav Diaz è un regista importante e perché diverse persone mi hanno detto che il film meritava, ma ugualmente parliamo di un film filippino di tre ore e mezza: difficilmente sarei andato al cinema a vederlo, in un’altra situazione, e me lo fossi ritrovato in tv probabilmente sarei passato ad altro. Al Festival di Locarno sono invece andato a vederlo e la sala – da tremila posti circa – era piena per circa due terzi (un po’ meno alla fine, ma neanche tanto).
Perché? Penso ci siano più risposte possibili, dall’essere già a Locarno per seguire film particolari al potersi vantare con gli altri festivalieri di aver visto quel particolare film (e magari di averlo anche capito). Tuttavia c’è anche un altro aspetto che credo sia interessante: i festival sono occasione di incontro e di discussione. E quel film filippino sono andato a vederlo perché sapevo che ne avrei letto delle recensioni e – come effettivamente è successo – di poterne parlare al bar con degli amici.
Cicerone
Ho letto, o forse riletto, un testo di Cicerone, La saggezza. La storia che in realtà chi commette azioni malvagie non lo fa per scelta ma per ignoranza non mi ha mai convinto. Ma devo ammettere che Cicerone la argomenta molto bene:
Perché l’errore degli uomini malvagi è quello di afferrare ciò che sembra utile e immediatamente separarlo dall’onesto. Di qui nascono gli omicidi, i venefici, i falsi testamenti; di qui i furti, i peculati, le spoliazioni e le rapine a danno degli alleati e dei cittadini; di qui sorge il desiderio di smisurate ricchezze e di un’insopportabile potenza e, infine, anche la bramosia di ottenere il regno nei liberi stati: azioni delle quali nulla può immaginarsi di più orrendo e sacrilego. Vedono, con i loro giudizi sbagliati, i vantaggi particolari, ma non vedono il castigo; non dico quello stabilito dalle leggi, che essi tante volte non rispettano, ma quello, che è il più amaro, inflitto dalla disonestà stessa.
Vecchio scarpone
La storia dello scarpone svizzero che ha accompagnato la scalata dell’Everest.
Questa edizione della newsletter finisce qui; sperando di non aver fatto troppi errori e che vi sia piaciuta, vi invito a consigliarla o condividerla con altre persone…
Ci leggiamo tra sette giorni.
Nell’articolo di giornale non ho avuto il coraggio di scrivere “abiatico”, che sarebbe il nipote del nonno contrapposto al nipote dello zio – ma qui sulla newsletter mi faccio meno problemi.
O bell’horror? Secondo me l’acca non è muta per cui vale come consonante per cui bello si tronca ma non si elide.